Cammino sinodale italiano: molte ricchezze, un bel tono, piccole resistenze


SLIDE DOCUMENTO DI SINTESI

Non è difficile rallegrarsi per il lavoro compiuto nel recente percorso annuale, che va dal novembre 2024 a questo ottobre 2025. Il serio impegno su tutti i livelli ecclesiali (dal centro alla periferia) ha prodotto un documento che merita una lettura attenta (il testo del Documento di Sintesi si può trovare a questo link: https://www.chiesacattolica.it/cammino-sinodale-online-il-documento-di-sintesi-lievito-di-pace-e-di-speranza/) . I tre capitoli di cui è composto delineano il quadro di una Chiesa italiana non ripiegata su di sé e attenta alle principali sfide del nostro tempo. Una appendice descrive il percorso compiuto, essenzialmente dal 2021 ad oggi, per la elaborazione del cammino sinodale, che trova non solo nel documento, ma in uno stile, il suo punto di arrivo.

Un esame dettagliato di tutto il testo non può essere qui proposto. Mi limito soltanto ad esaminare più nel dettaglio l’aspetto liturgico, nell’ambito dei capp I e II, e l’aspetto della “partecipazione al governo della Chiesa”, nel cap. III. Premetto solo un cenno all’importante tono generale del capitolo I.

a) Il respiro del tono

Fin dalle prime righe del testo, non è difficile cogliere il valore del tono generale con cui si parla, dall Introduzione ai paragrafi iniziali del Cap. I. L’attenzione al linguaggio, che è anche uno dei temi del testo, è impiegata con finezza dal forma linguistica del testo. Il richiamo al confronto con la profezia e con la cultura, alla esigenza del ricorso a nuovi linguaggi, alla ripresa del primato della povertà, insieme alla preziosa risorsa della immaginazione, costellano il testo di espressioni convincenti, senza nostalgia e con coraggio. Ha fatto bene a tutti il confronto, la discussione, l’ascolto dell’altro, per svecchiare il linguaggio e per rinnovare la speranza. Questo non era affatto scontato. Lo abbiamo visto nel percorso di questo ultimo anno. La disposizione del materiale, che oggi appare convincente, ha trovato, sia all’inizio, sia nel mezzo del suo cammino, due inciampi semplificatori molto rischiosi, che forse facevano parte del “rischio insito di ogni sinodo”: ossia ridurre la complessità e chiudersi nelle autoevidenze del passato. La cosa appare molto chiara se si esaminano i due temi che ora mi accingo a presentare. La storia del discorso sulla “liturgia” e sulla “partecipazione al governo” mostrano bene questi “tornanti” cui si è esposto il percorso. Ma per salire di tono, come per salire in quota, qualche tornante non si può evitare.

b) Una liturgia senza riduzioni

Il testo dei “Lineamenti” che a novembre 2024 era stato presentato mostrava parecchie lacune (come si può leggere qui), ma il passaggio alle “50 proposizioni” del marzo 2025 non era stato affatto un gran progresso (come si può leggere qui). Forse proprio la constatazione di questa difficoltà nell’esprimere il cuore delle questioni riguardo alla liturgia (come a molti altri temi) ha permesso, nei successivi 6 mesi, di arrivare ad un testo molto più ricco, articolato e con proposte concrete significative. Sebbene tra novembre 2024 e marzo 2025 vi fosse stata la elaborazione di uno Strumento di lavoro più ricco, tuttavia il tono del discorso liturgico nelle 50 proposizioni restava privo di riferimento alla Riforma liturgica, orientato in modo troppo clericale e segnato da una lettura irrimediabilmente riduttiva della esperienza rituale. Ma la ricchezza del percorso di tre anni di confronto non era destinata a spegnersi. La forte reazione della assemblea di fine marzo scorso, compresi in essa molti vescovi e presbiteri, ha di fatto mutato le cose. Così ne è venuta fuori una elaborazione che trova ora una espressione degna, riflettuta, articolata, della questione liturgica nella chiesa italiana del 2025. I riferimenti fondamentali si trovano nel cap 1 (§§. 35-36) e nel cap 2 (§§. 46-58). Al centro sta la questione della formazione e della iniziazione, consapevole che il tema del linguaggio non sia solo affidata alla capacità di traduzione, ma sia questione di esperienza e di espressione delle relazioni, con Cristo e con la Chiesa. Questo ha permesso il superamento di una visione formalistica sia della liturgia sia dei sacramenti, che trapelava ancora in modo massiccio dai documenti precedenti. Molto fecondo sembra il fatto che il tema del “celebrare” sia inserito nel contesto dei nuovi linguaggi (§.33) e del coraggio di immaginare (§.34): di qui una lettura della iniziazione al rito come iniziazione al mistero, con una nuova attenzione alla dimensione dei linguaggi, senza nessun cedimento alle sirene del letteralismo nelle traduzioni, con una chiara presa di distanza dai criteri di aggiornamento liturgico utilizzati negli ultimi 25 anni. Ci troviamo, dopo due decenni di lavoro sui testi, a dover riprendere il percorso, con criterio non anzitutto apologetici, ma attenti alle relazione tra Cristo e la sua Chiesa. Tutte le proposte del §.36 vanno chiaramente in questa direzione. Lo stesso si deve dire del discorso liturgico proposto nell’ambito del cap. II. Anche qui il contesto è quello della “formazione alla maturità della fede” (§.44) e della “centralità della Parola di Dio” (§.45), dove emerge la liturgia (dei sacramenti e anzitutto della eucaristia) come alimento per la vita cristiana. Le proposte assumono con consapevolezza il bisogno di formazione di tutti i membri del popolo di Dio e chiedono expressis verbis la revisione dei testi liturgici, con una domanda che riguarda la efficacia comunicativa di testi e di simboli (§§.46-47). Una attenzione ai passaggi di vita, alla domanda di vita interiore, alle forme della pietà popolare, giunge infine al nodo della iniziazione cristiana (§§-54-57), come “chiesa che genera”. Su questo piano della “forma catecumenale” e comunicativa viene indicata come la via principe dell’atto di generazione alla fede. La integrazione delle competenze non trascura la forza originaria e finale dell’azione rituale, anche a costo di rivedere pratiche ritenute intoccabili (ad es. la collocazione del sacramento della penitenza nel cammino di iniziazione). Tutto questo richiede l’investimento sulla sperimentazione e sulla immaginazione pastorale, come priorità dell’immediato futuro.

