Munera 2/2017 – Claudio Bazzocchi >> Antonio Gramsci: realismo popolare e lotta egemonica

Per introdurre una riflessione sul pensiero di Antonio Gramsci, a ottant’anni dalla morte (1937-2017), si può individuare una linea di pensiero italiana che nasce con Machiavelli, culmina in Gramsci e, passando per Leopardi e De Sanctis, prosegue con Capograssi, Pasolini e de Martino. Tale percorso assume a fondamento della politica, più o meno esplicitamente, la tragicità dell’esistenza, ossia la contraddizione tra brama di infinito e condizione mortale.  Dunque, la politica diventa così, da un lato, campo della costruzione del senso dell’esistenza e, dall’altro, pone anche la necessità di un pensiero della trascendenza – non necessariamente religioso – a indicare che nella storia, e nella politica stessa, tale contraddizione non si può risolvere, ma solo approssimare.

L’idea che la questione dell’essere, del senso e del mistero della vita, non possa essere risolta nel divenire non conduce questo pensiero italiano al nichilismo o a un’idea laica della politica come mera amministrazione, come “male necessario”. Al contrario, tale idea porta a un realismo politico popolare, in cui la contraddizione tra finito e infinito politicizza ulteriormente il campo politico e lo rende luogo di un potere istituente che mette continuamente in questione il potere istituito. La riflessione sull’insufficienza del divenire rispetto alle grandi questioni dell’essere – che abbiamo definito campo della trascendenza – rende la politica sempre più politica, sempre più assillata dalla tragicità della condizione umana e mantiene la sfera pubblica aperta ai grandi interrogativi dell’umano, in una dialettica (benefica aspra, conflittuale, ma mai distruttiva né tentata dall’organicismo) tra ragioni dell’ordine statale e ragioni della vita, tra potere e libertà.

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