La croce di Gesù, di Abele e di Caino: un paragone bellico senza teologia


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In un testo che è stato ripreso e tradotto dal Re-Blog (e che si può leggere qui) il Vice Rettore dell’Università Cattolica Ucraina, Myroslav Marynovych, espone una serie di riflessioni accorate intorno al tema della partecipazione ad una “stazione” della Via Crucis al Colosseo di ieri, da parte  di una donna ucraina e di una donna russa, che hanno portato insieme la croce. Vi è, ovviamente il peso di una esperienza nazionale e di una esperienza cristiana e cattolica, che fonda e motiva il testo proposto. Ma, anche in caso di guerra, anche davanti alle sofferenze che un popolo sta soffrendo in misura intollerabile e sacrilega, se si usano argomenti teologici, bisogna essere autorizzati da una lettura corretta dei testi, delle analogie e dei passaggi argomentativi. Anche quando si è Vicerettori di una Università cattolica, per usare i testi sacri occorre una competenza specifica: proprio i testi sacri sono i più facili da interpretare ideologicamente. Una esperienza terribile, come quella della guerra, può portare nuova luce o nuove tenebre sui testi che si citano. Perciò vorrei semplicemente sollevare una serie di obiezioni all’uso dei testi che M. Marynovych ha preteso di utilizzare in modo troppo personale e senza fondamento, infilandosi in una esegesi rischiosa e con esiti quanto meno problematici.

Anzitutto provo a ricostruire la argomentazione di fondo del testo, con i suoi passaggi più qualificanti, per poi mostrare la debolezza degli argomenti utilizzati allo scopo di contestare la possibilità che una donna ucraina e una donna russa possano  “portare la stessa croce” in una stazione della “via crucis”.

a) Le argomentazioni di Marynovych

La iniziativa del Vaticano viene giudicata come “un tentativo di riconciliare subito i due popoli”, che ha indignato molti ucraini e che è frutto non di cattiva volontà, ma di una visione delle cose “dall’esterno”. Parlare di “popoli fratelli” per russi e ucraini sembra un cedimento alle logiche ideologiche russe e alla loro propaganda retorica. E subito viene richiamato un “altro” racconto di “fratelli”, ossia il racconto di Caino e Abele, che viene immediatamente proiettato sulla vicenda del popolo russo e del popolo ucraino, senza alcune mediazione, pretendendo così di giudicare le parole di papa Francesco come incapaci di identificare direttamente Putin con Caino e di avallare la punizione di Dio nei suoi confronti. Si propone la identificazione di Putin con tutto il popolo russo, e del popolo russo con Putin. Ogni distinzione tra governo e popolo sarebbe frutto di una propaganda a cui l’Europa occidentale cede troppo facilmente. Così la esegesi del testo dell’AT è solo il preludio di un passaggio, a dire il vero ancora più grave, nel quale si cita questo giudizio: “Gesù e Pilato, ucraino e russo, non possono portare la croce allo stesso tempo”.  Di fronte alla domanda diretta: ma perché mai ucraino e russo non possono portare la stessa croce? La risposta è teologicamente assai problematica e suona: “perché la croce di Abele (vittima innocente) e la croce di Caino (pentimento del colpevole) sono due croci diverse”. Questa curiosa interpretazione, che mescola AT e NT, crea una convinzione che solo la giustizia retributiva sia vero vangelo, mentre ogni misericordia viene ridotta a compassione sentimentale. Gli europei conpassionevoli, se levano la responsabilità ai russi, finiscono con il peggiorare le cose. Solo un vero pentimento dei russi potrà permettere loro di aprirsi al futuro. Serve un riconoscimento di colpa formale, mentre le “messe in scena troppo teatrali, anche se simboliche” non promuovono la riconciliazione, ma la danneggiano. Pur riconoscendo che la croce di Cristo è una sola, le croci con cui noi andiamo incontro a lui sono diverse, come sono bianche le vesti delle vittime, mentre sono macchiate di sangue quelle dei colpevoli. Perciò l’unico amore del Signore parla alle vittime con compassione, ai colpevoli con durezza.

