Il Parroco prudente e la Bussola imp(r)udente. Sulle aperture ecumeniche di Don Giuseppe Grampa a Milano
Nella coscienza ecclesiale sta maturando, gradualmente ma in modo irreversibile, una diversa comprensione delle “differenze” tra i cristiani. Ciò che per secoli abbiamo vissuto come contraddizione e come errore, come un “aut” “aut”, da qualche decennio inizia ad essere letto e vissuto come opportunità e come ricchezza, come un “et” “et”: così quella che appariva come pericolosa negazione della comunione inizia ad essere percepita come ricchezza differenziata nella comunione.
In questo cammino, fatto di documenti innovatori e di pratiche inconsuete, le diverse confessioni cristiane hanno iniziato a camminare, in modo non uniforme e con evidenti resistenze.
Qualche settimana fa a Milano una celebrazione cattolica, con la presenza all’ambone e presso l’altare di una Pastora battista, ha suscitato reazioni violente da parte di un blog (Nuova Bussola Quotidiana) che si è abituato a confondere la tradizione cattolica con un “monolite immutabile”. Così un articolo, male intenzionato e peggio argomentato, ha potuto valutare le aperture del parroco Don Giuseppe Grampa come una negazione della verità cattolica, come una eresia, come un grave delitto, come uno scandalo.
Alla risposta del Parroco, apparsa sul bollettino parrocchiale di marzo, il blog ha pensato bene di controreplicare con ancora maggiore durezza, quasi inscenando un piccolo “tribunale della inquisizione”, in cui ha sottoposto al parroco una singolare “Professione di fede cattolica” – costruita malamente con frasi tratte senza discernimento dal Concilio di Trento (1551) e da una istruzione della Congregazione del culto divino, “Redemptionis Sacramentum” (2004) – alla quale professione di fede, secondo il giudizio azzardato della scrivente, il Parroco avrebbe dovuto rispondere semplicemente “sì” o “no”.
A me pare che proprio questo modo “rozzo” di porre le questioni dimostri la mancanza di cultura teologica e di aggiornamento ecclesiale di questi “corrispondenti romani”, che pensano di scrivere vivendo nel 1915 o nel 1932, e ritengono forse che siano ancora vigenti le condanne del Sillabo o la “messa all’indice” delle Operette morali di Leopardi. Da più di mezzo secolo, però, anzitutto nei rapporti ecclesiali, molte cose sono cambiate e devono essere accuratamente considerate, per affrontare con correttezza tutta la questione. Provo a presentare qui brevemente i cambiamenti più rilevanti, di cui la replica sgarbata al Parroco Don Giuseppe non tiene conto alcuno:
a) Il cammino di confronto ecumenico ha contribuito a riconoscere che l’”oggetto della scomunica” di 500 anni fa non corrisponde più alla posizione del “nemico”, ma solo alla rappresentazione che la controparte se ne era fatta, 5 secoli prima, sotto la pressione della polemica. Quello che i cattolici dicevano dei protestanti, e che i protestanti dicevano dei cattolici, non era fedele alla realtà dell’altro. Anzitutto sulla dottrina della giustificazione, ma anche in campo sacramentale, abbiamo oggi maturato, da entrambe le parti, una comprensione più equilibrata delle buone ragioni proprie nonché di quelle altrui. E oggi riconosciamo anche volentieri i limiti delle nostre visioni insieme ai pregi di quelle altrui. E così fanno pure gli altri.
b) Il confronto teorico, tra cattolicesimo e protestantesimo, è diventato anche “prassi di preghiera comune”. In questi casi, come è evidente, valgono delle regole di ospitalità che permettono di incontrare coloro che appartengono a tradizioni diverse da quella cattolica, mediante alcuni accorgimenti del processo rituale e della rappresentanza ecclesiale, che sono giustificati, precisamente, dalla rilevanza dell’interlocutore. L’interesse per l’altro giustifica la selezione da operare nelle pretese di uniformazione. E rende possibile anche ciò che prima era considerato o irreale o impensabile.
c) Questa prassi ecclesiale, che prevede di accogliere l’altro e di farsi accogliere dall’altro, mediante una serie di “azioni e parole condivise”, chiede evidentemente a ciascuno di “lasciarsi convertire dall’incontro con l’altro che è diverso. Come accade in ogni altra esperienza della vita, anche qui, colui che per tradizione è diventato “diverso da me” può essere incontrato solo nel “credito di fiducia” e non nel sospetto, nell’apertura di cuore e non nella chiusura della mente. Un supplemento di umanità e di buon senso rende disponibili a ciò che, per principio, potrebbe essere semplicemente escluso.
