Sinodo: indissolubilità fa rima con povertà. Matrimonio e patrimonio in Mt 19.
Nel dibattito che ha attraversato il Sinodo appena concluso, molte volte si è fatto riferimento al testo centrale del capitolo 19 del Vangelo di Matteo. Ma molto spesso, per non dire quasi sempre, il riferimento al testo evangelico è avvenuto mediante la pratica, secolare, dell’isolamento di alcuni versetti dal loro contesto. Mentre, su suggerimento della esperienza del bravo esegeta, non si dovrebbe mai smarrire la coscienza che il senso di un testo accade sempre nel contesto di un libro, e anzitutto di un capitolo. Ora, se si osserva anche sommariamente il capitolo di Mt 19, si possono trovare, in fila, questi 4 temi:
– matrimonio per sempre (1-9)
– essere sposi e /o eunuchi (10-12)
– i bambini e Gesù (13-14)
– obbedienza alla legge e rinuncia ai beni (15-30)
Letto nella sua integralità, il testo di Matteo opera una serie di collegamenti e di rimandi piuttosto sorprendenti. Tralascio qui tutta la questione del rapporto tra condizione matrimoniale e condizione dell’eunuco per il regno dei cieli. Mi soffermo invece sul richiamo esplicito tra “legame per sempre” e “rinuncia ai beni terreni”. Matrimonio e patrimonio sono legati da una tensione che deve essere riconosciuta e “mediata”. Indissolubilità e povertà sono per la “fine dei tempi”, ma la famiglia vive “nel tempo”. Tra “matrimonio” e “famiglia”, potremmo dire, la differenza è il tempo e il patrimonio.
Qui mi pare che ci sia una singolare concordanza tra il Vangelo e la insistenza con cui papa Francesco mette in evidenza la “povertà” come condizione storica della “famiglia”. Questa appare non più come una singolare insistenza del papa latino-americano, ma come una esigenza originaria del Vangelo. Questo dimostra anche un legame più profondo di quanto non si creda tra il tema della enciclica “Laudato sì” e il tema del Sinodo sulla famiglia.
Di ben altra portata sembra invece un’altra singolare coincidenza: non è difficile notare che tutti i più accesi difensori della indissolubilità come “valore oggettivo” – da Arcivescovi e Cardinali – abbiano tutti appartamenti e beni “di oggettivo valore”. Su questa “controtestimonianza” – alla quale non si farebbe caso se leggessimo il Vangelo “a scompartimenti stagni” e se non ci fosse un papa latino-americano – ci riconduce anzitutto una lettura integrale e contestuale del testo di Matteo. Da questa rilettura mi permetto di trarre alcune conseguenze non irrilevanti:
– indissolubilità e povertà sono coerenti come “annuncio e anticipazione del Regno”;
– non si possono trattare in modo opposto: la prima non può diventare immediatamente “legge universale erga omnes” e la seconda non può ridursi a “consiglio evangelico per pochi”;
– entrambe queste “parole” hanno bisogno di accurate mediazioni storiche, sulle quali la Chiesa ha una diretta responsabilità;
– lo spazio di questa mediazione ecclesiale può nello stesso tempo “chiamare a conversione i cardinali con attici da faraoni” e “riammettere alla comunione sacramentale i cristiani in nuova unione”;
– queste sono due cose che risultano ancora “inconcepibili” in una Chiesa abituata a separare ciò che deve essere tenuto unito;
– indissolubile è il legame tra “comunione sponsale in Cristo” e “rinuncia alla garanzia dei beni terreni”;
– è proprio la fedeltà al Vangelo integrale a risultare promossa proprio dalle vicende sofferte delle ultime settimane, sia sul piano dei matrimoni, sia su quello dei patrimoni;
– in tutta questa vicenda complessa, non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che iniziamo a comprenderlo meglio.
Personalmente, condividendo le osservazioni espresse da Andrea, aggiungo anche che all’eccezione del caso di “porneia” richiamato da Matteo, unico per il quale verrebbe sospesa la natura indissolubile del vincolo matrimoniale (Mt 19,9), corrisponde l’eccezione di un “cammello che riesce a passare per la cruna di un ago”, come condizione analogica unica in cui un ricco può entrare nel regno dei cieli o di Dio (Mt 19,24). Statisticamente, pare si diano meno possibilità di salvezza nel secondo caso che nel primo, eppure sul secondo si sorvola con grande destrezza invocando il linguaggio paradossale di Gesù, sul primo invece il linguaggio profetico e realistico dello stesso Gesù. Il problema vero che ciascuno di noi, amplificando la posizione vantaggiosa al gruppo, alla comunità o alla Chiesa a cui si appartiene, preferisce filtrare ciò che maggiormente è funzionale al proprio sistema e lasciar passare così solo ciò che conviene e frenare ciò che non conviene… E’ la storia ripetuta di ogni prassi “di parte” (politica, ideologica, sociale…) o religiosa che sia… la parola del Vangelo, ha invece la pretesa di collocarsi fuori da tale approccio, ieri come oggi e, per questo, continua ad essere impertinente soprattutto al suo interno, un tempo, al giudaismo, oggi alla chiesa. Basta fare i tagli giusti, selezionare pericopi e interpretarle fuori dal proprio contesto per far produrre un senso funzionale al sistema che si vuole sostenere. Questo non ci deve sorprendere perché è prassi millenaria, ma non deve sorprenderci neppure il fatto che nella chiesa ci siano state persone che tale impertinenza hanno voluto fare emergere, sempre fastidiosa e a volte anche faziosa… lo stesso stile di Gesù non era per tutti, molto fastidioso oltre che fazioso: pretendeva di stare dalla parte di Adonay, il Padre suo, più vicino a Lui di tutti gli altri… figuriamoci cosa potessero pensare quelli del clero di allora… possiamo immaginare l'”effetto bomba” di una tale pretesa… Noi oggi lo acclamiamo nostro Signore e così facendo perdiamo l'”effetto bomba” e stiamo tranquilli gestendo bene il suo messaggio, senza che sia troppo sovversivo ma sappiamo renderlo sovversivo anche dove forse non lo era… questa mi pare essere la tensione etica capovolta nella tensione tra matrimonio e patrimonio, allo stato attuale dello stile ecclesiale ed evangelico…