b) Il limite di una lettura senza elaborazione teologica

Se si vuol parlare in termini cristiani, si devono utilizzare le risorse che la tradizione ha messo a disposizione, con larghezza, lungo i secoli. Nel discorso di Marynovych il riferimento sia all’AT sia al NT appare del tutto distorto da un interesse politico e bellico, nazionalistico e fondamentalistico, che  non permette di cogliere il senso della iniziativa romana e delle parole di papa Francesco. Proviamo a vedere dove si nascondono i passaggi fallaci:

a) La storia di Caino e Abele è storia di “fraternità rivale”. Non è la propaganda russa, ma la storia della salvezza a farci soffermare sul paradosso dell’assassinio tra fratelli. Certo è, però, che la lettura che del testo si può fare sul piano giudaico e cristiano, ben difficilmente può essere piegata ad una immediata identificazione di Caino con Putin e di Abele con Zelensky. Ancora più difficile è proporre una identificazione di Caino con l’intero popolo russo e di Abele con l’intero popolo ucraino. Qui il testo biblico viene usato in modo ideologico, perché mancano troppe distinzioni, che sono necessarie per dare la parola ai testi in modo corretto.

b) Ancor più forzata, per non dire gravemente distorta, è la similitudine: Cristo è la Ucraina e Pilato è la Russia. Se così fosse, se mettessimo in gioco immediatamente questo livello “nazionale” nel leggere la storia della Passione, sarebbe evidente che la croce, che Gesù subisce come condanna, non è la stessa che Pilato infligge come pena capitale. Ma anche qui, le terribili sofferenze di un popolo non si possono trattare come se escludessero per principio e in modo assoluto la possibilità che membri del popolo ucraino e membri del popolo russo possano vivere la profezia di una riconciliazione anticipata, che poi avrà bisogno di tempi istituzionali, economici, morali e sociali molto più lunghi e complessi.

c) La riduzione “bellica” della Scrittura è il tratto più singolare di questa proposta. Un Dio che “prende parte” alla guerra e che si schiera per un popolo contro un altro è un modello arcaico di garante della giustizia, che non conosce misericordia e che non sa discernere all’interno di un popolo. Che in Cristo la misericordia abbia reso fratelli e sorelle tutti gli uomini e tutte le donne non può essere smentito dalla cattura etnica della fede. Qui, io credo, manca proprio la profondità e la articolazione di una autentica lettura teologica, di cui Marynovych sembra del tutto sprovvisto. E questo è forse il fatto più impressionante e più preoccupante: che, sotto la pressione di eventi tragici e terribili, si possa proporre, senza alcuna competenza, una lettura teologica tanto unilaterale e senza rispetto per i testi, con la pretesa di proporre senza esitazioni una lettura fondamentalistica dell AT e del NT, volta ad impedire ogni gesto profetico e a piantare la storia solo sul piano della giustizia non divina, ma umana e storica, come unico orizzonte disponibile e che condiziona ogni parola e ogni gesto.

d) Che due donne, una russa e una ucraina, possano “portare insieme la croce” può suonare come uno scandalo solo se la pretesa di giustizia, che è legittimo scaturisca dalla storia delle vittime, ha la presunzione di bloccare ogni spazio per la creatività dello Spirito, quasi temendo che un gesto simbolico, un atto di profezia, una apertura di fraternità tra “nemici” possa avvenire solo per un atto di tradimento, per un condono scandaloso, per una ingiusta amnistia. Ma un mondo in cui, anche davanti alla croce, ci sono solo “amici e nemici” e non possono esserci fratelli e sorelle, sarebbe un mondo in cui Dio non ha veramente nulla da dire e che gli uomini possono controllare in anticipo. Questa fede nella giustizia di Dio, che non sa vedere nessun russo se non come nemico, è il prodotto di una guerra che è anche guerra ad ogni vera teologia, ad ogni vera trasgressione divina degli ordini del mondo. Posso comprendere le emozioni e le tragedie che hanno condotto a questo testo appassionato, ma non posso seguire per nulla la sua argomentazione fondamentale, che anzi reputo pericolosa e senza vangelo. Questa fede che dispera di gesti profetici e solenni di fraternità non alimenta la speranza e non si lascia sorprendere dalla carità. Se si riduce la parola di Dio ad un martello, se ne perde la luce e si diventa ciechi. Questa è la tentazione delle teologie, ortodosse o cattoliche, che, dall’interno, provano a giustificare la guerra di offesa (sempre ingiustificata) e la guerra di difesa (nei limiti della necessità). Forse un punto di vista esterno, come quello di cui il papa viene accusato, può aiutare ad evitare, se non tutti gli errori, almeno quelli più gravi e irrimediabili.

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