Ospitalità, ascolto e discepolato


XVI domenica del Tempo ordinario – C LETTURE: Gn 18,1-10; Sal 14; Col 1,24-28; Lc 10,38-42

Introduzione
I testi di questa domenica del Tempo ordinario ci conducono ad una attenzione rinnovata all’evento dell’ospitalità e dell’accoglienza. L’ospitalità è una realtà che noi viviamo! La viviamo per tradizione, la viviamo per l’educazione ricevuta. A volte, un crescente sospetto nei confronti dell’altro, dovuto ad un mutato contesto sociale e a nuovi problemi che si affacciano, ci fa dubitare di essere veramente ospitali, ma in realtà possiamo dire di essere ospitali. Quello che invece viviamo in questa domenica mette in crisi è la nostra percezione dell’importanza dell’ospitalità, delle sue motivazioni di fondo, della ricchezza che può essere per ciascuno di noi l’altro che accogliamo o l’altro che ci accoglie.
San Benedetto nella Regola invita – nel passo famoso del cap. 53 – ad accogliere l’ospite come Cristo «perché egli stesso dirà: “Ero forestiero e mi avete ospitato”» (RB 53,1-2). Il vero problema dell’ospitalità non è la disponibilità o meno a portare aiuto a qualcuno – che comunque è indispensabile – a fornire aiuti materiali. Questo è ancora troppo poco per essere chiamato “ospitalità” secondo le Scritture e secondo la Regola di Benedetto.

Riflessione
L’ospitalità di Abramo
Nel Libro della Genesi (I lettura) – l’ospitalità di Abramo – Abramo accoglie il Signore e lo costringe a fermarsi presso di lui. E’ quasi una caratteristica dell’ospitalità: colui che accoglie costringe il viandante a fermarsi a casa sua. Sembra quasi Abramo ad avere bisogno dei tre pellegrini e non viceversa. E’ un tratto molto bello e vero dell’ospitalità: io ho bisogno dell’altro, non l’altro di me. E’ una disposizione di fondo! Sono io l’affamato, che ha necessità che l’altro si fermi a casa mia per condividere con lui i miei beni.
Da questa ospitalità nasce la vita. La vita di Abramo e di Sara è sterile fino a questo gesto di ospitalità, la loro vita porta frutto quando ospitano i tre viandanti che passano da loro nelle ore più calde del giorno. La vita di Abramo e Sara non ha futuro, non c’è discendenza. Per loro c’è futuro proprio grazie a questo incontro.

Uno donna di nome Marta lo accolse
Nel brano di Luca (Vangelo) l’accoglienza di Gesù da parte di Marta e Maria rivela altri aspetti importanti dell’ospitalità. L’ospitalità vera è quella che accoglie la sfida dell’ascolto. In Maria vediamo chiaramente che per una autentica ospitalità non basta il servizio, il soccorso materiale: non c’è ospitalità senza ascolto.
Una donna di nome Marta ospita Gesù nella sua casa. Il verbo utilizzato significa accoglie ospitalmente. Nell’opera lucana si usa solo nei riguardi di Gesù (cf. Zaccheo in Lc 19,6) e negli Atti nei riguardi degli apostoli (cf. At 17,7). Con questo verbo si esprime non solo il gesto dell’accogliere nella propria casa, ma anche «tutti i doveri che suppone l’ospitalità» (J. Dupont).
Nel versetto successivo compare sulla scena un altro personaggio. Si tratta di Maria, sorella di Marta. Di essa si dice il nome e anche ciò che fa: si siede ai piedi di Gesù e lo ascolta. Cosa significa questo atteggiamento di Maria? La sua azione di sedersi ai piedi di Gesù è molto importante: è la posizione del discepolo. Paolo negli Atti, quando parla della sua vita e della sua formazione, afferma: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi» (At 22,3). Questa è la traduzione CEI, ma alla lettera il testo greco per affermare che Paolo era discepolo di Gamaliele dice: «allevato in questa città ai piedi di Gamaliele». Maria quindi si pone nella posizione del “discepolo”. E’ un dato importantissimo nella comprensione del testo: una donna sta nella posizione del discepolo! Si tratta in realtà di un caso impossibile nelle scuole rabbiniche del tempo di Gesù.

