Monogamia moderna e monogamia premoderna: alcune differenze


Riprendo sul mio blog un articolo del 2023, uscito sulla rivista “Endoxa”, sul tema della monogamia. Il testo originale si può leggere qui.    

 

Monogamia moderna e monogamia premoderna: alcune differenze

«pluralitas uxorum quodammodo est contra legem naturae, et quodammodo non»

Tommaso d’Aquino, Super Sententias,  IV, 33, 1,1 corpus

La dottrina cattolica intorno alla “monogamia”, come caratteristica del matrimonio sacramentale, ha una lunga storia e conosce, all’interno della tradizione, articolazioni molto differenziate. La consapevolezza che la storia della salvezza, attestata dalla Scrittura, conosce unioni matrimoniali “non monogamiche” ha reso prudenti i giudizi degli antichi come dei medievali e dei moderni. Solo i contemporanei sembrano risolvere drasticamente la questione. Una traccia di questo “massimalismo tardo-moderno” si trova nel testo del CCC, che fa una operazione di “indistinzione” e di fatto assimila, in modo indifferenziato, al n. 2400, le 4 offese alla dignità del matrimonio:

«L’adulterio e il divorzio, la poligamia e la libera unione costituiscono gravi offese alla dignità del matrimonio»

L’argomentazione che viene allegata è assai recente e assume una “evidenza moderna” come fondamento: del tutto illuminante è il fatto che l’argomentazione utilizzata risalga al Concilio Vaticano II (1965) e a Familiaris consortio (1981):

«“L’unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell’uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 49]. La poligamia è contraria a questa pari dignità e all’amore coniugale che è unico ed esclusivo [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19]» (CCC 1645)

Questa forma della argomentazione rivela però una tensione tra categorie, che la sintesi magisteriale non può totalmente superare: la “rottura della unità”, che viene chiamata adulterio, divorzio, poligamia o libera unione, corrisponde a diverse prospettive di lettura del rapporto tra soggetto e istituzione, che la storia ha conosciuto e di cui la tradizione ecclesiale deve tener conto. Una spia di questa differenza appare, sempre nel CCC,  al n. 2387, dove è evidente come la poligamia sia una “istituzione” che crea pur sempre diritti e doveri:

«Si comprende il dramma di chi, desideroso di convertirsi al Vangelo, si vede obbligato a ripudiare una o più donne con cui ha condiviso anni di vita coniugale. Tuttavia la poligamia è in contrasto con la legge morale. Contraddice radicalmente la comunione coniugale; essa “infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell’uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19; cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47]. Il cristiano che prima era poligamo, per giustizia, ha il grave dovere di rispettare gli obblighi contratti nei confronti di quelle donne che erano sue mogli e dei suoi figli.» (CCC 2387).

Anche in questo caso, la evidenza “rivelata” appare giustificata sulla base di “principi di ragione comune”, che non possono aggirare la forza di vincoli: per quanto giudicati in contrasto con la pari dignità dei soggetti implicati, non cessano di produrre effetti, al fine di evitare che il “summum ius” determini, per i soggetti implicati, una “summa iniuria”, quando il meglio dovuto si rivela nemico del bene possibile.

Proprio questa tensione, che deriva dalla articolazione interna ad un ragionamento che unisce “tradizione di autorità” e “nuove evidenze tardo-moderne” (diremmo, in altre parole, il discorso obbediente al comandamento di Dio e il discorso imposto dalla nuova evidenza dei diritti dell’uomo e della donna) deve spingere a guardare alla forma con cui il tema della “monogamia” veniva impostato “prima della modernità”, di cui saggiamo alcuni esempi.

1. La monogamia in Tommaso d’Aquino

Di notevole interesse è esaminare come Tommaso elabori la posizione del sapere teologico a riguardo della monogamia. Le argomentazioni fondamentali di Tommaso, che traiamo sia dal testo dello Scriptum super Sententias sia dalla Summa contra Gentiles, ci offrono diversi modi di considerare il fenomeno della poligamia. Esaminiamo le argomentazioni della questione nelle due opere.

