Summorum Pontificum: intenzione iniziale, uso difficile e abusi pericolosi


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Altra cosa è concedere in modo più ampio un ricorso eventuale al rito preconciliare, altra cosa è invece fare del VO un criterio di formazione, attiva e pastorale, per i ministri ordinati del futuro. Questa differenza, che non sfugge a chiunque voglia considerare in modo equilibrato gli sviluppi degli ultimi 12 anni, propone con evidenza un paradosso, che è causa di scandalo. Vediamo di capire meglio che cosa è in gioco.

Le perplessità sulle intenzioni di SP

Non vi è dubbio che fin dall’inizio il tentativo di “pacificare” la Chiesa, introducendo una più ampia possibilità di ricorso al “rito antico”, abbia destato negli ambienti ecclesiali più lucidi e consapevoli non poche perplessità. Nessuno dubita della bontà delle intenzioni. Ma altrettanto fuori di dubbio è che il mezzo utilizzato per raggiungere lo scopo, ossia il riconoscimento di un “diritto al Vetus Ordo” che prescinde addirittura dalla Chiesa stessa, possa introdurre un fattore di lacerazione e di divisione assai peggiore del male che si vorrebbe evitare.

L’uso del MP e i possibili abusi

In effetti la applicazione di SP, nel corso degli anni, ha visto comparire Istruzioni formali e pratiche sostanziali, favorite dalla Commissione “Ecclesia Dei”, che hanno talmente lacerato il corpo ecclesiale da portare, nel volgere di poco più di un decennio, alla soppressione della Commissione stessa. Il tentativo di usare SP come una sorta di “legittimazione di ogni posizione anticonciliare” era diventato uno scandalo interno alla Curia romana, al quale papa Francesco ha posto rimedio con giusta decisione.

Un abuso chiaramente ostacolato

D’altra parte, a pochi mesi dalla approvazione di SP, un vescovo italiano, in una diocesi del nord, aveva preteso di costituire un Seminario “separato”, nel quale formare i candidati al sacerdozio soltanto alla liturgia del pre-concilio. Questo tentativo fu immediatamente bloccato da Roma, come era inevitabile e necessario.

Il pericolo di un abuso istituzionale

Ma il tentativo immediato, di lacerazione ecclesiale perpetrato mediante un “Seminario parallelo”, non ha potuto evitare una più insidiosa e sottile lacerazione: ossia quella che si induce, anzitutto nei futuri ministri, se si insegna loro a celebrare sia secondo il rito di Paolo VI, sia secondo il rito di Pio V. In questo caso i primi a essere lacerati sono i candidati al ministero. Essi subiscono un disorientamento che non è il loro, ma quello dei loro superiori. D’altra parte, se vi sono oggi addirittura “manuali” di liturgia eucaristica che prevedono questa “doppia formazione”, ciò dimostra che la irresponsabilità ha ormai superato il livello di guardia e ha intaccato anche professori apparentemente competenti e responsabili.

Una parola chiara oggi è necessaria

Una Chiesa responsabile non può formare i propri ministri ad una sorta di “opportunismo anticonciliare”: infatti, se tu formi i candidati al ministero a celebrare i riti della Riforma Liturgica, ma anche a celebrare i riti che, a causa dei loro limiti e delle loro carenze, hanno richiesta precisamente quella riforma, instilli in loro una ambiguità di fondo, una tiepidezza e una incomprensione verso il Concilio Vaticano II e una indiretta giustificazione del “tradizionalismo” che non è compatibile con la vera tradizione. I Seminari nei quali si presenta il rito di Pio V non come una vicenda storica superata, ma come una possibilità del futuro, devono essere invitati a non deformare in modo lacerato e schizofrenico il sensus fidei e il sensu ecclesiae dei candidati al ministero. Questo fenomeno è più diffuso di quanto si creda. Di fronte ad esso i Vescovi devono assumere in pieno la loro responsabilità, che in nessun modo può equiparare il Novus Ordo con il Vetus.

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