d) Per costruire una comunione ecclesiale ed eucaristica nel futuro comune delle chiese cristiane occorre anzitutto uscire da una logica dominata dai “canoni di condanna” e dalla rilevazione degli “abusi liturgici”. Si tratta di “linguaggi ecclesiali” che non costruiscono ponti, ma muri. Se per cercare di comprendere quello che ha fatto con tanta saggezza il parroco di S. Giovanni in Laterano a Milano si utilizza solo un testo di 500 anni fa, in cui la parola più usata è “anathema sit”, e un documento recente che si preoccupa solo di rilevare gli “abusi” della celebrazione eucaristica cattolica, si commette un errore di metodo e di stile quasi imperdonabile. E’ come guardare una partita di calcio facendo attenzione soltanto a quanto “si sporcano” i giocatori col fango, o a quante “parolacce” dicono durante il gioco. La prospettiva è distorta, non coglie il centro e genera mostri.
e) Va aggiunto, inoltre, che il tono avvocatesco, nel quale cade la giornalista volonterosa, è l’inevitabile conseguenza di un uso sprovveduto delle fonti e della mancanza di un minimo di conoscenza delle tradizione altrui. E’ vero che per secoli abbiamo conosciuto del protestantesimo solo ciò che era stato oggetto di condanna cattolica. Ma oggi, con tutto il cammino compiuto, soltanto il pregiudizio verso la identità dell’altro, la sua riduzione alle nostre antiche o recenti definizioni riduttive, ci permette di guardarlo solo con diffidenza e con ostilità, e di coinvolgere in questo sguardo chiunque non lo combatta apertamente, o addirittura voglia “celebrare” con lui. Vedendo gli altri solo come “minacce”, si parte lancia in resta contro ogni apertura. E brandendo il nostro “canone tridentino” pretendiamo di fermare la storia al 1551.
f) Questo atteggiamento pieno di pregiudizi può essere superato anzitutto con uno “sguardo diverso”. Le gravi divisioni che hanno turbato e sfigurato il corpo della Chiesa, in questi ultimi secoli, ci chiedono oggi un mutamento anzitutto dello sguardo e dell’atteggiamento. L’altro cristiano – luterano, battista, valdese o anglicano che sia – con la sua differenza di tradizione, di dottrina e di prassi, più che rappresentare per noi un rischio appare invece come una opportunità. Incontrarlo sbandierando il catalogo dei “suoi” errori impedisce di riconoscere lui e travisa anche la nostra identità. Noi non siamo anzitutto un catalogo degli errori altrui. Con il metodo adottato dall’articolo di nbq non sfiguriamo quindi soltanto gli altri, e di questo dovremmo scusarci con loro, ma anzitutto sfiguriamo noi stessi e la nostra stessa tradizione. Non riesco proprio a ritrovare l’autentico cattolicesimo in questa caccia alle streghe protestanti.
Per questo ritengo che Don Giuseppe Grampa, per come ha proceduto sul piano operativo, e anche per come ha spiegato pacatamente la sua azione sul bollettino della Parrocchia, si sia mosso con quella prudenza della profezia che sa bene come, in determinate circostanze della storia, l’unica forma di azione che sia all’altezza di onorare la tradizione in modo davvero prudente non consiste nel restare fermi e sospettosi, per difendersi dalla minaccia dell’altro, ma sta nel muoversi, agire, costruire ponti, porre precedenti, dare fiducia e uscire all’aperto. Chiedere ad un Parroco di rispondere “sì” o “no” alle proposizioni tridentine, per iniziative avvenute nel 2019, è anzitutto un modo di essere imprudenti (oltre che impudenti). Direi che è un modo di essere spudoratamente imprudenti. Prudenza dottrinale vuole che noi ci accolliamo una riformulazione di quelle prospettive tridentine, che sono da pensare in un mondo diverso e in una chiesa diversa da quella di 500 anni fa. Se non si tiene conto della storia, del cammino delle chiese, della nostra come delle altre, si cade facilmente in una cecità altamente rischiosa, proprio sul piano della dottrina: questa è la imprudenza che scaturisce allo stesso tempo dalla rigidità dottrinale e dalla indifferenza verso l’altro. La dottrina diventa una pietra e l’altro un bersaglio. Rispetto a questa possibilità imprudente, occorre dare invece il primato alla prudenza della relazione, al rischio della apertura e alla viva immaginazione di una Chiesa in uscita, che sa leggere i segni dei tempi, senza paura e con lungimiranza. Su questa linea, che si è aperta ormai da più di 50 anni, ha saputo muoversi in modo prudente e convincente l’azione pastorale ed ecumenica di Don Giuseppe Grampa. Con vero stile cattolico.
P.S.