1.1. La poligamia e la legge naturale

Forse potrà sorprendere leggere nella sintesi che Tommaso propone sul tema della monogamia, una singolare tensione tra la evocazione del testo biblico di Gn 2, la corrispondenza ad esso della lettura cristologica del matrimonio, come compimento sacramentale, e una sorta di graduazione interna, costruita a partire dai “beni” del matrimonio. Leggiamo infatti nella Distinzione 33 del IV libro dello Scriptum questa sintesi:

«Il matrimonio, dunque, ha per fine principale la procreazione e l’educazione della prole, fine che compete all’uomo in forza della natura del suo genere; cosicché, per usare l’espressione aristotelica, “esso è comune anche agli altri animali”. E da questo lato al matrimonio corrisponde il bene della prole. Ma come fine secondario il Filosofo stesso dichiara che per gli uomini il matrimonio offre lo scambio dei servizi necessari alla vita. E da quest’altro lato i coniugi si devono reciprocamente la fede, o fedeltà, che è uno dei beni del matrimonio. Inoltre nel caso dei credenti si deve raggiungere un altro fine, cioè si deve esprimere simbolicamente l’unione di Cristo con la Chiesa. E allora tra i beni del matrimonio abbiamo il sacramento. Perciò al primo di questi fini del matrimonio l’uomo è ordinato in quanto animale; al secondo in quanto uomo; al terzo in quanto cristiano.
Ora, la poligamia non esclude e neppure impedisce in qualche modo il primo di codesti fini: bastando un uomo solo a fecondare più mogli, e a educare i figli nati da esse. — Il secondo invece, anche se non l’esclude l’impedisce gravemente: poiché non può esser facile la pace in una famiglia, dove molte mogli sono unite a un solo marito, non potendo uno solo soddisfare più mogli secondo i loro desideri; e anche perché la concorrenza di più persone in un dato ufficio causa litigi, come “litigano tra di loro i vasai”, così litigano le varie mogli di un unico marito. — Il terzo fine poi è escluso del tutto dalla poligamia: perché come unico è Cristo, così è unica la Chiesa. Da ciò si conclude che la poligamia sotto certi aspetti è contro la legge naturale; mentre non lo è sotto altri aspetti.» (Super Sent., lib. 4 d. 33 q. 1 a. 1 co.)

Ovviamente qui si parla in una prospettiva che correla strettamente tre livelli di esperienza della medesima realtà: come dice lo stesso Tommaso, la correlazione viene fatta all’interno di una comprensione statica e naturalistica della differenza tra maschio e femmina. In questi limiti, tuttavia, la possibile giustificazione della poligamia trova la sua argomentazione su un piano “naturale” e insieme “istituzionale”: il bene dell’animale e il bene della specie sono qui del tutto centrali. Rispetto a questa modalità di riflessione è evidente che il percorso di “personalizzazione” dei soggetti, unito alla unificazione ecclesiale delle competenze sul sacramento, determina un profondo cambiamento di prospettiva. La unificazione dei “beni” in prospettiva cristologica da un lato promuove la “dignità di ogni soggetto”, ma dall’altro impedisce la distinzione tra diversi livelli della realtà matrimoniale, sintetizzando l’intera esperienza matrimoniale sul livello più alto, e dando così un contributo non piccolo ad una sorta di tendenza al “massimalismo nuziale”.

