L’eucaristia ridotta ad apologetica devota. L’Arcivescovo Domenico Sorrentino sui miracoli eucaristici
Debbo ringraziare l’Arcivescovo Domenico Sorrentino per la risposta che ha voluto dare, indirettamente ma chiaramente, ai miei articoli sui miracoli eucaristici in un discorso che ha tenuto ad Assisi e che si può leggere a questo link . Debbo anche precisare che, come forse non si evince dal testo, con P. Domenico ci conosciamo personalmente da circa 20 anni e alcune volte ci siamo incontrati (e scontrati), ma sempre con cavalleria. Proprio questa circostanza, ossia la conoscenza ventennale, risulta decisiva per quello che il suo testo mi ha fatto capire.
1. L’anno della Eucaristia 2005
Vorrei cominciare dall’incipit dell’intervento, che rievoca circostanze di 20 anni fa che non avevo mai letto nella biografia ufficiale di Carlo Acutis.
In effetti, Domenico Sorrentino ricorda di essersi imbattuto (forse non casualmente) nella mostra sui miracoli eucaristici in occasione di un Convegno romano nel 2005, organizzato nell’Anno della Eucaristia (2004-2005). Questa circostanza, apparentemente marginale, in realtà mi ha aperto del tutto la memoria di quegli anni e il contesto in cui Carlo è stato sollecitato a definire la sua collezione di miracoli. Qui però, un altro ricordo mi ha turbato. Proprio all’inizio di quell’anno sulla eucaristia, la Congregazione del Culto aveva pubblicato uno dei documenti più infelici sul tema eucaristico, ossia Redemptionis Sacramentum, nel quale l’ eucaristia veniva trattataesclusivamente come “oggetto di abusi”. Il collegamento a questa circostanza è molto importante anche per un altro fatto: la firma sotto quel testo era stata apposta dall’allora prefetto Arinze e dal recente Segretario Sorrentino. Ricordo molto bene che il mio primo incontro con lui, nella occasione di un Convegno APL, fu una mia contestazione piuttosto vibrante del tentativo di giustificare un documento che invitava alla «cautela nell’uso di espressioni come ‘comunità celebrante’ o ‘ assemblea celebrante’». Ricordo che lui, in quella occasione, confessò il proprio imbarazzo. E che io gli dissi, provocatoriamente, “ma perché ha firmato un documento che la imbarazzava?”.
Ecco, ora capisco meglio. L’anno della Eucaristia era stato pensato, a valle della enciclica “Ecclesia de Eucharistia”, come una occasione per rileggere la tradizione eucaristica in una forte continuità con il preconcilio. Un documento che dice di usare “con cautela” l’espressione “assemblea celebrante” preparava il terreno a quella che sarebbe stata la liberalizzazione del rito vecchio, con Summorum Pontificum, che è di soli 3 anni dopo. E cade proprio nel mezzo l’anno sulla eucaristia.
Ringrazio perciò Domenico Sorrentino di aver ricordato una circostanza preziosa per contestualizzare la mostra e il tema dei miracoli eucaristici.
2. Rinunciare al discernimento teologico
Il ringraziamento risulta invece più limitato per il seguito del suo testo. Certo, rivela un atteggiamento personale che resta in apparenza garbato, ma le parole non entrano per nulla nelle questioni che ho sollevato e aggirano ogni problema, facendo passare le mie obiezioni come cose secondarie o marginali. Sembra che Sorrentino pensi che sollevare questioni teologiche significa mancare di rispetto e non comportarsi fraternamente. Il problema è che tra fratelli si deve usare parresia e se un mio fratello Vescovo, di fronte alle questioni, cambia discorso, non gli manco di rispetto se glielo faccio notare. Faccio solo due esempi.
Sorrentino sta in equilibrio tra un discorso meramente apologetico (i fatti di santità giustificano la teologia), un discorso dualistico (i santi sono teologi, non i teologi) e qualche riferimento dottrinale molto vago. Proprio quella transustanziazione che egli cita solo in modo apologetico, avrebbe dovuto farlo pensare bene prima di dire che Gesù, oltre a compiere il miracolo eucaristico, ha compiuto anche i miracoli eucaristici. Ma vogliamo scherzare? Un Arcivescovo che scivola così grossolanamente su una espressione del tutto fuorviante sembra voler parlare con autorità in un campo su cui mi pare che vacilli e che manchi di riferimenti teologici sicuri.
Ma con Domenico restiamo fratelli, anche se non posso negare che, ringraziandolo, sono anche un po’ deluso dalla sua completa rinuncia alla identità di esperto di liturgia. Nel suo modo di parlare del “corpo e sangue di Cristo” trovo utilizzata la terribile espressione “Gesù eucaristia”, che si dovrebbe bandire dall’uso ecclesiale, mentre non trovo nessuna traccia del riferimento, normativo anzitutto per un Arcivescovo, del significato del Corpo di Cristo come corpo ecclesiale. Di questo nelle sue parole non c’è traccia e questo mi pare l’aspetto più grave, tanto più per un liturgista.
3. Contro la “comunità celebrante”
D’altra parte questo non mi stupisce. Se un Segretario della Congregazione del Culto, nel 2004, pur avendo avuto tutte le occasioni di studio e di insegnamento in ambito liturgico, non si astiene dal firmare un documento come Redemptionis Sacramentum, salvo poi dire in pubblico di non essere d’accordo su molte espressioni del testo, allora è chiaro che ha assunto come ragionevole e giustificato un modo non più conciliare di parlare e di vivere l’eucaristia. Non importa se poi fa uso di citazioni conciliari, come DV 8: la sua resta una lettura apologetica dell’eucaristia, solo apparentemente orientata alla esperienza spirituale, ma preoccupata soprattutto di conservare la devozione e la Chiesa così come era nel passato, imponendola anche ai quindicenni. Quando usa il termin transustanziazione, si preoccupa di dire solo che “non è stato smentito”, ma non entra minimamente nella dimensione fine del termine, che esclude ogni competenza dei sensi circa la presenza del Signore. Che bello sarebbe un mondo in cui da un lato dici che il corpo di Cristo si sottrae ai sensi, e poi puoi tranquillamente dire di poterlo vedere e toccare. Sarebbe bello usare la teologia in questo modo: confermando le parole più classiche, senza chiarirle nella loro vera portata, e così potersi permettere di esse un uso grossolano (in questo caso sì), senza accorgersi della contraddizione.