La prof. Maria Cristina Bartolomei, presente alla celebrazione oggetto della discussione, ha inviato la seguente precisazione, che mi pare aggiungere un dettaglio non irrilevante per giudicare al meglio la prudenza del Parroco. Ecco il testo:
Caro Andrea un grazie vivissimo per la chiarificazione sull’episodio della pastora valdese. Io non ho mancato di recarmi di persona a dare la mia solidarietà a mio fratello don Giuseppe. Non ho preso posizione sui blog perché sono ritenuto il suo cattivo maestro … Grazie, ancora. Ti leggo sempre con gioia e condivisione, quando Maria Cristina mi rende partecipe dei tuoi scritti. Il Signore ti benedica. + Giacomo, vescovo emerito di Lugano
Gent.mo dott. prof. Grillo,
è piuttosto interessante di come Lei vada a riesumare una notizia di due mesi fa (un’era archeologica per le info sul web) pur di montare il solito scandalo nei confronti dei “corrispondenti romani che credono di vivere nel 1915”. Immagino (considerato il tono) che l’articolo sia prodromico rispetto a qualche altro evento veronese in atto in questi giorni.
Purtroppo il caso milanese non è l’unico e di parroci davvero imprudenti in tal senso ce ne sono. Sì, perchè l’imprudente è stato il parroco: l’omelia è un suo diritto e dovere. Non è un omaggio a chichessia, tantomeno a chi non è in comunione con la Chiesa (ma si sa, dopo gli ultimi sei anni sembra che Wittenberg sia più romana di Roma).
Ma ciò alla fin dei conti non ha importanza. Tutto rientra nella retorica di chi ritiene che “occorre dare invece il primato alla prudenza della relazione, al rischio della apertura e alla viva immaginazione di una Chiesa in uscita, che sa leggere i segni dei tempi, senza paura e con lungimiranza”.
Il che vuol dire, senza giri di false parole tanto care ai clericali d’oggi: via libera a tutti i trasformismi religiosi possibili. A partire dalla furba presenza di quella “pastora” nel presbiterio. Basta mettersi d’accordo sui termini: si chiama finestra di Overton.
“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” Gesù non dà risposta a questa terribile domanda, che potrebbe anche intendersi: “Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede nella sua Chiesa?” Visto che tutto e il contrario di tutto potrà essere creduto e celebrato.
Con i migliori auguri,
Matteo Benedetti
Caro Matteo, lei continua con dietrologie ingiustificate. L’articolo a cui mi riferisco è del 26 marzo. Ma per rispondere a quello ho ricostruito la vicenda. Svelato l’arcano. Buona domenica
Grazie della risposta. Evidentemente i punti centrali della questione non sono affatto dietrologie.
Buona domenica anche a lei!
Mi associo ai sentiti ringraziamenti di Maria Cristina all’ intervento pregevole di Andrea a riguardo delle critiche a cui e’ stato sottoposto don Giuseppe Grampa da parte della giornalista della NBQ per la celebrazione eucaristica con la presenza di una pastora battista celebrazione alla quale ero presente.
Inviterei i giornalisti della NBQ a rileggere ,nei vangeli, le dispute tra Gesu’ e i sacerdoti, scribi e farisei.
Chi e’ l’ eretico?
Inoltre credo che la piu’ grande eresia idolatrica sia quella di pensare Dio “ cattolico”.
Federico
Gentile prof. Andrea Grillo, lei ha messo il dito sulla piaga.
Nel web ci sono dei siti cattolici, fra cui la NBQ, dove i sedicenti cristiani cattolici hanno la presunzione di dirsi “cristiani”, cioè seguaci del Cristo, solo perché sono rimasti incollati alla dottrina formulata nel Concilio tridentino imbalsamato, da cui non riescono a staccarsi più.
Altro che “sguardo diverso” nei confronti di altre tradizioni religiose! Sembra che il C.V.II sia stato solo una chimera, una pura illusione da cancellare dalla memoria.
Anche qui, nel suo blog, qualcuno va ripetendo, a sproposito, la domanda di Gesù: “Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” Come se la fede fosse da intendersi banalmente e ignorantemente come qualcosa di cattedratico e dottrinale e non, invece, un cammino continuo alla sequela di quel Gesù il cui insegnamento precipuo era l’accoglienza dei fratelli, cominciando dal dialogo con essi per costruire ponti e appianare le divisioni.
Cosa che, infatti, il nostro Papa sta mostrando chiaramente nonostante le molte critiche che lo bersagliano da ogni parte.
E tanti ecclesiastici, a diversi livelli, lo seguono meritoriamente su questa strada.
A me piacerebbe che altre persone competenti e determinate come lei, prof. A. Grillo, replicassero puntualmente alle argomentazioni strumentali e vacue che pullulano in certi siti tradizionalisti che, solo a una rapida scorsa, fanno cadere le braccia.
Colgo infine l’occasione per condividere totalmente l’intervento del sig. Federico Zanda.