Fuoco sono venuto a gettare sulla terra


XX domenica del Tempo ordinario C

LETTURE: Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53

Introduzione
Se la settimana scorsa il vangelo era un insegnamento sul modo in cui i cristiani attraversano la storia, la liturgia di questa domenica mette in evidenza altri aspetti dell’esistenza cristiana a partire dall’evento fondante della missione di Gesù. Nel brano tratto dal Libro del Profeta Geremia (I lettura) vediamo il profeta respinto e condannato per la parola di cui è portatore. In Geremia è la sorte di tutti i profeti che viene rappresentata: colui che porta la Parola di Dio ne condivide la sorte di accoglienza o rifiuto. Il profeta è talmente legato all’annuncio di cui è servitore, che la sua esistenza stessa ne condivide il destino.
Nel brano della Lettera agli Ebrei (II lettura), di cui continuiamo la lettura semicontinua, i credenti che vivono una situazione di prova sono invitati a seguire gli esempi di fede presentati in precedenza. Anche loro per superare le difficoltà devono avere fede tendono fisso lo sguardo su Gesù, che «è colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2). In questa prospettiva possiamo leggere il brano del Vangelo di Luca, nel quale la sorte dei discepoli dipende dal senso del ministero di Gesù stesso.

Riflessione
Fuoco e battesimo
Nella prima parte del brano evangelico ci sono due termini che sono centrali: fuoco e battesimo. Infatti la prima parte del nostro testo è costruita con due frasi in parallelo che iniziano entrambe con uno di questi termini: “fuoco” e “battesimo”. Essendo messi in parallelo essi si illuminano a vicenda.
A che cosa significa Gesù quando parla di fuoco? Nella Bibbia questo elemento può avere molti significati. Innanzitutto il fuoco serve per purificare e spesso rimanda al giudizio. Il fuoco può indicare anche un castigo divino. Basta pensare nelle Genesi alla sorte delle città di Sodoma e Gomorra (Gn 19,24) e alla frase che dicono a Gesù i discepoli Giacomo e Giovanni: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,54). Sono molti nelle Scritture i testi nei quali compare questo significato del fuoco come punizione o come giudizio. Tuttavia c’è anche un altro tipo di fuoco: è il fuoco che arde in Geremia: «Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). Questo non è un fuoco che punisce o giudica, ma un’immagine per parlare di qualcosa di irrefrenabile e incontenibile. Il profeta non riesce a contenere e frenare la Parola di Dio che egli porta dentro di sé. In un altro passo di Geremia si dice che la parola del Signore è come fuoco: «La mia parola non è forse come il fuoco – oracolo del Signore – e come un martello che spacca la roccia?» (Ger 23,29). Nel Libro del Siracide si parla della venuta di Elia facendo riferimento al fuoco: «Allora sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1). Infine non possiamo dimenticare un altro fuoco: quello del roveto ardente attraverso il quale Dio si rivela a Mosè (Es 3,2). Si tratta di un fuoco che arde senza consumare. Un immagine un sorprendente che parla di una realtà come il fuoco normalmente è considerata distruttiva, che invece arde senza distruggere.
Nel nostro brano del Vangelo di Luca il significato del fuoco che Gesù dice di essere venuto a portare sulla terra può emergere facendo riferimento a questo sfondo biblico che abbiamo descritto in modo molto veloce. Dal testo sembra emergere che non si possa pensare qui al fuoco come punizione e giudizio, ma come una realtà positiva, come quella che ardeva nelle ossa del profeta Geremia, che Gesù è venuto a gettare sulla terra. L’espressione “sono venuto” indica che la missione di Gesù consiste proprio in questo. Potremmo dire che “l’incendio” desiderato da Gesù non è quello della punizione divina per l’umanità peccatrice, ma quello della parola di Dio e dello Spirito che trasforma e rinnova la terra. E’ la rivelazione del volto di Dio che avviene attraverso la parola di Gesù e che, come il fuoco del roveto ardente del Sinai, brucia senza consumare.
Il secondo termine fondamentale del testo è “battesimo”. Per questa realtà Gesù afferma di essere angosciato finché non sia compiuta. Battesimo nelle Scritture può indicare anche la morte (cf. Mc 10,38). Gesù qui fa riferimento all’esito della sua vita che sarà di dono di sé fino alla fine. Gesù in questo testo ci parla dei suoi desideri e delle sue apprensioni (cf. F. Bovon). Facendo riferimento al suo progetto di vita egli parla che «della morte, paragonata ad un battesimo, nella quale questo progetto rischia di trascinarlo» (F. Bovon).
Se, come il testo stesso di Luca ci suggerisce, colleghiamo tra di loro i due termini “fuoco” e “battesimo” possiamo notare come essi si illuminino a vicenda e ci permettano di comprendere meglio anche i versetti successivi del nostro brano. Infatti, il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra e che desidererebbe vedere già acceso è intrinsecamente legato al progetto e all’esito della vita di Gesù stesso. Gesù è la Parola di Dio per l’umanità. Una parola che si dice nelle sue parole ma anche nella sua vita umana vissuta nel dono di sé fino alla fine. In questo senso il fuoco che egli è venuto a gettare sulla terra è la sua stessa vita, il suo progetto di vita che diventa seme di una nuova umanità. Leggendo il testo in questa direzione possiamo anche recuperare il significato del fuoco come giudizio. Infatti la vita di Gesù, il suo progetto di vita è un giudizio per l’esistenza degli uomini e delle donne di ogni tempo. In questo senso il fuoco che Gesù è venuto a gettare sulla terra è anche il giudizio divino sull’umanità: un giudizio basato sulla legge dell’amore. Seguendo questa prospettiva si può proseguire nella lettura del brano.