Marta era assorbita da molte faccende
Il testo continua ritornando alla figura di Marta e descrivendo le sue azioni. Essa è “assorbita” (tirata da ogni parte) da molte faccende (oppure: da un gran daffare). Il testo sottolinea fortemente l’affannarsi di Marta. E’ questo il suo modo di accogliere Gesù. Essa mette al centro le sue azioni e i suoi servizi e lo fa in modo da dimenticare ogni altra cosa.
In questa situazione si colloca una domanda che Marta rivolge a Gesù. Essa è presa da un gran daffare e la sorella sta tranquillamente seduta a i piedi di Gesù e ascolta la sua parola. Allora Marta chiede a Gesù come mai egli non si interessi del fatto che Maria l’abbia lasciata sola nelle fatiche del servizio. In secondo luogo Marta chiede a Gesù esplicitamente di ordinare a Maria di aiutarla.
Marta sembra rimproverare Gesù per il fatto di non essersi accorto del suo impegno e dell’atteggiamento di sua sorella che invece sembra non interessarsi del lavoro che l’accoglienza richiede da parte dei “padroni di casa”. L’espressione “non ti curi” è molto dura e non comune in Luca, che cerca sempre addolcire i toni. Marta è quindi proprio adirata per la situazione e si sente vittima di una ingiustizia (Cf. J. Dupont). Il punto di vista di Maria secondo J. Dupont si può descrivere con i termini dovere, diritto, giustizia. Essa sa che c’è un dovere nei confronti dell’ospite e sta eseguendo ciò che si deve fare, ma sa anche di avere il diritto di essere aiutata dalla sorella e per questo chiede giustizia. Marta chiede l’intervento di Gesù, che come un giudice deve fare giustizia.

La risposta di Gesù
Come la domanda di Maria era composta da due parti (domanda-rimprovero e richiesta), così anche Gesù risponde in due tempi. Anche lui in primo luogo rivolge un rimprovero a Marta. In primo luogo Gesù dice a Marta che mentre lei si preoccupa e si agita per molte cose uno solo è il necessario. Troviamo una opposizione tra molte cose e una sola necessaria. Poi passa a valutare il comportamento di Maria: essa ha scelto “la parte buona” e questa non le sarà tolta. Soffermiamoci un attimo sul senso della frase più difficile del nostro brano: di una cosa sola c’è bisogno. La frase è incerta anche da un punto di vista testuale. I manoscritti presentano lezioni differenti. Noi ci soffermiamo sono su alcuni aspetti prendendo il testo così com’è. Innanzitutto Gesù risponde a tono a Marta. La donna aveva detto “ci sono tante cose da fare e mia sorella sta lì a far nulla”, e Gesù risponde che “una è la cosa necessaria”. Gesù non vuole in nessun modo condannare il servizio – quella del servizio è addirittura l’immagine che egli stesso usa per parlare di sé, venuto per servire. Ciò che Gesù rimprovera è che «Maria abbia la tendenza a pensare che il servizio sia tutto, e il resto non conti» (J. Dupont).
Gesù in questa affermazione segue il suo stile spesso “paradossale”. Con una affermazione paradossale egli risponde alle lamentele di Marta. La risposta di Gesù va inoltre nella direzione di chi ha più gioia nel dare che nel ricevere. La risposta di Gesù è in linea con la sua preferenza per il pubblicano rispetto al fariseo (Lc 18,9-14).
Che cosa è la “parte buona” che Maria ha scelto. Essa sarebbe – come dicono anche alcuni testi di Qumran – «quella degli uomini che consacrano il loro tempo alla parola di Dio, soprattutto a quella che si trova nella legge di Mosè» (J. Dupont). Comprendiamo allora bene la portata del nostro testo: ascoltare Gesù è come ascoltare la Torah!

Cristo in voi
L’accoglienza di Gesù nella propria vita attraverso l’ascolto è ciò che continua nella missione della Chiesa e dei cristiani. Lo afferma Paolo nella Lettera ai Colossesi (II lettura), parlando del suo stesso ministero. Una realtà che si compie prima di tutto nell’accoglienza del Vangelo da parte di chi ne è portatore. Infatti Paolo dice di portare a compimento i patimenti di Cristo, cioè la sua Pasqua, nella sua carne. Se c’è questa accoglienza di Cristo in chi è annunciatore del vangelo, allora anche coloro che ascoltano la sua parola possono accogliere nella loro vita il mistero di Cristo.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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