Come ridurre “Amoris laetitia” ad un “cerotto”. Istruzioni per l’uso firmate J. Allen
Se un attento giornalista come J. Allen appare talmente sottoposto a pressione dalla attesa del testo di Amoris Laetitia, da non saper provare alcuna letizia e da disporsi mestamente ad una “triste recezione” del testo – come dimostra nel suo Pope’s big call on Communion may mean little on the ground, che si può leggere a questo indirizzo http://www.cruxnow.com/church/2016/04/02/popes-big-call-on-communion-may-mean-little-on-the-ground/ – evidentemente qualcosa di grosso deve essere in ballo.
Vorrei brevemente riassumere le due tesi del noto commentatore americano:
– I documenti vaticani hanno diversa natura: possono essere Encicliche, Istruzioni, Mutu Proprio, ma questa è una classificazione formale, mentre più utile potrebbe essere distinguere tra quelli di cui si parla sui giornali, ma che hanno poco effetto nella realtà, e quelli che invece riescono ad influire davvero sulla realtà ecclesiale. E qui Allen cita un esempio di documento “ininfluente”, ossia Summorum Pontificum, ma l’esempio serve al giornalista per avanzare l’ipotesi che anche la prossima Esortazione Apostolica potrebbe avere una sorte simile;
– “Amoris laetitia” – proseguendo la sua riflessione e proponendo anche un azzardato parallelo con Humanae Vitae – sarà destinata ad avere scarso effetto per due motivi: da un lato perché offre la comunione a molti che non vanno più a messa; d’altro canto, perché offrirebbe una soluzione caso per caso a singole situazioni irregolari, non facendo che confermare quello che già accade in larga misura. Ecco provato – secondo Allen – l’effetto mancato del prossimo documento.
Se è del tutto legittimo che anche un giornalista possa avanzare le sue brave profezie su un testo ignoto, tuttavia un profeta di sventura così incoerente sarebbe difficile da inventare, se non fosse reale. E questo almeno per tre motivi:
a) Propone un paragone senza alcun fondamento e solo “retorico”
Allen rivendica la libertà di distinguere tra documenti ecclesiali secondo un criterio molto “pratico”. Ma lo fa mettendo a paragone due testi del tutto incomparabili, se non per il fatto di essere stati firmati da pontefici romani. Anche ad uno sguardo superficiale tutti possono comprendere che tra “Summorum Pontificum” e “Amoris Laetitia” appaiono vistose dissomiglianze:
– un Motu Proprio è, come dice il nome stesso, iniziativa di un singolo, mentre la Esortazione Apostolica Postsinodale è il frutto di una complessa mediazione di ascolto della Chiesa e dell’Episcopato;
– SP ha determinato una sottrazione di competenze episcopali, mentre AL prevederà certamente un incremento della autorità episcopale.
– SP riapre l’uso di pratiche che la Riforma liturgica aveva ufficialmente superato, mentre AL proporrà molto probabilmente una rilettura complessiva della tradizione matrimoniale e familiare, aprendo a nuove prospettive la azione pastorale e la formazione ecclesiale.
Anche solo considerando questi tre profili – ma altri si potrebbero citare in modo pertinente – appare evidente quanto l’esempio sia forzato e fuorviante. L’esito deludente di SP era dovuto precisamente alla sua mancanza di fondamento nella realtà e alla sua astrattezza; applicare queste categorie a AL significa ignorare non solo la genesi, ma anche la realtà familiare a cui il prossimo testo cerca di dare risposta. Mentre SP creava una irrealtà fittizia, AL vorrà rispondere a realtà urgenti, che attendono una parola nuova, fresca, non autoreferenziale. J. Allen cerca di mettere sullo stesso piano uno dei vertici della autoreferenzialità ecclesiale, con un documento che cerca di uscirne. Questo mi pare molto ingiusto e molto scorretto.
b) Offre indirettamente una lettura riduttiva del documento, schiacciato solo sui “problemi di irregolarità”
Altrettanto significativo è il fatto che del testo futuro Allen sembra ricordare soltanto il versante di rimedio alle “irregolarità”. Non si dovrebbe dimenticare che il prossimo testo, secondo quanto elaborato dai due Sinodi, cercherà di rileggere integralmente la pastorale matrimoniale e familiare, dandone una meditazione complessiva. Su questo punto Allen non sembra disposto ad ascoltare. Quasi che, per lui – solo per lui? – gli unici problemi delicati debbano essere quelli delle risposte alle “irregolarità”. Egli non sembra cogliere lo slancio con cui papa Francesco ha voluto, fin dal 2013, sollecitare ad una riflessione complessiva, che sappia ripensare integralmente la “letizia dell’amore”, per onorare il positivo e per rimediare al negativo, secondo uno stile e un linguaggio nuovo. Su questo Allen sembra restare sorprendentemente indifferente e quasi annoiato. Come se temesse di dover riconoscere che non è la patologia, ma la fisiologia matrimoniale e familiare a meritare un profondo ripensamento.
c) Propone un altro paragone avventato, con Humanae Vitae
Infine, a completare il quadro, Allen propone un parallelo tra AL e Humanae Vitae: nel secondo documento Paolo VI aveva detto “no”, mentre nel primo documento forse Francesco dirà “sì”. Anche qui il paragone è illusorio. Non solo perché HV era documento “specifico” su un tema, mentre AL è documento di ampio respiro e complessivo, ma soprattutto perché non si tratta di dire sì o no, ma di articolare diversamente il linguaggio e lo stile con cui si affrontano le questioni, rimettendo a posto le priorità. Ma sono proprio le priorità che questo commentatore dimostra di non voler mutare.
