Il biglietto del bus come “operetta morale”
Piccolo viaggio romano con amico moralmente resistente
E’ una storia “normale”, che diventa singolare e sorprendente per l’esperienza media italiana. E’ una storia esemplare e curiosa, che non meriterebbe quasi attenzione, se non fossimo, ancora una volta, nel pieno di uno “scandalo” di corruzione.
Ma andiamo per ordine. Raccontiamo i fatti. Mi trovavo in una riunione a Roma, vicino a S. Maria in Trastevere. Le cose finiscono prima del previsto e quindi, con uno dei membri della Commissione di lavoro possiamo prendercela comoda e raggiungere la Stazione Termini con una passeggiata e poi con un bus. Così facciamo. Arriviamo fino a Largo Argentina a piedi e poi, da lì, aspettiamo il primo bus per guadagnare la stazione ferroviaria, dalla quale tornare alle nostre città. Lui a Firenze e io a Genova-Savona. Ma il bus che arriva sulla banchina è stracolmo di passeggeri. Così ci rassegniamo ad un viaggio nella scatola di sardine. Saliamo dalla porta centrale (è una infrazione, ma a Roma, dopo qualche giorno, non la si percepisce più) e alla chiusura delle porte siamo “inscatolati” a dovere. Sorge subito nel mio amico il problema: come obliterare il biglietto? I margini di movimento sono nulli e le due obliteratrici, in testa e in coda, sono equidistanti ed equamente irraggiungibili. Leggo sul suo volto, per tutto il tragitto, il desiderio di raggiungere l’irraggiungibile e di compiere l’impossibile. Per lunghi minuti il mezzo compie le sue traiettorie nel traffico cittadino del tardo pomeriggio, con piccole discese e salite di clienti, che non modificano la “alta pressione” alla quale siamo sottoposti.
Finalmente arriviamo al piazzale davanti a Termini. Quando si aprono le porte, l’intera massa dei passeggeri si precipita fuori dal bus e noi due, che eravamo in posizione centrale, restiamo tra gli ultimi, mentre il mio amico inizia la sua performance più importante, dicendo: “Se non lo facessi, ora, come potrei continuare a insegnare teologia morale ai miei allievi?” Così con l’autobus fermo, vuoto, il motore spento, l’autista rilassato che consulta un libretto o forse firma qualche documento di viaggio, ecco che il mio amico morale estrae il suo biglietto, lo inserisce nella obliteratrice e “paga” il servizio ricevuto. E mi dice: “tu non sei obbligato, Andrea”. Ma come non seguirlo? E anch’io inserisco a mia volta il mio biglietto, la macchinetta lo registra, e scendiamo sul marciapiede.
Siamo sorridenti. E’ stata una cosa forte, ordinaria, ma indimenticabile. Un caso di “resistenza”, una piccola attestazione di senso del dovere. “Forse ci hanno fatto una foto?” dice ironicamente l’amico morale. “Bisognava farlo” aggiungo io, ma penso: “Solo grazie a te ho potuto farlo”. Il senso comune forse non capisce. Lo sguardo disincantato forse dubita o ironizza. Senza rigidità e senza giudizio verso comportamenti diversi e non incomprensibili, è stata per me una piccola operetta morale. Della quale ringrazio l’amico. Di cuore. Nell’Italia che ruba, che evade, che raccomanda, che chiede tangenti, che falsifica i rimborsi, esiste anche questo. Se Dio vuole, un gesto di libertà è sempre possibile.






























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