Il giornalista intossicato e la messa in latino
Ormai da mesi sono quasi solo giornalisti a scrivere sulla messa in latino. Questo è il segnale penoso: si cercano gli opinionisti per “fare opinione”, anche quando non capiscono di che cosa stanno parlando. Un paginone del Corriere della Sera di ieri racconta la “diversità di Leone da Francesco” con tutti gli argomenti più ideologici che si conoscano: una cosa che fa sempre il suo effetto. Rende ragionevole e quasi accettabile una caricatura politica di Leone, riducendolo ad un capopartito con una sua sapienza politica, rispetto a quel rivoluzionario di Francesco, che prendeva le cose troppo di petto e lacerava la chiesa. Oggi lo scrive Franco, ma avevo sentito anche Paolo Mieli dire questa stupidaggine. Se si fa della messa tridentina una specie di “cartina di tornasole” della affidabilità politica di un papa, allora è chiaro che vince Leone su Francesco: 6-1 6-0. E forse anche i lettori del Corriere, che possono pensare che Massimo Franco sia attendibile sulla messa in latino come sulle correnti di Forza Italia, possono pensare che sia ragionevole credere alla sequenza di menzogne che quella pagina offre alla pubblica opinione, senza l’ombra di un minimo di vergogna. In generale, in questi casi, è il modo di considerare la questione ad essere distorto dalla droga politica: un giornalista come Franco è certo gravemente dipendente da quello stupefacente che è il “discorso politico”. E come tutti gli intossicati da un solo prodotto stupefacente, non fa che pensare in termini di “maggioranze e minoranze”, “mediazioni e consenso”, leadership e gradimento. Ma la cosa più grave è che queste forme di intossicazione da notizie politiche, pensano di essere molto scaltre, di saperla lunga, di guardare lontano, ma sono le prime voci a cadere nelle trappole dei furbi. Così il nostro opinionista diffonde, come se fosse una scoperta davvero clamorosa, la menzogna dell’estate scorsa: ossia quella che una giornalista senza scrupoli, e senza formazione, aveva diffuso come la notizia del secolo. Ecco lo scoop: la consultazione fatta da papa Francesco presso i vescovi aveva prodotto risultati opposti a quelli pubblicati nel 2021: la maggioranza dei vescovi era a favore della messa in latino, ma per non urtare Francesco si era detto il contrario. Se Massimo Franco fosse un vero giornalista, e non un opinionista che pretende di sostituire la realtà con le sue colonne di piombo, avrebbe facilmente verificato che questa notizia non solo è falsa, ma scaturisce dalla lettura capovolta di documenti ufficiali. Quello che la giornalista Diane Montagna ha fatto passare per uno scoop è una montatura basata sulla incapacità di capire il testo di cui è venuta in possesso. La consultazione ha dato esito largamente negativo verso l’uso straordinario del rito tridentino, ma la Sezione della Congregazione per la Dottrina della fede ha cercato di capovolgere le cose e di scrivere una “valutazione” contraria ai risultati. Una giornalista che non conosce le cose ha trovato nel cestino il documento bocciato giustamente, ma è libera di scrivere il contrario di quello che è e può così guadagnare l’applauso dei suoi amici tradizionalisti. Ma se Massimo Franco dà credito a queste panzane e fa passare Francesco per un dittatore e Leone per un uomo attento alla opinione dei vescovi, allora davvero la mistificazione del paginone del Corriere merita una risata pubblica. Dare come acquisite delle menzogne e giudicare i papi sulla base delle menzogne diffuse da giornalisti senza scrupoli non sembra un comportamento degno di una persona che voglia vantare una qualche autorevolezza. Ma non basta: non solo si capovolge la realtà, ma poi si chiama un certo psichiatra di Cleveland a sostenere che non si può vietare ciò che per XVII secoli è stato valido. Con altrettanta autorità si potrebbe obiettare: però mio zio la pensa diversamente! Un argomento finale, utilizzato da Franco come una specie di clausola spirituale, mostra quanto poco sia affidabile questo giornalismo da salotto, che si riempie la bocca di parola di cui non capisce il significato. La sentenza è questa: solo facendo