Qui si saldano gli orizzonti. Nel testo di Sorrentino, in modo grave, come nella mostra allestita da Carlo Acutis, in modo molto meno grave, essendo lui un 15enne, manca del tutto la dichiarazione che i “miracoli eucaristici” nascono tutti “contro”: o contro la mancanza di fede dei cristiani, o contro la mancanza di fede dei non cristiani. Su questo sarebbe bene lasciare Gesù tranquillo e non chiedergli di compiere quelle che sono solo nostre piccole questioni identitarie. Questa origine apologetica dei miracoli, se viene nascosta e rimossa, non genera fede, ma equivoci o superstizione. Soprattutto perché interrompe il processo rituale che non si ferma al corpo di Cristo sacramentale, ma deve giungere al Corpo di Cristo ecclesiale. Questa evidenza, che il Concilio Vaticano II ha rimesso pienamente in gioco, durante l’Anno della Eucaristia si è cercato di sostituirla con due cose vecchie: la lotta agli abusi contro l’apprendimento degli usi e la centralità della devozione rispetto alla celebrazione. In quel documento che citavo prima, e che Sorrentino ha sottoscritto, si parlava del “rito di comunione” come se fosse un duello all’ultimo sangue tra diritti contrapposti: quello del fedele di ricevere la comunione in bocca, e quello del ministro che deve sospettare delle intenzioni di ogni comunicando. Un capolavoro di distorsione del massimo della esperienza di comunione. Fino al punto scandaloso di chiedere che non si parli di assemblea e di comunità celebrante: ma che cosa è, ultimamente, l’eucaristia, se non una assemblea e una comunità di battezzati che si riconosce, nella comunione al corpo di Cristo sacramentale, come il corpo di Cristo ecclesiale?
Questa riduzione devota e apologetica dell’eucaristia, che ne interrompe il significato, regge anche i contenuti fondamentali della Mostra e per questo non è forzato, ma necessario parlare, per coloro che sono stati intorno a Carlo, di “maleducazione eucaristica”. Ringrazio P. Domenico Sorrentino per avermene dato una prova così lampante e per aver ricontestualizzato il sorgere della Mostra nell’ambito di quell’anno, segnato dal triste documento della Congregazione, di cui lui è stato uno dei firmatari, per quanto obtorto collo. D’altra parte l’uso degli “anni dedicati” per sostituire il Vaticano II è stata una moda per fortuna superata: nessuno ricorda più che si è tentato, nell’Anno della fede (2012-2013) di sostituire ai 50 anni del Vaticano II i 20 anni del Catechismo della Chiesa Cattolica?
4. La devozione al Santo e le forzature da vietare
Un’ultima cosa vorrei dire all’Arcivescovo. E gliela dico con tutta la parresia che tra fratelli occorre conservare, nonostante i conflitti possibili e forse necessari. Egli può certo pensare che la visita alla tomba di un santo sia il coronamento di un itinerario sacramentale. I santuari vivono legittimamente di queste dinamiche, purché non si esageri. Tra le esagerazioni ci sono due aspetti, nel rapporto che egli stesso descrive con la tomba di San Carlo, che vorrei fossero messi in chiaro. Ricordo incidentalmente che è facile, per un Arcivescovo, mettersi al di sotto di un santo e diventare quasi suo discepolo. Purché non si perda di vista che egli, e non il santo, continua ad esercitare, per la Chiesa, l’autorità episcopale, di cui non può spogliarsi per devozione. Ecco allora le due questioni che sollevo.
Da un lato mi chiedo: c’era davvero bisogno di “ringiovanire in eterno” un santo così giovane, con protesi di silicone al volto e alle mani? Mi pare almeno un fatto discutibile, forzato, esagerato e anche scandaloso, su cui è evidente che l’Arcivescovo poteva esercitare la sua autorità e non lo ha fatto.
Ma c’è di più. Che quella immagine del santo, così artefatta, possa essere vista “on line”, con una “web-cam”, da chiunque si connetta al sito “carloacutis.com”, quindi indipendemente dalla sua presenza ad Assisi, questo credo che sia un abuso anzitutto nei confronti di Carlo, ma anche nei confronti della Chiesa.
Questi eccessi di spettacolarizzazione sul corpo in presenza e sul corpo on line chiedono ad un Arcivescovo l’esercizio della autorità. Vietare la trasmissione di quella immagine, collegata al click di un menu a tendina del sito, mi parrebbe il minimo da parte di un Arcivescovo che non voglia cadere nel paradosso di permettere che il patrono dell’internet diventi oggetto di abuso proprio mediante internet. Se il fratello P. Domenico Sorrentino è davvero libero di esercitare la sua autorità come Arcivescovo, e non si trova legato solo come fedele dalla devozione per il santo, sono sicuro che lo vieterà. Agostino diceva: “con voi sono cristiano, per voi vescovo”, ma aggiungeva, “il primo è un titolo di salvezza, il secondo di tentazione”. Una delle tentazioni a cui deve resistere oggi l’Arcivescovo di Assisi e di dimenticarsi della propria autorità al servizio della Chiesa.