Anche J. Allen – come già era capitato a un altro giornalista nell’ultima conferenza-stampa “in quota” di papa Francesco – proponendo una “profezia” tanto distorta e parziale della prossima Esortazione Apostolica, dimostra di non voler parlare della buona salute e della malattia del matrimonio e della famiglia, ma di voler discutere di un singolo “cerotto”! E con questa tristezza e indifferenza nel cuore e sulla bocca, egli rischia di trovare sotto i suoi occhi, il prossimo 8 aprile, non il testo di “Amoris laetitia”, ma quello di “Acediae maestitia”.
[…] Pubblicato il 4 aprile 2016 nel blog: Come se non […]
Comunque che già nella maggior parte delle parrocchie i divorziati facciano la comunione (compresa la mia) è vero, quindi all’atto pratico sarà rivoluzionario sancire che si giudichi caso per caso, ma nella realtà spesso non si perde nemmeno il tempo di fare quello. (in pratica si da la comunione a tutti e stop).
Con l’aggravante che lasciando una certa libertà alle varie conferenze episcopali quelle di manica larga largheggeranno ancora di più e quelle più severe diventeranno ancora più severe.
Nel frattempo non credo che la situazione delle famiglie (cioè l’aumento di divorzi, convivenze e in ogni caso la fragilità nel costruire relazioni stabili) migliorerà di botto.
Tra parentesi mi pare che il sinodo sovrastimi le forze delle parrocchie e delle comunità locali (ad esempio quando chiede di accompagnare le coppie appena sposate o in difficoltà o appena divorziate, per farlo serve un bel gruppo di coppie così stabili e solide da poter aiutare anche gli altri, spesso mancano i catechisti figurati i gruppi di supporto.
Mi pare che non sia giusto dimenticare che AL vuole rioensare complessivamente la questione e non mettere toppe al sustema. Uni sguardo tanti disincantato sembra aver smarrito totalmente lo slancio pastorale del Concilio. E questo è grave, soprattutto se è addirittura in anticipo sul documento.
Ok, vero, però la secolarizzazione dai tempi del concilio e’ aumentata, allora l’apertura ai laici era una scoperta oggi e’ una necessità, ma siamo sempre gli stessi non è un documento che cambierà le cose.
Poi vedremo.
E’ evidente che per “cambiare le cose” non basta mai un documento. Ma anche un documento, se autorevole e lucido, permette la crescita di quella coscienza, senza la quale nulla cambia mai davvero. Comunque sono d’accordo sull’ultima frase: poi vedremo. Lasciamo al documento la parola. La prenderà non prima di venerdì.
Don Franco Ardusso, di felice memoria, diceva se non ricordo male, che un documento pontificio di più di 90 pagine è sicuramente poco utile. probabilmente dannoso (quindi che ci sono già valiude ragioni per non leggerlo). Un tempo anche l’estensore di questo blog condivideva simili critiche all’inflazione cartacea del magistero … Mi pare che abbia cambiato idea. Comunque la previsione del defunto maestro non mi pare azzardata: in duecento pagine tutti troveranno tutto e il contrario di tutto, come già si è visto, more jesuitico. Quindi “patientiae laetitia”.
Non credo che citare don Franco sia qui pertinente. I documenti pontifici possono essere di varie dimensooni. La loro qualità non dipende solo dalla mole. Quanto alla inflazione riguarda i documenti inutili. Che il prossimo documento sia inutile è una opinione che aspetterei a dire solo dopo averlo letto.
Capisco, per lei i documenti inutili (o forse sgraditi?) sono quelli di san Giovanni Paolo II e del suo successore, adesso è tutta un’altra cosa …
Ognuno è sempre libero di capire quello che vuole e quelko che può
Probabilmente è questa “inversione” di certi ambienti che ieri liquidavano con sufficienza il magistero pontificio e oggi passeranno al microscopio AL in attesa di rivoluzioni che criticava Allen
Io la leggero’ con grande piacere però ho amato anche la Deus caritas est. (a volte pare che fino a ieri non si sia mai parlato di amore nella Chiesa, questo risulta un po’ fastidioso)
Quando il magistero perde contatto con la realtà compito del teologo è segnalarlo. Se a lei piace una teologia di corte…de gustibus…
E’ lontana dalla realtà anche l’immagine di folle di divorziati pronti a sottoporsi a cammini penitenziali per la comunione ed è quello che diceva l’articolo da lei criticato
Se molti fedeli in occidente (magari in Argentina è diverso) già fanno la comunione quale cambiamento reale si aspetta?