la pace nella Chiesa (e quindi, secondo lui, liberalizzando il rito tridentino) è possibile fare la pace con le altre religioni. Anche qui, le categorie politiche superficiali sono la droga che annebbia la mente dell’opinionista. Ha mai pensato, Franco, che proprio la messa tridentina è diventata, da M. Lefebre in poi, l’arma di un cattolicesimo che pretende di resistere ad ogni “libertà religiosa” altrui? Non ha mai sentito parlare, il nostro opinionista intossicato dalla cronaca politica, della ostilità alla riforma liturgica perché considerata segno della “libertà di coscienza”? Non ha mai sentito questi “appassionati della messa tridentina” pretendere di parlare degli ebrei solo come “perfidi” e come “peccatori da convertire”? Non ha mai avuto il sospetto, almeno lontano, che proprio la indifferenza verso la liturgia riformata dal Concilio Vaticano II prepara le forme più gravi di intolleranza verso tutte le altre fedi, ritenute “discendere dal peccato”? Non ha mai letto, proprio in quella liturgia che lo psichiatra di Cleveland vuole conservare, la preghiera a Dio perché benedica in guerra gli amici e maledica i nemici? Come potremo fare pace con i conflitti tra fedi, se terremo come una possibilità della liturgia cattolica la benedizione della guerra? Prima di scrivere stupidaggini, fondate su notizie false e su opinioni infondate, Franco, come ogni giornalista, dovrebbe informarsi accuratamente. E’ vero, ci sono giornalisti che nascono imparati. Ma le loro produzioni sono capolavori di ideologia, non di giornalismo. Così è possibile leggere, da un giornalista intossicato dalle opinioni politiche, che Francesco avrebbe giustificato il superamento del rito tridentino sulla base della opinione della maggioranza dei vescovi. Così funziona il parlamento, di cui Franco parla fin troppo. Se avesse letto il documento di Francesco avrebbe capito che quello è il segno della pace nella Chiesa, perché in quel testo Francesco non ragiona come un politico, non si fonda su maggioranze, ma ragiona da teologo e da pastore. Non cerca le ragioni nel consenso delle opinioni, ma nella verità della tradizione. Evidentemente queste letture “sacre” sono al di fuori delle abitudini e forse anche della portata di Franco. Forse non le può capire. Forse non le può sopportare. Di una cosa, però, sono sicuro: a papa Leone sta a cuore non la falsa pacificazione, ma quella vera, come a papa Francesco. Quella falsa pensa che basti equiparare liturgia tridentina e liturgia della riforma: così pensa Franco, da politico, e così sembra pensare anche qualche post-teologo. Sono convinto che Leone sappia che la pace tra le fedi può scaturire solo se nella Chiesa cattolica si accetta la libertà di coscienza: la nuova liturgia la acquisisce, ma la liturgia tridentina la combatte. Questo non è colpa della liturgia del XVI secolo. Ma è colpa di chi, nel XXI secolo, vuole ostinarsi a celebrarla come se nulla fosse stato.






























Area personale











La situazione sarà questa: non verrà cambiata traditionis custodes, ma di fatto verrà concesso ad ognuno di fare quello che vuole, come successo nell’attuale pellegrinaggio a Roma, dove è stato addirittura celebrato un pontificale vetus ordo in San Pietro! Almeno Lei potrà continuare a dire che la legge è che esiste una sola forma del rito romano, ma i tradizionalisti continueranno con le settimane sante ante Pio xii ….un colpo al cerchio e uno alla botte! D’altra parte noi tradizionalisti esistiamo, e cosa può fare il papa? o ci sbatte fuori dalla Chiesa, o ci lascia vivere in pace!
Antonino Villani Conti 4 novembre 2025
Ottimo. Ha fatto benissimo, carissimo Grillo, a suonargliele di santa ragione. Avrei voluto essere vicino per darLe un bacio di cuore. Ormai è da parecchio che molti sciacqua lattughe si accingono a denigrare la persona e l’operato di quel sant’ uomo che risponde al nome di Francesco. Bravo, che Dio la benedica.
Il vescovo Carlo Maria Martini diceva spesso che di temi ecclesiali non dovrebbero occuparsi i giornalisti politici, ma quelli sportivi: più adusi a discernere il gioco di squadra che l’equilibrio delle correnti.