Un Dio che sorprende


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La conferenza di Raniero La Valle, tenuta ad Assisi il 28 agosto 2017 dal titolo Un Dio sorprendente non tarderà certamente – così almeno spero – a fare il giro del mondo. È fin d’ora disponibile anche in lingua francese.

Vorrei scrivere qualcosa in contrappunto a questa interpretazione lungimirante dell’avvento/evento che papa Francesco rappresenta per il mondo e per la Chiesa.

Appare infatti chiaramente che può essere tracciata una linea profetica continua che va dalla prolusione in apertura del Concilio Vaticano II, Gaudet Mater Ecclesia, fino alla bolla d’indizione dell”anno della misericordia Misericordiae Vitae. Raniero La Valle pone in rilievo alcuni documenti ed avvenimenti che hanno segnato questi sessant’anni, nei quali si manifesta una visione d’insieme «inedita» della fede e del compito dei cristiani. Si potrebbe dire: una scoperta inedita della salvezza.

I due papi, Giovanni e Francesco, hanno rotto con la cattiva coscienza, il lamento ripetitivo circa la colpa e l’errore, il giudizio negativo sul mondo presente, l’interpretazione cruenta della Redenzione etc… e hanno riportato l’attenzione sulla Pace nelle nostre terre (Pacem in terris) e sulla risorsa infinita del Vangelo (Evangelii Gaudium)

Raniero La Valle sottolinea che, dai bambini deceduti senza il battesimo, fino ai più lontani dalla fede o ai più grandi tra i peccatori, il magistero della Chiesa oggi percepisce che il Vangelo è per tutti, raggiunge tutti e salva tutti.

Si potrebbe sottolineare come questo approccio aperto sia quello che i più lucidi tra i cristiani del nostro tempo hanno riconosciuto e sperimentato. Cito qualche nome, come mi vengono in mente: Dietrich Bonhoeffer, Teresa del Bambin Gesù, Madeleine Delbrel, Maurice Zundel, Roger Schutz… Là dietro, o piuttosto lì davanti, c’è soprattutto una nuova percezione di Dio stesso, una sorta di svelamento, consentito al nostro tempo, della verità da sempre rivelata: «Dio è amore», questo è il suo Nome; c’è una nuova intelligenza a riguardo di ciò che dice in verità questa parola.

Si tratta veramente di una profezia, cioè di una parola (nel senso più pieno del termine) suggerita dallo Spirito a questi uomini e a queste donne, che indica un discernimento, consegna un orientamento, mette in moto il cuore e l’intelligenza di coloro che ascoltano, cosicché venga presto il Regno di Dio.  Una parola del genere corrisponde alla situazione presente e la indirizza nella giusta direzione. Vorrei riassumerla con una formula: noi siamo invitati a pensare e a praticare Umanità, prima ancora di pensare e praticare Chiesa.

Ai numeri 13 e 16, la costituzione Lumen Gentium parla della cattolicità del popolo di Dio, che include tutti a vari livelli, il che invita senza dubbio ad un compito globale: il popolo degli amati di Dio, con differenti risorse umane e spirituali a disposizione, «nel cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide» (testamento di Giovanni XXIII). In questa universalità, la Chiesa, essa pure nelle sue differenze, ha ricevuto la conoscenza di Gesù Cristo, del Vangelo, del senso ultimo. La sua mediazione, si dirà, non ha pari; essa offre la luce e la forza dello Spirito, nella misura in cui la riconosce al suo interno, ma anche altrove. Essa testimonia ciò che ha ricevuto, ma anche ascolta.

C’è ancora profezia, perché ciò che i nostri profeti annunciano non è solamente un dato di fatto, ma è anche e allo stesso tempo un compito. Francesco è lucido quando parla del lato oscuro  di questo mondo, e la paura, diciamo pure il terrore, di ciò che sembra giungere ineluttabilmente: la rovina della «casa comune» e dei suoi abitanti.

Ma questo non è ineluttabile ed è anche stato profetizzato che, se tutti si impegnano, ciascuno al proprio posto e secondo le proprie possibilità, i semi di giustizia e di verità possono germogliare e, di fatto germogliano. La profezia non nasconde i pericoli, ma, ancorata alla speranza della salvezza, mette in cammino.

A questo proposito vi è una costante nelle parole di papa Francesco: all’inizio, la preghiera, cioè l’umile ricorso a Dio che, per i cristiani, è inserzione sacramentale in Cristo e costruzione del Corpo (liturgia); quindi, il ritrovarsi con altri uomini là dove ci si trova (al contempo testimonianza reciproca e comunione) in vista dell’azione che può portare alla comunione e alla collaborazione con tutti, specialmente i più poveri (diaconia).

Francesco insiste sul fatto che la piccolezza di ciascuno non è un ostacolo. Connessa a quella di tutti essa diviene forza. Perché la profezia ci consegna la salvezza in abbondanza, la quale ci mette in cammino senza indugi.

Una difficoltà viene dal fatto che ogni profezia, per il fatto che apre prospettive nuove, smuove l’istituzione, in sé stessa buona e utile in un precedente contesto, ma che non può restare tale alla luce, e sotto la forza, del nuovo soffio.

Qui si profila il fariseismo. Quest’ultimo non è, inizialmente, riprovevole. È prima di tutto l’attaccamento spontaneo a ciò che ha dato prova di sé in passato, il rifiuto di muoversi prima di aver capito dove ci si propone di andare, la resistenza a ciò che appare contrario ai valori essenziali che hanno dato prova di sé a lungo e fino a un recente passato.
Tuttavia, la reticenza, quando si indurisce e si unisce a passioni nascoste e a motivi meno accettabili, diventa colpevole, e indubbiamente ancor di più se messa in atto da persone importanti e influenti.

Non possiamo negare che, nei sessant’anni attraversati da Raniero La Valle nella sua conferenza, ci siano state delle incomprensioni, dei ritorni indietro, dei rifiuti precisi e che, al momento, non sappiamo quale direzione prevarrà: se quella della profezia o quella della «tradizione».

Nella sua allocuzione alla conferenza episcopale francese nel mese di ottobre, l’arcivescovo di Parigi, il cardinale Vingt-Trois, si preoccupava per il fatto che, nel contesto secolarizzato e decristianizzato della Francia, egli scorge qualche tendenza a pensare e preservare una «Chiesa dei puri», difensiva e chiusa piuttosto che largamente e poveramente evangelizzatrice. Ora, nei Vangeli, «puro» è connesso a «farisaico» e i «puri», in un primo tempo, hanno avuto ragione su Gesù, in quanto credevano e desideravano salvare il giudaismo.

Non dovremmo noi oggi, umilmente e fermamente, fare la nostra scelta di campo, e muovere i nostri piccoli passi seguendo i nostri profeti?

(L’Autore e la Redazione ringraziano SB per la traduzione dal francese)

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