1.2. La poligamia e animalità dell’uomo

Più radicale e ancora più sorprendente è il taglio dell’esame che Tommaso conduce sullo stesso tema nella Summa contra Gentiles. E’ la stessa impostazione dell’opera che guida l’autore ad una presentazione del matrimonio quasi totalmente sul piano della “evidenza razionale”, riservando alla rivelazione soltanto una piccola parte del suo discorso. Grazie a questo metodo apologetico (pensato appunto “contra Gentiles”) l’argomentazione sulla monogamia procede da alcune osservazioni radicalmente antropologiche e addirittura etologiche: il capitolo 124 del III libro della ScG, che si intitola Quod matrimonium debeat esse unius ad unam, inizia dalla costatazione che “propter cibum et propter coitum animalia pugnant” e da qui emerge la tendenza dell’istinto naturale alla evidenza del matrimonio “una unius”. In questa argomentazione razionale Tommaso cerca tutti gli argomenti che possano convincere intorno alla monogamia. Gli argomenti sono i seguenti:

(a) La pace sociale, come abbiamo già visto;

(b) La certezza dei figli (dato il primato del “bonum prolis”);

(c) La cura del maschio verso i figli: una osservazione del mondo animale distingue tra specie animali in cui il maschio si occupa dei figli (come in molti uccelli) e specie in cui il maschio non si cura dei figli (come nei cani e nelle galline). Se la specie umana è quella nella quale il maschio ha maggior cura dei figli, allora la monogamia si impone diremmo per analogia naturale;

(d) L’amicizia deve basarsi su una certa eguaglianza: questo non può darsi in una relazione tra uno e molte. Lo stesso vale per la qualità “liberale” della amicizia, che in caso di “più mogli” trasforma la liberalità in una forma di relazione quodammodo servile;

(e) L’orientamento ai “buoni costumi” ostacola la discordia nella famiglia domestica, in cui la presenza di più donne genera conflitto “come risulta dall’esperienza”.

(f) Solo alla luce di queste evidenze si legge il testo biblico “e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24)

In conclusione, viene confutata la prospettiva della poligamia, insieme alla opinione di Platone, secondo cui le mogli nella pòlis dovessero essere in comune.

È evidente come la posizione di Tommaso risenta di due fonti diverse: da un lato la considerazione dei diversi livelli della esperienza di relazione tra uomo e donna (sul piano animale per la generazione, sul piano sociale per la amicizia e sul piano ecclesiale come realizzazione della unità tra Cristo e la Chiesa), dall’altro la dimostrazione razionale del primato della monogamia sulla poligamia.

2. La monogamia nei “maestri” di Tommaso (Pietro Lombardo e Agostino)

Tuttavia Tommaso dipende da una tradizione che trova due passaggi decisivi in Pietro Lombardo, maestro delle sentenze, e nel suo ispiratore antico Agostino. Entrambi consegnano alla tradizione una posizione significativa sul tema, alla quale è bene almeno fare un cenno.

2.1 La Distinzione 33 nel IV libro delle Sententiae

L’incipit della Distinzione 33 affronta il tema intitolato De diversis coniugii legibus.  Da segnalare è la stretta correlazione, in questa impostazione originaria della prima scolastica, del tema del coniugium con il tema della castità e della verginità. La giustificazione del matrimonio soltanto “in ordine alla generazione” può giustificare anche la poligamia “per ufficio”. L’orizzonte in cui il tema viene affrontato non utilizza ancora le distinzioni che diventeranno decisive a partire dal XIII secolo. Piuttosto prevale la lezione di Agostino, che non antepone la castità verginale alla continenza coniugale: “è meglio la verginità della mente che quella della carne”.

2.2. Il citatissimo De bono coniugali

Proprio il De bono coniugali di Agostino sancisce la prospettiva che ha profondamente ispirato tutta la riflessione medievale e che distingue con accuratezza i diversi gradi del “bene matrimoniale”. Il fatto che il matrimonio sia un “bene” dipende dalla presenza, in esso, del bene dei figli (proles), del bene della fedeltà (fides) e del bene del legame indissolubile (sacramentum).  La urgenza di confermare che il matrimonio possa essere considerato come un “bene” ha spinto Agostino ad una indagine sui diversi “beni” e sulla loro differenziata articolazione nella storia della salvezza. I beni del matrimonio trovano nella storia equilibri differenziati: la pretesa di unificarli in prospettiva escatologica non significa negarne il divenire storico e il necessario discernimento temporale e locale. Non sempre e non ovunque la corrispondenza tra i beni è la medesima e ci sono anche “nuovi beni” che possono emergere dalla storia e della cultura, come “segni dei tempi”.

