Munera 2/2022 – Editoriale

Laura Palazzani – Margherita Daverio, Per un umanesimo tecnologico. L’Intelligenza Artificiale tra scienza, etica e diritto

La rapida evoluzione delle tecnologie della robotica e dell’Intelligenza Artificiale (IA) negli ultimi anni è stata caratterizzata da un progresso dirompente, a causa della sua complessità, dell’ampiezza di applicazioni e della velocità di accelerazione. Pensiamo al progresso dell’IA, dovuto principalmente all’aumento della potenza di calcolo, alla disponibilità di enormi quantità di dati e allo sviluppo di algoritmi per identificare le relazioni tra i dati (correlazioni e previsioni/predizioni). L’IA comprende tutte le macchine che imitano e simulano determinati aspetti dell’intelligenza umana, interagendo con le scoperte neuroscientifiche e utilizzando le tecnologie dell’informazione. Tali macchine sono in grado sia di interagire e apprendere dall’ambiente esterno, sia di ragionare e prendere decisioni con gradi crescenti di “indipendenza” rispetto alle istruzioni specifiche per quella precisa attività. Allo stesso tempo, la robotica sta procedendo verso l’incorporazione (embodiment) della IA, fornendo il supporto corporeo-meccanico androide (che imita la forma umana) della IA e creando un corpo artificiale per la mente artificiale. L’obiettivo è ambizioso: progettare macchine che imitano l’essere umano (nel corpo e nella mente) fino a sostituirlo.

A fronte del dirompente progresso tecnologico, emergono con forza alcuni interrogativi di fondo: esistono differenze qualitative o essenziali tra intelligenza artificiale e intelligenza umana? Potranno le macchine sostituire interamente l’essere umano? E, ammesso che sia tecnologicamente possibile, sarebbe auspicabile? La domanda riguarda la possibilità – e sul piano della riflessione critica – l’auspicabilità o meno di realizzare macchine che in qualsiasi ambito di pensiero e di azione tipicamente umani possano sostituire l’umano.

In questo numero speciale della rivista Munera – siamo grate al direttore Stefano Biancu per l’invito a curare il fascicolo – sono raccolti contributi che discutono gli interrogativi sopra richiamati, a partire da diverse prospettive disciplinari. In particolare, secondo le prospettive di scienza, etica e diritto, in quest’ultimo caso facendo attenzione sia ai profili filosofico-giuridici sia a quelli giuridico-positivi.

