Lucidità e responsabilità


XIX domenica del Tempo ordinario C
LETTURE: Sap 18,6-9; Sal 32; Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48

Introduzione
Il passo del Vangelo di Luca di questa domenica ha come temi fondamentali, come afferma F. Bovon, “lucidità e responsabilità”. Siamo sempre durante il viaggio di Gesù verso Gerusalemme e questa raccolta di materiale vario sul tema della vigilanza e del servizio diventa esortazione non solo ai discepoli che stanno camminando con Gesù sulla sua vita, ma insegnamento rivolto ai credenti di ogni tempo in cammino nella storia, sulla stessa strada di Gesù, verso l’incontro con il loro Signore.
Il brano tratto dal Libro della Sapienza (I lettura) è una rilettura dell’esodo e ci spinge a leggere in chiave pasquale il testo del Vangelo applicandolo alla nostra vita. Infatti il Libro della Sapienza parla dell’antico evento dell’esodo come se in quella salvezza fossero coinvolte anche le generazioni future fino a giungere al presente: «così glorificasti noi chiamandoci a te» (Sap 18,6-9). Si parla quindi anche nel testo della Sapienza di un modo di attraversale la storia da credenti sapendo bene a quali giuramenti si è prestata fedeltà (cf. Sap 18,6). Sul tema della fede come modalità di vivere nella storia per essere «approvati da Dio» (Eb 11,2) è incentrato il brano della Lettera agli Ebrei (II lettura), che fa riferimento alle figure di Abramo e Sara. Anche in questo testo compare l’immagine dei credenti come viandanti. Essi sono «stranieri e pellegrini» (Eb 11,13) che solo da lontano salutarono i beni promessi. I testi del Libro della Sapienza e della Lettera agli Ebrei ci possono fornire delle chiavi di lettura preziose per accostare il testo evangelico.

Riflessione
Non temere piccolo gregge
Nel brano evangelico troviamo alcune versetti introduttivi (Lc 12,32-34) nei quali Gesù si rivolge ai suoi discepoli chiamandoli “piccolo gregge”. Si tratta di parole molto dense di Gesù con le quali egli dipinge il volto della sua comunità. Innanzitutto egli definisce i suoi discepoli attraverso l’immagine del gregge. In questo modo Gesù afferma che i suoi discepoli non saranno nel mondo tanti individui indipendenti tra di loro, ma che essi saranno una realtà unitaria come è quella di un gregge. Come il legame tra le pecore che compongono un gregge è dato innanzitutto dalla figura del pastore, così anche coloro che accoglieranno il vangelo di Gesù riconosceranno in lui il principio della loro unità. Gesù stesso e il suo vangelo è il motivo per il quale i suoi discepoli si sono ritrovati insieme a formare un solo gregge. Non ci sono altri progetti o ideologie che devono fare da motivazione per l’unità esistente tra coloro che si dicono discepoli di Gesù.
Inoltre questo gregge è detto “piccolo”. I discepoli di Gesù devono sapere di essere una realtà piccola e fragile e che non è loro compito quello di occupare ogni spazio o di diventare ad ogni costo maggioranza. Essi sono come un seme gettato nella terra o come il lievito nella pasta. Loro compito è quello di essere questa presenza che sa di essere piccola e fragile. Il gruppo dei discepoli di Gesù si definisce quindi come formato «non da individui isolati né da popoli interi, ma da coloro che, sparsi nei luoghi più diversi, si riconoscono figli di questo padre e pecore di questo gregge» (F. Bovon).
A questo piccolo gregge è detto di “non temere”, una espressione che ritorna per cinque volte nel Vangelo di Luca e che troviamo molto frequentemente nelle Scritture. In Luca questo invito viene rivolto a Zaccaria quando gli viene annunciata la nascita di Giovanni Battista (Lc 1,13), a Maria all’annuncio dell’angelo (Lc 1,30), ai primi discepoli e a Simone quando vengono chiamati ad essere pescatori di uomini (Lc 5,10), al capo della sinagoga in riferimento alla notizia della morte della figlia (Lc 8,50). In questi testi vediamo che l’espressione “non temere” è sempre legata a contesti di vocazione o di salvezza, quando cioè Dio sta per compiere qualcosa di grande e meraviglioso per coloro ai quali la sua parola si rivolge. Questo fatto è confermato in tutte le Scritture: basta pensare alla stipulazione dell’alleanza con Abramo (Gn 15,1) dove per la prima volta compare nella Scrittura una espressione simile. Successivamente la troviamo ancora rivolta ad Agar (Gn 21,17), a Isacco (Gn 26,24; Gn 28,13) e a Giaccobbe (Gn 46,3). Anche nei profeti molte volte Dio si rivolge al suo popolo invitandolo a “non temere” (es. Is 54,4; Ger 26,28). Non si tratta quindi di un generico invito a non avere paura, ma l’affermazione di una relazione con Dio che non viene mai meno. E’ il testo stesso di Luca a sottolineare questo aspetto quando Gesù afferma: «al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32). Proprio in forza di questa relazione con il Padre “il tesoro” dei discepoli di Gesù non deve consistere in altre forme di sicurezza. Essi sono chiamati, come piccolo gregge, a non andare in cerca altra sicurezza, altra difesa al di fuori della loro relazione con il Padre che attraverso Gesù non viene mai meno.
In questi primi versetti abbiamo quindi come descritta l’identità della comunità dei discepoli di Gesù nelle sue caratteristiche fondamentali e ineliminabili. Nei versetti successivi lo sguardo si allarga alla storia e assume un sapore escatologico. Come questo piccolo gregge deve attraversare la storia?