Non pace ma divisione
Ritorna ancora l’espressione “sono venuto”, anche se in greco troviamo un verbo differente, per indicare un rapporto tra ciò che viene detto e la missione di Gesù. Tuttavia non si tratta del proprio della sua missione, ma, potremmo dire, delle sue conseguenze. Gesù ci sorprende dicendo di non essere venuto a portare la pace. Infatti in tutte le Scritture la pace-shalom è il dono di Dio per il suo popolo per eccellenza. Nelle scritture “pace” è sinonimo di “pienezza di vita e salvezza”. Il Risorto, quando si presenterà ai discepoli, annuncerà loro la pace. In questo testo non si parla di pace in questo senso, ma nel suo significato di unità e di armonia. Gesù non vuole affermare di essere venuto per creare divisione, ma che la sua parola e la sua vita inevitabilmente la provocheranno. Infatti il fuoco che egli è venuto a portare sulla terra – questo sì è il cuore della sua missione – è una parola che, come quella profetica, giudica. Lo possiamo vedere chiaramente anche nel brano del Libro di Geremia (I lettura): il profeta portando la parola di Dio che interpreta la storia e indica la logica con la quale affrontare le situazioni che si stanno attraversando, genera divisione. Una divisione che non si manifesta solamente tra persona e persona, ma perfino nel cuore dei singoli. Come dimostra il comportamento del re Sedecia. Per questo motivo è inevitabile che la anche la parola provochi divisioni perfino nelle relazioni umanamente più profonde e coinvolgenti: «D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,52-53).

Una parola che giudica
In questa domenica la Scrittura ci pone di fronte ai desideri e alla paura di Gesù. E’ un tratto affascinante perché, dal momento che siamo con lui sulla strada che sale verso Gerusalemme, si tratta anche di comprendere, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, quali siano i nostri desideri e le nostre paure. Anche noi dovremmo sentire il fuoco ardente di Geremia che non è possibile contenere e desiderare che questo fuoco divampi sulla terra, ma, nello stesso tempo, proviamo la paura delle divisioni che il giudizio della Parola di Dio inevitabilmente provoca. Siamo sempre esposti inoltre alla resistenza di accogliere fino in fondo nella nostra vita la stessa logica di vita di Gesù, quel battesimo che egli doveva ricevere.
Si tratta di due elementi da tenere sempre insieme se non vogliamo che la parola di cui siamo custodi come Chiesa perda la sua forza e il suo peso. Anche i discepoli di Gesù sono, continuando la sua missione, portatori del medesimo fuoco che arde senza consumare, ma che non perde la sua forza di giudizio a partire dalla stessa logica di vita assunta da Gesù.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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