La parabola dei due fratelli divorziati
Sul numero di Settimana (12/2015) oggi in distribuzione, viene pubblicata, nella rubrica SI.No.Do: questioni intersinodali 4, questa riflessione sulla “teologia di frontiera” necessaria per non essere costretti ad affrontare le questioni delle “famiglie ferite” con le sole ragioni dei “fratelli maggiori”. Per entrare adeguatamente nel tema, si comincia con una parabola…

La parabola dei due fratelli divorziati.
Una teologia “di frontiera” per il Sinodo
Un uomo aveva due figli. Il maggiore si sposò, e rimase con la moglie presso il padre. Anche il secondo, poi, si sposò e andò a stare lontano con la sua sposa. Dopo qualche tempo il primo figlio fu abbandonato dalla moglie e restò solo. Ma rimase presso il padre, permanendo fedele alla moglie e mantenendo la parola data, ad ogni costo. Anche il secondo figlio, qualche tempo dopo, entrò in crisi e fu abbandonato dalla moglie. Dopo lungo travaglio, conobbe un’altra donna, si legò a lei e infine la sposò. Quando tornò dal padre, temendo di essere da lui giudicato indegno, lo trovò ad accoglierlo a braccia aperte.
Da ciò rimase stupito e si lasciò accompagnare in casa, a far festa per la nuova sposa, con gli auguri di prosperità. Il fratello maggiore, tuttavia, prese il padre da parte, dicendogli: “anche io sono stato abbandonato e sono rimasto solo, ma tu per me, che resto fedele, non fai nessuna festa. Invece ti rallegri e canti per questo mio fratello, che si è risposato, tradendo la sua parola”.
Il padre prese il figlio per il braccio e gli disse: “Figlio mio, io ammiro molto la tua scelta, che è frutto di sapienza e di rispetto. Ma non posso biasimare tuo fratello: non è bene, infatti, che l’uomo stia solo. Per lui vale una scelta diversa dalla tua. Lui non deve protestare per la tua scelta. Ma tu non protestare per la sua. La comunione è anche questo: una diversa via verso il bene”.
Di fronte ad una simile parabola, che cosa può dire una teologia capace di vera fedeltà creativa? Possiamo davvero comprendere una “maggiore misericordia” del Padre, oppure siamo vincolati a ciò che la disciplina ha finora elaborato, senza lasciare scampo al “fratello minore”? Potremmo continuare a vivere una Chiesa così condizionata dalle riserve di troppi “fratelli maggiori”?
Una risposta incoraggiante ci viene da una profonda concezione del ruolo della teologia. Essa non deve prestare il fianco al “ricatto” dei fratelli maggiori. Per il prossimo Sinodo avremmo bisogno di una teologia con caratteristiche diverse, che in alcune parole di papa Francesco troviamo delineate con coraggio e con passione:
a) Superare una visione monolitica della dottrina
Nella famosa intervista per “Civiltà Cattolica”, papa Francesco ha detto:
“San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Pensiamo a quando la schiavitù era ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si cresce nella comprensione della verità. Gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio […] La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata»”.
Maturare il proprio giudizio, alla luce della Parola di Dio e della storia non è una eventualità accessoria, ma una necessità per una teologia realmente aperta alla vita e alla testimonianza. Il dibattito sinodale ha urgenza di una tale teologia “non monolitica” e “non retrograda”.
b) Restare teologi “di frontiera” e non “al balcone”
Nel suo messaggio di augurio alla Facoltà Teologica della Università Cattolica Argentina, papa Francesco ha scritto:
“Insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera, una frontiera nella quale il Vangelo incontra le necessità delle persone alle quali si annuncia, in maniera comprensibile e significativa. Dobbiamo guardarci da una teologia che si limita alla disputa accademica o che contempla l’umanità da un castello di cristallo. Si impara per vivere: teologia e santità sono un binomio inseparabile. Di conseguenza, la teologia che si sviluppa deve esser basata sulla Rivelazione, sulla Tradizione, ma al contempo deve accompagnare i processi culturali e sociali, specialmente le transizioni difficili”
Così mi piace pensare che si debba servire la tradizione, con pazienza e con audacia. Di questo approccio ha bisogno oggi una teologia del matrimonio che si occupi di comporre il dissidio tra famiglie felici e famiglie infelici, senza finzioni troppo umane e senza idealizzazioni con esiti disumani.
c) Lo sguardo su Cristo e le possibilità impensate
Alla rappresentazione del rapporto con Cristo come “obbedienza ad un comando” Francesco sembra preferire l’immagine dello “sguardo rivolto a Cristo”. Tenere lo sguardo su di lui è una forma di obbedienza che si apre alla novità:
“ Al fine di «verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto […]. Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate» (Lineamenta, 12).
Nel percorso che conduce la Chiesa verso il Sinodo del prossimo ottobre, queste tre evidenze dovranno essere onorate in pienezza e non senza un “lavoro” specifico dei teologi: una autentica capacità di salvaguardare la tradizione nel pieno di una dinamica della storia, con le sue nuove possibilità e le sue vecchie difficoltà, senza indulgere agli irrigidimenti e ai dottrinalismi monolitici; un esercizio del pensiero sciolto e fedele, che sappia considerare con affetto paterno, materno e fraterno le complesse vicende del popolo di Dio, senza bloccarsi in soluzioni apparenti, dove manca il respiro e l’aria è viziata; una disponibilità a “seguire Gesù” che sperimenti, con forza e con sorpresa, la imprevedibilità della grazia e la limitatezza degli assoluti dell’uomo.
Alla domanda: come giustificare la misericordia del Padre, dovremo rispondere che è la misericordia del Padre a giustificare. Rivelandosi nel Figlio e nel dono dello Spirito tale misericordia non si è “congelata”, non si è “irrigidita”, non si è “bloccata”, ma chiede di essere scoperta non solo “a casa”, ma “per strada”, non solo “al centro”, ma “in periferia”. Per questo non bisogna rassegnarsi ad una versione “tiepida” della teologia. Per concludere con Francesco:
“Non vi accontentate di una teologia di ufficio. Il luogo delle vostre riflessioni siano le frontiere. E non cadete nella tentazione di dipingerle, profumarle, accomodarle un po’ e addomesticarle. Pure i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini”.
da “Settimana”, 12(2015), p.11.





























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