3. Conclusione e prospettiva sinodale

Nella Relazione di Sintesi della prima fase del Sinodo sulla sinodalità si legge la proposizione:

«Si incoraggia il SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar) a promuovere un discernimento teologico e pastorale sul tema della poligamia e sull’accompagnamento delle persone in unioni poligamiche che si avvicinano alla fede.» (RdS 16, q)

La rilettura storica della tensione tra monogamia e poligamia permette di considerare diversi aspetti della correlazione attuale, uscendo dalle polarizzazioni in cui elaborazione razionale e fedeltà alla tradizione si irrigidiscono in forme istituzionali e in pregiudizi argomentativi troppo netti:

(a) il discernimento dei tempi e delle forme

Una dottrina troppo univoca non solo non rispetta la complessità della tradizione, ma neppure le forme complesse di vita dei 5 continenti. L’affermarsi della monogamia passa attraverso argomentazioni e istituzioni differenziate e riguarda la relazione tra “onore istituzionale” e “dignità personale”. Semplificare troppo velocemente questo passaggio implica nuove questioni sia personali sia istituzionali.

(b) la alleanza sospetta tra evidenza e tradizione

Nel momento in cui si assume la “dignità” dei soggetti, tramonta la “società dell’onore”. La forma patriarcale della “poligamia” e la forma liberale della “monogamia” non sono però assolute. Vi sono forme poligamiche liberali (le libere unioni) e forme monogamiche patriarcali (la soggezione della moglie al marito). Tutelare la “dignità del matrimonio” e tutelare la “dignità dell’uomo e della donna” non sempre disegna percorsi comuni o coerenti.   La correlazione tra evoluzione nella comprensione della istituzione ed evoluzione nella comprensione dell’uomo e della donna costituisce un banco di prova decisivo per una lettura corretta della dottrina sulla monogamia.

(c) la confusione tra tradizioni, forme storiche, forme istituzionali e vizi

Una soluzione drastica, avversa ad ogni differenziazione, ha la memoria corta e impone una ricomprensione del matrimonio solo come istituzione e fatica ad ospitare logiche complesse e non riducibile ad una legge unica gestita centralmente dalla chiesa. Assai istruttivi sono i diversi modelli di comprensione che vengono applicati alla poligamia: la articolazione tra logica naturale, logica civile e logica ecclesiale (oggi reimpariamo dal medioevo) può permettere una maggiore elasticità nel concepire il rapporto tra “costumi”, “istituzioni”, “leggi” e “rivelazione”. Un rigido parallelismo concorrenziale tra “legge civile” e “legge canonica” costituisce talvolta un regresso rispetto al potenziale di discernimento ecclesiale che la tradizione potrebbe ancora insegnare.

(d) la dignità dei soggetti e la rilettura della loro natura

Infine, non si può negare come l’intera questione della “monogamia” dipenda da come pensiamo il rapporto tra il gamos-matrimonio e l’unicità del soggetto (maschile e femminile) che lo pone in essere. E qui, senza alcun dubbio, il superamento del primato assoluto della generazione e della comprensione della “soggezione” femminile trasformano a fondo la questione, imponendo una grammatica inattesa e una sintassi nuova. Alcune evidenze del passato non sono più tali, mentre nuove evidenze sono sorte e si impongono, anche restando impensate: una puntuale correlazione tra tempi e spazi permetterà alla Chiesa una “sapienza coniugale” di cui la cultura comune ha ancora bisogno. Purché la Chiesa non cada nella tentazione di confondere monogamia con monocrazia e/o con monotonia.

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