E se invece parla di ritorno al profetismo conciliare non cade anche lei nell’ideale?
Per il cambiamento vero serviranno le solite cose da costruire piano piano.
E torniamo ad Allen.
Saluti
Il cambiamento è dare statuto teologico e pastorale e prendere atto ufficiale della realtà. Quello che Allen non fa per paura e per mancanza di una teologia adeguata e di qualità. La sua teologia ex auctoritate genera solo disperazione e presunzione. Una Chiesa disperata e presuntuosa è ciò che dobbiamo superare. Certo con fatica. Ma con determinazione e senza qualunquismi D altra parte Alken è giornalista w non teologo…
Si ma anche Francesco quando chiede di essere più accogliente con gli immigrati è lontano dalla realtà dei cittadini europei che evidentemente non li vogliono.
Lei, da teologo, come definirebbe la posizione di Francesco che parla di misericordia in un mondo dilaniato dalle guerre realista o idealista?
Infatti il Salvini di turno gli dice di star zitto.
Solo per dire che la questione è sempre più complessa degli schemi.
Brava Angela!
E giusto quello che afferma d. Guglielmo: il capitolo VIII è un’elastico che potrà essere tirato dalla parte che si vuole. Non solo, ma affidare al sacerdote il peso e la responsabilità del discernimento, quando per appurare la verità di certi casi matrimoniali si esigono competenze morali e canoniche molto alte, non è un segno di… “discernimento”. Come l’idealistico e imprudente rimando all’intervento diretto del vescovo nelle cause di nullità, previsto dal Motu proprio Mitis Iudex, quando un documento della Santa Sede del 2006 stabiliva esattamente il contrario: che i vescovi, data la “meravigliosa complicatezza” di queste pratiche, lasciassero la valutazione a chi aveva le competenze necessarie. E ora questa competenza dovrebbe passare niente di meno che nelle mani del presbitero di turno. Stiamo freschi.
Ma capisco la posizione di Grillo, dopo quello che ha scritto nel suo libretto “Indissolubile?”.
Pensare che le competenze stiano fiori dalla relazione ecvlesiale è una gorma di arretratezza fatale. Per risolvere le vosr per leo c è solo la via di tornare a una società chiusa. Era una soluzione già finita ai tempi di FC. Poveri noi.
Si Grillo ma anche lei lo vedrà nella sua parrocchia. La maggior parte delle persone che accede ai sacramenti (dal battesimo per i figli in su) va a messa una volta l’anno e anche meno. Come fa a discernere il sacerdote di fronte a persone che vede per due o tre incontri e poi più?
Certo per chi frequenta stabilmente e’ diverso perché conosci il vissuto, le storie, per questo in fondo c’è molta apertura e tolleranza alla base.
Quelle persone sono figli, amici, parenti di tutti, quindi…
Detto ciò l’esclusione alla comunione aveva anche carattere comunitario. Essendo pochi i divorziati 30 o 40 anni fa era un monito anche per gli altri.
Oggi in certe realtà (soprattutto del nord ) tra divorziati e conviventi sono più gli irregolari che i regolari il richiamo comunitario evidentemente ha meno senso.
Messa così il cambio di passo ci sta tutto però io non riesco a non vedere in questo una piccola resa.
L’AL comunque è molto bellina e in fondo e’ un grosso si all’amore, al matrimonio e alla famiglia, non è poco nemmeno questo.
Buona domenica
Ricambio l’augurio di Buona Domenica. Capisco le sue osservazioni. Ma mi pare che si debba lasciare emergere una differenza di fondo. Mentre prima, fino a ieri l’altro, tutto era in qualche modo “gestito clandestinamente” con maggiore o minore lucidità, con maggiore o minore rigidità o lassismo – oggi tutta la Chiesa è chiamata, formalmente, ad assumere una linea “ufficialmente differenziata”. Lei dice che è un segno di debolezza. Io dico che è un segno di forza. La “pedagogia della legge” – che nessuno potrà mai negare – ha i suoi limiti. E’ più saggio e più sano ascoltare, accompagnare, discernere e integrare, alla luce del sole. E con tempi non automatici.
È un segno di resa nel senso che si cambia prassi penitenziale perché non si è riusciti a frenare la secolarizzazione, la crisi della famiglia e la diffusione del divorzio.
Finora si è cercato di tenere insieme legge e prassi misericoridiosa adesso siamo costretti ad ammettere che è’ saltata la distinzione stessa tra regolari e irregolari.
In pratica il Papa chiede di evangelizzare da capo in questioni che fino a 50 anni fa erano pacifiche per tutti.
Lo dico senza particolare pessimismo sia chiaro.