c) Partecipare al governo della Chiesa

Il terzo Capitolo si occupa di una preziosa sintesi tra partecipazione e autorità (§. 64). Questa è la sfida da assumere:

«In questo spirito sinodale e missionario, andrà ripensato il servizio di guida delle comunità cristiane, a fronte di forme di esercizio dell’autorità ancora monocratiche e clericali, non adeguate a una fisionomia sinodale e fraterna di Chiesa, favorendo la corresponsabilità di tutti i battezzati, in modo da superare definitivamente la logica ancora perdurante del clericalismo, che peraltro non minaccia solo i ministri ordinati, ma anche i laici» (§. 65)

Il superamento del potere monocratico e il richiamo alla immaginazione e alla creatività verso nuove forme di esercizio del governo sono chiari. Si raccomanda per questo la “viva recezione dei documenti del Vaticano II” (§.66), che restano come un basso continuo del cammino ecclesiale di oggi e di domani, portando anche ad una nuova legislazione canonica. La storia è maestra di vita e aiuta ad avere coraggio. Se si guarda al passato e alle grandi svolte di allora non si avrà paura di introdurre cambiamenti, modifiche, precisazioni, aperture:

«Sono innumerevoli i cambiamenti che hanno segnato le strutture ecclesiali e l’esercizio dei ministeri nel corso della storia della Chiesa: oggi la mutata situazione socioculturale e la maturazione avvenuta sul piano ecclesiologico nella recezione del Concilio Vaticano II, a confronto con la sfida sinodale e missionaria, richiedono creatività e coraggio nell’elaborare nuove vie di partecipazione e cooperazione tra i diversi soggetti ecclesiali» (§. 67)

Così il ripensamento della parrocchia e le forme di “comunità di comunità” sono nuove sfide, legate al mutamento delle forme di vita e all’aumento dei “non luoghi”, da sostituire con luoghi di relazione e di incontro (cfr. §.68). Sugli organismi di partecipazione alcune prospettive di impegno sono delineate, senza troppa definizione e mettendo sempre in guardia dalla confusione tra organismi ecclesiali e parlamento (con una certa difficoltà ad acquisire le logiche democratiche di prevalenza della maggioranza sulla minoranza, sia pure in forma attenuata, ma con un loro rilievo). La guida episcopale e presbiterale della comunità deve scoprire la integrazione, nella guida, di altri soggetti: diaconi, laici, laiche, religiosi e religiose. Le modalità di questa partecipazione al governo devono essere studiate, in relazione alle nuove forme di vita. Anche sul tema dell’abuso in generale, pur restando un immaginario di “accompagnamento” spesso problematico, la determinazione esplicita all’accertamento della verità costituisce un segno chiaro di collaborazione con ogni istanza familiare o istituzionale.

Il superamento degli «stereotipi di genere» (§71) appare un passaggio notevole, in vista di una effettiva crescita del riconoscimento della autorità di tutti i battezzati. La promozione di un tavolo di studio e di ricerche accademiche può avere la funzione di “sblocco” delle menti e dei cuori, anzitutto sul tema della apertura del diaconato anche alle battezzate donne. Il riferimento al «genio femminile» (che non c’era nella versione di settembre) e che compare all’interno delle proposte, per quanto risulti solo incidentale, risuona in una certa tensione con il senso dell’intero §. 71. Se si vuole superare il pregiudizio di genere, ma si usano espressioni, per quanto autorevoli, di quello stesso pregiudizio, l’intento complessivo risulta meno lucido e meno efficace. Il “genio femminile” non è una terminologia che affermi davvero il superamento del pregiudizio di genere: piuttosto tende a confermarlo, sebbene “sub contraria specie”. In ogni idealizzazione resiste sempre anche una cultura dello scarto.

Importante è, infine, il testo della Appendice. Si tratta di una ricostruzione del “cammino sinodale italiano” che apre alla speranza e che ha conosciuto, al suo interno, passaggi non facili, ma affrontati apertamente e senza finzioni. Il testo che ne è risultato ha un titolo parabolico, che evoca il “lievito di speranza e di pace”. Questa immagine può bene rappresentare la autocoscienza della Chiesa cattolica italiana nella cultura contemporanea e indirizzarne meglio le priorità e i compiti, al costo di una conversione sinodale che chiede ad ogni battezzato (ordinato o meno) la disponibilità ad interpretare in modo diverso (più ricco e più complesso) il proprio ruolo di discepolo/a di Cristo.

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