Uno solo è lo Spirito


Pentecoste – A

At 2, 1-11 / Sal 103; 1 Cor 12,3b-7.12-13; Gv 20,19-23

 

Introduzione

La Pentecoste è la festa del «compimento» della Pasqua. Non è la festa dello Spirito, ma la celebrazione della vita nuova generata dallo Spirito del Risorto nella vita della Chiesa. È importante cogliere questa prospettiva per comprendere il senso di questa celebrazione liturgica. Infatti, non c’è alcun bisogno di «fare festa» allo Spirito, né di «fingere» che la Pentecoste non ci sia già stata e invocarne una nuova. Non siamo in attesa di un nuovo dono dello Spirito, ma celebriamo la vita nello Spirito che anima la Chiesa e rende attuale per lei il mistero pasquale del Signore morto e risorto, dipingendo sul suo volto i tratti del volto di Cristo.

Commento

Nella Bibbia ebraica la parola con la quale si indica lo «spirito» (ruach), nella varietà dei significati che può assumere questo termine, si potrebbe tradurre bene con «soffio». Nella Scrittura con questo termine si può indicare il vento, il respiro dell’uomo, il soffio di Dio. Riguarda quindi la natura, nella quale si può mostrare una realtà violenta o anche mite (Gn 3,8); riguarda l’uomo, come una realtà senza la quale c’è la morte, cioè il respiro (Sal 103,29), ma anche quella dimensione antropologica nella quale l’uomo vive la sua relazione con Dio; riguarda Dio come creatore (Gn 1,2; Sal 103,30), ma anche come ispiratore di profeti e re (1Sam 10,6; 10,10; Is 11,2). Lo Spirito di Dio è la forza che dà vita al creato. Da questo punto di vista è significativo il Salmo 33: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio (beruach) della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6).

La Bibbia ebraica conosce quindi un vasto campo di significati per il termine che noi usiamo per riferirci a quello che nel Nuovo Testamento diventerà lo Spirito santo. Non ogni volta che nella Bibbia si parla di spirito ci si riferisce allo Spirito santo, ma il vocabolario usato nella Bibbia ebraica è comunque significativo per comprendere anche il significato che il termine, tradotto in greco, assumerà nel Nuovo Testamento. Infatti, lo Spirito santo mantiene quella varietà di significati che il termine ruach ha nella Bibbia ebraica.

Lo Spirito santo mantiene le caratteristiche che la ruach (il termine è femminile in ebraico) ha in riferimento alla creazione. Innanzitutto è lieve e vigoroso, gentile e forte come il vento e la brezza leggera nella natura. Sconvolge come il vento impetuoso e, nello stesso tempo, sa entrare nell’intimo e toccare con dolcezza. È appunto lo Spirito che sconvolge la vita dei profeti, ma è anche quella forza non «esteriore» che sa toccare nell’intimo e può guidare ad una adesione piena e libera. È forza, ma non costringe: è Spirito di libertà.

Nella vita della Chiesa questo tratto del volto che lo Spirito assume è ciò che dovrebbe stare al profondo delle relazioni nelle comunità e anche del modo di esercitare il ministero e la responsabilità. Certo la forza… ma una forza che sa toccare in profondità e assume le caratteristiche della delicatezza capace di penetrare nell’intimo e di suscitare libertà.

Sempre in riferimento alla creazione lo Spirito è una forza di vita, forza creatrice. In questo caso il riferimento non è al vento della natura, ma allo Spirito di Dio come ad esempio ne parla il Salmo della liturgia di Pentecoste, il Salmo 103/104. Al v. 30 il Salmo canta: «mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra». Lo Spirito santo, assumendo anche questa sfumatura del termine nell’Antico Testamento, è quindi forza creatrice e di rinnovamento. Nella vita della Chiesa è la garanzia di perenne giovinezza e vitalità, di creatività e novità. È lo Spirito nella vita della Chiesa che rendere sempre nuove e attuali le parole della Scrittura, che impedisce che il messaggio di Gesù diventi un corpo morto di verità, di norme e di precetti.

Ma lo Spirito santo assume anche i tratti del termine ruach che nelle Scritture ebraiche si riferiscono allo spirito dell’uomo, al suo respiro. In questo senso lo Spirito è una realtà vitale senza la quale si muore. È sempre il Salmo di questa domenica che ci rivela questa dimensione: «Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere» (Sal 103/104,29). Qui non si parla dello Spirito di Dio, ma del «loro spirito», cioè lo spirito delle creature viventi. La ruach come respiro è quindi una realtà senza la quale non c’è vita. Il respiro è un ritmo interno che noi non possiamo controllare, se non in minima parte, che continuamente accade senza che noi lo vogliamo e comandiamo al nostro corpo di metterlo in atto. Nella ruach come respiro emerge la gratuità della vita e la sua dimensione di dono.

Nella vita della Chiesa questo tratto del volto dello Spirito santo indica che essa vive di una vita che non si è auto-donata, ma che ha ricevuto e continuamente riceve in dono. È il mistero della vita della Chiesa, che non è riducibile alle sole forze umane, alle strategie pastorali. Nella realtà dello Spirito la Chiesa si scopre in vita per dono; coglie che la sua vita non le appartiene, non la può determinare, né controllare.

Infine, lo Spirito santo assume anche i tratti che il termine ebraico ruach nella Bibbia ha in riferimento a Dio. I tratti dello Spirito di Dio. Forse sono quelli che noi pensiamo più abitualmente dal momento che lo Spirito santo del Nuovo Testamento sembra coincidere con lo Spirito di Dio di cui parla l’Antico. Come abbiamo detto, la ruach di Dio, che già abbiamo visto come forza creatrice, è forza che suscita profeti e re, che manda in missione, che dà voce la parola di Dio.

Così nella vita della Chiesa questo Spirito di Dio è ciò che rende attuale nell’esistenza di tutti i credenti la dimensione profetica, sacerdotale e regale. L’unico Spirito di cui parla la seconda lettura che feconda di doni molteplici la sua Chiesa.

Conclusione

La pluralità di significati del termine ruach nella Bibbia ebraica ci può aiutare a comprende la molteplicità dei tratti del volto dello Spirito santo e il suo «posto» nella vita della Chiesa. Così la Pentecoste è il compimento della Pasqua: è lo Spirito che rende pasquale la vita della Chiesa.

 

 

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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