La finta unità del Card. Bagnasco. Cinque errori in quattro righe sulla liturgia
Dopo K. Koch, come abbiamo visto alcune settimane fa (qui), ora un altro cardinale scivola sulla buccia di banana del cosiddetto “rito antico”. Questa volta si tratta di Angelo Bagnasco, che in una recente intervista (qui), parlando in generale del pontificato di papa Leone XIV riesce in un piccolo record: su 4 righe di risposta riesce a infilare 5 errori gravi, contribuendo alla mistificazione che alcuni ambienti reazionari cercano di creare intorno al nuovo papa sul tema della liturgia.
Ma vediamo subito il testo: riporto la domanda del giornalista e la risposta del cardinale
Tra le iniziative per riunire e pacificare include anche un allentamento delle restrizioni imposte alla Messa in latino?
«Sono stato per diversi anni al Dicastero della Chiese orientali, e ho verificato che nella Chiesa cattolica ci sono più di 30 riti liturgici. Non ho mai visto e non vedo ora come la forma straordinaria del rito romano, che è unico, come ha chiarito Papa Benedetto XVI, possa, come accade per il rito Ambrosiano, creare problemi. Non vedo né rischi né pericoli se le cose si fanno serenamente e con benevolenza da parte di tutti».
Enumero, anzitutto, i 5 errori gravi, che Bagnasco commette nella breve risposta. Poi esamino ciascuno nel dettaglio:
1. I riti liturgici in comunione con la Chiesa cattolica sono cosa diversa dal rito romano, che è il rito proprio della chiesa cattolica romana.
2. La forma straordinaria non esiste più, da quando il MP Summorum Pontificum è stato abrogato
3. Il rito ambrosiano non è il rito romano
4. I problemi si creano inevitabilmente, perché una forma ha riformato l’altra e non possono convivere
5. I rischi e i pericoli non dipendono dalla serenità o dalla benevolenza, ma dalla confusione.
Esaminiamo ora nel dettaglio i 5 errori:
1. Bagnasco inizia dalla sua esperienza nel Dicastero delle Chiese orientali. Ma l’esperienza di pluralità di riti “cattolici” non è molto utile quando si deve parlare del rito romano. Cambiare argomento non è il più grande merito di una risposta. Se ti chiedono “a che ora mangiate pranzo a casa vostra” e tu dici che nel condominio dove abiti si mangia dalle 12 alle 14.30 e tutti sono contenti di mangiare a ore diverse e si rispettano a vicenda, non aiuti molto chi fa la domanda per capire a che ora deve venire da te (e non dagli altri). Il rito romano non è “in comunione con se stesso” nel momento in cui viene duplicato in forme diverse, tra loro in contraddizione. Riti cattolici e rito romano non sono la stessa cosa.
2. In secondo luogo, Bagnasco usa l’espressione “forma straordinaria” come se fosse una “cosa” chiaramente identificabile. In realtà egli dimentica che la “forma straordinaria” è il sofisma argomentativo, mai usato in 2000 anni di storia della Chiesa, che sta al centro del MP Summorum Pontificum. Di forma straordinaria si è parlato, erroneamente, dal 2007 al 2021, fino a quando un altro MP ha superato questo errore. Dire che l’unico rito romano esiste in due forme (una ordinaria e una straordinaria) è un errore storico e teorico che si paga con la perdita della unità. Non esiste nessuna forma straordinaria del rito romano. C’è solo una forma precedente, che il Concilio e la Riforma liturgica hanno deciso di superare, e c’è una forma successiva, che Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno reso vigente. La ricostruzione con “due forme parallele” è un trucco per rendere la riforma liturgica e il Concilio irrilevanti. Come fa un cardinale a non aver capito che questo errore di prospettiva crea divisione in ogni parrocchia e in ogni diocesi?
3. Riferirsi al “rito ambrosiano” come analogatum della forma straordinaria è un errore storico, teorico e anzitutto geografico. Anche il rito ambrosiano, se non fosse legato ad una storia e ad una geografia, sarebbe fonte di divisione, se domani un papa decidesse, in modo arbitrario, che tutti i battezzati cattolici potrebbero domandare di celebrare i riti romani con forma ambrosiana. Il rito ambrosiano è giustificato, nella sua esistenza attuale, dalla delimitazione geografica che lo caratterizza. Solo così può essere motivo di ricchezza e non di divisione. La cosiddetta “forma straordinaria”, invece, è lacerante, perché pretende una validità universale e illimitata.
4. Bagnasco dice “non vedo problemi”. Ma come fa a non vederli? Facciamo alcuni esempi. Il MP Summorum Pontificum creava un parallelismo “straordinario” per tutti i riti romani. Ad es. per il matrimonio, diceva che si poteva celebrare il sacramento nella forma successiva al 1969 ma anche nella forma precedente. Ossia nella forma con due anelli, ma anche nella forma con un solo anello (quello della sposa). Ma questo non può essere, perché la riforma del 1969 ha fatto entrare nella Chiesa la parità di marito e moglie anche nel gesto dell’anello. Il rito precedente al 1969 non è la forma straordinaria del matrimonio, ma la forma vecchia e superata del rito del matrimonio, che continua a pensare la donna come “subordinata” al marito. Lo stesso vale per la messa: il rito del 1962 ha un lezionario poverissimo rispetto al rito romano del 1970. E non può essere affidata alla singola comunità o parroco la possibilità di scegliere tra ricchezza e povertà biblica. Non ci sono due forme, ma c’è l’unico rito in una crescita storica che assume un’unica forma, vincolante per tutti.
5. L’ultimo errore è forse il peggiore: far dipendere tutto dalla benevolenza e dalla serenità. Questa è l’ultima mistificazione. La forma straordinaria, in quanto concetto astratto, nasce come contestazione della riforma liturgica. Assumere sullo stesso piano le due forme è un modo di negare quella storia, che ha portato la chiesa di Roma prima al Concilio e poi alla Riforma che il Concilio ha imposto alla Chiesa, come un dovere di verità e di autenticità. Non ci può essere benevolenza verso chi attenta al cammino ecclesiale e pensa di rendere accessorio ciò che è centrale. Per questo affermare l’unica lex orandi, come ha fatto papa Francesco nel 2021, è l’unico modo per eliminare la confusione che era sorta nel 2007, con la pretesa di un parallelismo di forme tra loro in contraddizione.
In conclusione, se le cose imprecise vengono scritte da una giornalista poco preparata e molto interessata, come Diane Montagna (cfr. qui), la cosa può avere la sua gravità, ma è comunque la espressione di una giornalista e di gruppi di pressione. Molto più grave è che ci siano cardinali che dicono cose sbagliate e che pensano di dirle nell’esercizio del loro ministero. A questi cardinali dobbiamo dire: molti altri pastori, molti teologi e il popolo di Dio sanno riconoscere la vera preoccupazione per la unità dalla mistificazione che parla di unità solo per dividere. Di fronte a parole irresponsabili non si può tacere e occorre smascherare apertamente i pregiudizi che si nascondono dietro apparenti parole di buon senso. La parresià ecclesiale aiuta a non prendere fischi per fiaschi e a non illudere nessuno che la unità si possa promuovere permettendo a qualcuno di ignorare formalmente il Concilio Vaticano II. Un cattolicesimo del 2025 senza Vaticano II è una illusione che soprattutto un cardinale non dovrebbe potersi permettere mai, nemmeno sotto tortura.