De mulieribus ordinandis: percorsi nelle fonti teologiche medievali (/3). Una fonte rabbinica della teologia cristiana circa la donna?


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Come abbiamo visto nel post precedente, le fonti medievali che stanno all’origine della “fase scolastica” della teologia cristiana – ossia Ugo di S. Vittore e Pietro Lombardo – citano all’inizio della discussione intorno alla “creazione della donna” una esegesi di Gn 2,22, in cui alla parola biblica di “fianco/costola” si avvicinano, per analogia, i termini “capo” e “piedi”, quasi ad escludere gli estremi e al fine di conseguire un senso di pienezza e di equilibrio nella creazione della donna dalla costola di Adamo. Una simile lettura sapienziale, presente in queste fonti originarie del sapere scolastico, viene utilizzata per escludere sia un primato del femminile sul maschile, sia una riduzione servile della donna rispetto all’uomo. Si propone invece una lettura della “creazione dalla costola” come affermazione di una “societas”, di una “comunione d’amore”, di una “alleanza” tra uomo e donna, inscritta nell’atto stesso della creazione. Questi testi, scritti entrambi a distanza di pochi anni – da Hugo presumibilmente tra il 1136 e il 1141, mentre da Petrus tra il 1150 e il 1152 – costituiscono un piccolo rompicapo per la critica, perché appaiono “senza padre né madre”, quasi come Melchisedek: non sembrano avere precedenti nella cultura teologica latina. Né sembra esservene traccia neppure nella cultura greca.
Pare invece che vi sia, nella tradizione ebraica, una linea di lettura del racconto della Genesi che potrebbe avere fornito la base per la elaborazione della prima scolastica. Tale lettura appare nei commenti rabbinici alla Genesi, risalenti ad un periodo collocabile tra il IV e VI secolo d. C. Tuttavia, a loro volta, i testi di questa tradizione – chiamata del Bereshit Rabbah – elaborano il testo ebraico secondo una linea di interpretazione diversa da qualle poi assunta dalla riflessione cristiana, circa mezzo millennio dopo. Proviamo a leggere un passo significativo e sorprendente di questa tradizione, per il cui reperimento ringrazio la dott. Claudia Milani, che me lo ha gentilmente segnalato.

Il Bereshit Rabbah (XVIII, 3)

Ecco il testo, risalente tra il IV e il VI secolo d. C., in cui si presenta una versione antecedente – con analogie, ma anche con grandi differenze rispetto a quella di Hugo di S. Vittore e di Pietro Lombardo:

“R. Jehoshua di Siknin in nome di R. Levi disse: E “formò” è scritto “meditò” perché pensava di doverla creare 4 . Disse: “Non la creò dalla testa perché non si insuperbisse; non dall’occhio perché non fosse ansiosa di vedere; non dall’orecchio perché non fosse curiosa di sentire; non dalla bocca perché non fosse chiacchierona; non dal cuore perché non fosse gelosa; non dalla mano perché non toccasse quanto fosse a portata della sua mano; né dal piede perché non fosse girellona: ma dal posto che nell’uomo è nascosto, e quando l’uomo è nudo quel luogo è ancora coperto. Per ogni membro che le foggiava, le diceva: Sii una donna modesta, una donna modesta, tuttavia: Avete trascurato tutti i miei consigli e la mia riprensione non avete gradita (Prov. 1, 25). Non l’ho creata dalla testa, ma essa si è insuperbita, come è detto: E camminano con il collo teso (Is. 3, 16). Né dall’occhio, ma essa è ansiosa di vedere, come è detto: Sono ansiose di vedere (Is. 3, 16) 5 . Né dall’orecchio, ma essa è ansiosa di sentire, come è detto: E Sara ascoltava all’ingresso della tenda (Gen. 18, io). Né dalla bocca, ma essa è chiacchierona, come è detto: E parlò Mirjam … contro Mose , ecc. (Num. 12, 1). Né dal cuore, ma essa è invidiosa, come è detto: E Rachele ebbe invidia di sua sorella (Gen. 30, 1). Né dalla mano, ma essa tocca tutto: E rubò Rachele gli idoli di suo padre (Gen. 31, 19). Né dal piede, ma essa è girellona: E uscì Dinàh, ecc. (Gen. 34, 1)”.

Questa forma di esegesi, come è evidente, gioca a mettere in correlazione non tre organi come origine della donna e disposti in forma esemplare, dall’alto al basso, secondo la logica del racconto di Hugo, ma elabora una sequenza che coinvolge i diversi “sensi” e le diverse “facoltà”: essa enumera, infatti, ben 7 possibili alternative alla “costola”: ossia la testa, l’occhio, l’orecchio, la bocca, il cuore, la mano, il piede. Ognuno di questi “organi” viene scartato dal disegno di Dio, per evitare squilibri e spiacevoli eccessi, ma viene recuperato in modo “subdolo” dalla esperienza della donna. In questa esegesi, quindi, la creazione della donna appare quasi come uno scacco per Dio, che viene contraddetto nelle sue stesse intenzioni originarie. In un certo senso, si proietta sulla creazione il cono d’ombra della caduta e del peccato, che viene così a segnare pesantemente l’intera sfera della esperienza femminile. Ciò che negli autori medievali è stato riletto e orientato ad un riscatto della esperienza femminile, qui viene utilizzato, invece, come una conferma, e addirittura una accentuazione, della “inettitudine” e della “inaffidabilità” della donna. Da notare è la costruzione simmetrica e ripetitiva del testo, secondo una tecnica tipica del midrash.

Una singolare ibridazione di testi

Se alla costola non si sono affiancate “due”, ma “sette” possibili alternative (ossia testa, occhio, orecchio, bocca, cuore, mano, piede), ciò è accaduto, come abbiamo visto, per una lettura non “di equilibrio” tra eccessi, ma di “incremento” di eccessi. Quasi a sottolineare la “natura manchevole” della donna. E interessante che questo elenco di parti del corpo sembra corrispondere, quasi esattamente, agli organi delle 7 unzioni previste dal rituale della “estrema unzione” del Rituale Romanum del 1614. Le differenze sono costituite dalla “testa”, assente nel secondo elenco, che invece presenta le narici, assenti nel primo; e dalla sostituzione del “cuore” con le “reni”.

Ecco il testo tratto dal rituale del 1614:

“Quinque vero corporis partes praecipue ungi debent, quasi veluti sensuum instrumenta homini natura tribuit, nempe oculi, aures, nares, os et manus: attamen pedes etiam et renes ungendi sunt”.

La tradizione tridentina recepisce la teologia medievale, che interpretava la unzione “a rimedio del peccato” e così la formula con cui ogni organo viene unto ricorda che ciò avviene “quidquid per visum, per odoratum, per tactum… deliquisti”, ossia in rapporto alle “mancanze” avvenute attraverso quel particolare organo.  Gli organi sono unti in quanto “fonti di mancanze”, mentre nel racconto della creazione della donna gli organi sono quasi “argomenti naturali” per sottolineare le “mancanze” della creatura femminile. Almeno sulla base di questo testo, la fonte ebraica sembra aver dato ai primi scolastici solo la forma di un paragone, ma non il suo contenuto. Tuttavia è presto per trarre conclusioni affrettate: si tratta di una ricerca che merita di essere proseguita.

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