Con le vesti strette ai fianchi
Una prima indicazione avviene da alcune immagini che il testo presenta. Prima di tutto quella delle vesti cinte ai fianchi (Lc 12,35). Dal momento che successivamente si parla di servizio, si potrebbe pensare alle vesti raccolte del servo per essere libero nel servire. Oppure l’immagine potrebbe far pensare alla lotta. Tuttavia nelle Scritture questa espressione compare solo un’altra volta nel Libro dell’Esodo quando il Signore indica a Mosè come il popolo dovrà vivere la notte della liberazione dell’Egitto (Es 12,11). Il testo quindi vuol fare riferimento ad un lungo viaggio verso la liberazione. I discepoli di Gesù dovranno avere i fianchi cinti per affrontare il viaggio della storia verso il Regno, che nel suo disegno di salvezza («è piaciuto» Lc 12,32), il Padre ha riservato loro. Questa prospettiva pasquale viene sottolineata dalla liturgia anche attraverso il brano della Sapienza (I lettura).
L’atteggiamento che coloro che avranno accolto il vangelo di Gesù dovranno avere nella loro vita è quello della prontezza, della vigilanza. Il motivo di questo atteggiamento sta nella necessità di essere svegli per la venuta del Signore. Per i discepoli di Gesù il lungo viaggio della storia dell’umanità è abitato dall’attesa di uno che deve venire. Essi non camminano nella storia senza meta e senza attesa. E’ infatti l’attesa del padrone che ritorna ciò che dà forma al loro cammino e al loro modo di stare nella storia. A una tale attesa nel testo è legata una doppia beatitudine (Lc 12,37.38), che incornicia un annuncio sconcertante: un padrone che si mette a servire i suoi servi.

L’amministratore fidato e prudente
Il secondo aspetto che emerge dal brano sulla modalità di stare nella storia da credenti consiste nella responsabilità (cf. 12,41-48). Alla domanda di Pietro su chi fossero i destinatari delle sue parole, Gesù risponde invitando alla responsabilità. Il discepolo non è solo in attesa di qualcosa che deve manifestarsi, ma tale attesa, nel viaggio che il piccolo gregge deve compiere nella storia, con responsabilità. Il ritardo della venuta del padrone non deve affievolire l’impegno. Si tratta di una parola che può avere un doppio valore. Si può riferire sia a coloro che nel piccolo gregge svolgono una funzione di servizio, ma può riguardare anche il compito dei discepoli di Gesù nei confronti dell’intera umanità con la quale sono chiamati a condividere il cammino nella storia. I discepoli di Gesù devono quindi stare nella storia con fedeltà e prudenza. Rimanere fedeli al vangelo che hanno ricevuto dal loro Signore sapendo cogliere con saggezza e prudenza le vicende della storia umana che di volta in volta si presentano. Anche a questo secondo passaggio è legata una beatitudine: «beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così» (Lc 12,43).

A chi fu dato molto, molto sarà chiesto
Il testo si chiude con un ulteriore richiamo alla responsabilità del piccolo gregge fondandola su una certezza che deve abitare il suo cuore. I discepoli di Gesù infatti devono sapere che il fondamento dalla loro vigilanza e della loro responsabilità è la coscienza di essere stati fatti gratuitamente oggetto di un dono grande. Essi non camminano nella storia con vigilanza e responsabilità per avere una ricompensa al termine del lungo viaggio, ma perché già in origine sono stati oggetto di un dono gratuito.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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