La forma delle “due specie”: dopo il Vaticano II e dopo il Covid-19


Le comunità ecclesiali, al momento in cui arrivano a scoprire il rito di comunione come punto culminante della celebrazione eucaristica, iniziano a vivere l’atto del “comunicarsi” in tutta la sua pienezza rituale. Possono anche comprendere alcune cose, che non sono di immediata evidenza:

a) Si tratta di partecipare del “pane spezzato” e del “calice condiviso” come esperienza del corpo e del sangue di Cristo;

b) La pienezza del gesto incontra, sia storicamente, sia recentemente a causa della pandemia, più di una resistenza;

c) Si è preferito, lungo la storia, tradurre questo atto con la terminologia della “comunione sotto le due specie”, che spesso si riduce alla “intinzione del pane nel calice del vino”.

d) Ciò che si riceve, oltre che essere chiamato Corpo di Cristo, o comunione, o santissimo sacramento, può essere detto “ostia” o “particola”.

Uscire dalla normalità della “sola specie” (del pane) non è semplice. Di recente ho incrociato percorsi pastorali di ripresa della dinamica della “doppia specie” che incontrano resistenze da parte di pastori o di fedeli. Provo qui ad indicare alcune questioni comuni, per identificare qualche pista di soluzione, in cui le norme liturgiche e il buon senso possono trovare un buon compromesso:

  1. La prima questione da affrontare mette in correlazione “frazione del pane” e “particola”. Non siamo stati educati, finora, alla esperienza elementare di una frazione del pane che produce le particole destinate a nutrire la assemblea. La sfasatura tra “messa del prete” e “distribuzione della comunione” risente ancora pesantemente degli usi secolari, per cui era normale che alla comunione si comunicasse solo il prete, e che l’accesso alla comunione da parte dei fedeli avvenisse o dopo la messa o in altri momenti, quasi privati. Questi usi secolari hanno consigliato, secondo buon senso, di differenziare il pane sull’altare dal pane consacrato nel tabernacolo. Oggi non c’è più ragione di fare così, ma noi continuiamo a farlo per inerzia o per comodità.
  2. Vi è poi un secondo aspetto. Se le “particole” sono indipendenti dalla frazione del pane, allora possiamo “farle” come più ci piace. Così è accaduto che la “particola”, che significa “frammento”, sia diventato un piccolo tondo, un piccolo intero. Così abbiamo un grande intero, che viene spezzato sull’altare, ma dal tabernacolo escono non frammenti (anche se li chiamiamo particole) ma “piccoli interi”.
  3. Il rito della comunione sotto le due specie viene regolato dalle norme secondo due possibilità: o con l’accesso di tutti i fedeli prima al pane spezzato e poi al calice condiviso, oppure con la distribuzione del pane intinto dal ministro direttamente nella bocca del fedele. Nel primo caso si riceve il pane e se ne mangia, si riceve il calice e se ne beve, mentre nel secondo caso, tutta l’iniziativa è nelle mani del ministro. Siccome il primo caso è rimasto sostanzialmente censurato, a ragione, dalle precauzioni post-pandemiche, sembrerebbe restare solo la via del “pane intinto con cui si imbocca ogni fedele”.
  4. Poiché anche questa seconda operazione sembra piuttosto rischiosa, persino dal punto di vista sanitario, spesso l’unica forma della comunione rimane la “particola ricevuta sulla mano e portata alla bocca dallo stesso fedele”.

Di fronte a questa situazione, che appare bloccata, una serie di pastori e luoghi particolari come monasteri e conventi hanno da tempo elaborato una forma che potremmo dire “intermedia”. Questa forma di comunione sotto le due specie prevede la distribuzione della particola sulla mano, dopo di che il fedele intinge lui stesso la particola nel calice e porta il pane intinto alla propria bocca. Le obiezioni a questa prassi possono essere due:

a) Secondo alcuni la comunione “si riceve”: per questo solo la comunione intinta in bocca salverebbe questa istanza; a dire il vero però il fatto di ricevere il pane salvaguarda a sufficienza questa esigenza, senza per forza arrivare al tendenziale “paternalismo” dell’essere imboccati.

b) Secondo altri la operazione di “intinzione”, se lasciata ai fedeli, rischia di causare problemi di correttezza del gesto anche sul piano sanitario (ad es. con la introduzione non solo del pane ma anche delle dita nel vino consacrato). Una necessaria educazione al gesto però fa parte della evoluzione inevitabile di ogni comunità in preghiera.

Una soluzione realistica mi sembra quella che alcune comunità hanno iniziato a sperimentare: si tratta di compiere due passaggi che chiedono alla esperienza di fare un doppio salto di qualità.

Anzitutto si tratterebbe di favorire una esperienza della particola che scaturisca direttamente dalla “frazione del pane”. Il fatto che queste “vere particole” siano di tutte le forme meno che tonde rende molto più agevole la intinzione corretta. Paradossalmente è proprio la particola tonda la meno adeguata ad essere intinta. Avendo il contorno disegnato come una perfetta circonferenza, essa costringe il dito del fedele a restare pericolosamente vicino alla superficie del vino. Se solo le particole assumono forma quadrata o rettangolare, ecco che la intinzione diventa immediatamente più semplice.

Ma anche nel caso in cui non si voglia procedere ad una operazione più articolata, come una frazione del pane che deve produrre tutte le particole necessarie, si potrebbero immaginare “particole” già predisposte, ma di forma non tonda bensì ellittica, quadrata o rettangolare.

Infine, ma non da ultimo, non sarebbe impossibile pensare che il “pane” da consacrare possa avere caratteristiche di “assorbimento” più in linea con il vero pane. Senza rinunciare a tutte le caratteristiche del pane eucaristico previste dalla tradizione, non sarebbe una forzatura superare la consistenza quasi “impermeabile” che spesso hanno le particole in uso, così come siamo stati abituati a pensarle e a produrle in vista della comunione “sotto una sola specie”.

La pretesa di una tradizione “bloccata” dalle proprie rubriche spesso è solo il segnale di una mancata recezione del rito di comunione come culmine della celebrazione eucaristica. Forse una riflessione sulla opportunità di arricchire l’ambito del “possibile” è solo un modo per riconoscere la ricchezza del reale. D’altra parte, non abbiamo forse fatto sparire la norma che prevedeva la “comunione con il cucchiaio”? E se una forma del passato tramonta, non è possibile il sorgere di una forma nuova?

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