Il contributo di Maurizio Naldi riguarda alcuni aspetti tecnici della progettazione degli algoritmi, dove si possono nascondere potenziali fonti di bias (pregiudizi/favoritismi) che potrebbero falsare il risultato a danno di una o più categorie, dando origine al cosiddetto problema della (mancanza di) fairness (o equità). Marta Bertolaso e Margherita Daverio approfondiscono criticamente i profili della cosiddetta automated science, rispetto alla quale esistono visioni diverse che in ogni caso richiamano a una riflessione profonda sul significato di “scienza” in quanto atto umano. Laura Palazzani discute riguardo all’IA la prospettiva tecno-centrica (che vede una superiorità dell’artificiale sul naturale) e la prospettiva umano-centrica (che mette a fuoco gli aspetti cruciali dell’umano nell’epoca dell’intelligenza artificiale), per delineare infine i caratteri di un umanesimo tecnologico, partendo dai requisiti etici dell’IA e della robotica. Prendendo le mosse dalla consapevolezza che le tecnologie IA stanno cambiando i processi di cura e di assistenza, Margherita Daverio, sulla base della letteratura recente, identifica la necessità di riflettere sul giusto equilibrio tra fattori tecnologici, giuridici ed etici nell’ambito del rapporto medico-paziente, e ciò con particolare riguardo al tema del consenso informato. Mariacarmen Ranieri discute i dilemmi etici e giuridici che nascono dall’interazione tra robot programmati tramite IA e soggetti vulnerabili nell’ambito della cura e dell’assistenza, con particolare riferimento ai casi di persone anziane, malate, bambini affetti da autismo. In tema di IA e lavoro, Fabio Macioce evidenzia come, a fronte di nuove opportunità, il fenomeno dell’impiego di IA e ICT nell’ambito del lavoro stia creando nuove opportunità, ma contemporaneamente stia aumentando la disuguaglianza nei benefici e negli svantaggi sperimentati dai lavoratori: a tali rischi è necessario fornire una risposta giuridica, ed è importante che tale risposta sia orientata alla tutela del lavoratore come persona, e della sua dignità, restituendo umanità a un contesto lavorativo che rischia di spersonalizzarsi e creare inedite forme di vulnerabilità. Sempre in tema di IA e lavoro, Iolanda Piccinini e Marco Isceri analizzano in prospettiva giuslavoristica le specificità della digitalizzazione e del lavoro tramite algoritmo; oltre ad approfondire la questione dello stress da lavoro tecnologico e le implicazioni per il rapporto di subordinazione, identificano nuovi spazi di azione sindacale per coniugare innovazione tecnologica e dimensione umana. Dalla prospettiva del diritto pubblico, il contributo di Mario Midiri analizza le questioni nuove che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale pone alle grandi imprese e alle istituzioni pubbliche e alla luce di tali questioni evidenzia che si rende necessario aggiornare l’azione antitrust e introdurre regole ex ante. Nel contesto del diritto della pubblica amministrazione, ove le amministrazioni italiane sperimentano e utilizzano l’IA per esigenze conoscitive, a supporto di servizi al pubblico, o nei processi decisionali per l’adozione di policies, regole, decisioni amministrative, così come nei controlli, Nicoletta Rangone identifica non solo i rischi dell’utilizzo di tali supporti ma anche le opportunità offerte per il rafforzamento nella fiducia nelle istituzioni, nel rispetto delle previsioni normative. Riguardo a IA e giusto processo, il contributo di Andrea Giordano indaga la compatibilità dell’IA e della robotica con i principi del giusto processo, prospettando sintesi coerenti con il diritto sovranazionale e con i valori di etica processuale scolpiti nella Carta costituzionale.

Nella ricchezza offerta dalle diverse prospettive – che evidenziano opportunità e rischi dell’utilizzo dell’IA nei diversi ambiti – ci sembra che siano due in particolare i punti che guidano le ricerche qui presentate nella direzione di un “umanesimo tecnologico”.

In primo luogo, la consapevolezza che la tecnologia non è un “destino”, ma è l’essere umano – siamo noi – che costruiamo la tecnologia. Non si tratta di esaltare la tecnologia disprezzando l’essere umano o di esaltare l’essere umano disprezzando la tecnologia: in questo senso è compito di chi svolge ricerca nei diversi ambiti non tanto limitarsi a prendere atto di che cosa “resta umano” delle tecnologie, quanto spingersi oltre e considerare anche e soprattutto che cosa “deve restare umano” con le tecnologie.

In secondo luogo, nella misura in cui identifichiamo la specificità umana e le dimensioni insostituibili dell’umano, si individueranno dei limiti alla possibilità tecnologica di costruire robot androidi o macchine pensanti: un limite al dominio tecnologico e all’aspirazione di “rifare” (remake) la natura, in quanto la tecnologia può anche disumanizzare e deumanizzare. L’umano va preservato, perché “conta” anche nell’epoca delle macchine. L’essere umano ha una dignità nella sua natura, che prescinde dalle funzioni che esercita e che ha un valore in sé da tutelare. Non sono dunque le funzioni, presenti o amplificate con il potenziamento tecnologico, che lo rendono più degno: il miglioramento è possibile anche nell’ambito naturale, attuando le potenzialità o possibilità intrinseche dell’umano, senza scorciatoie tecnologiche, ma sulla base dell’impegno personale, regolare e attivo nella direzione della acquisizione (achievement) o della massima espressione e fioritura (flourishing) possibile delle proprie capacità.

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