Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?


XVII domenica del Tempo ordinario – C

LETTURE: Gn 18,20-21. 23-32; Sal 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13

Introduzione
I testi biblici di questa domenica del Tempo ordinario hanno come tema centrale quello della preghiera. Certo la liturgia non è mai una “catechesi” e non è nemmeno una catechesi sulla preghiera. Essa è sempre un evento e un incontro. In questa domenica attraverso il tema della preghiera è un volto di Dio e dell’uomo la realtà con la quale siamo chiamati a misurarci. Infatti, il nostro modo di pregare indica sempre due cose: chi è Dio per noi e chi crediamo di essere noi per Dio. La preghiera è dunque una realtà estremamente importante nella nostra esperienza di fede ed esprime in profondità la “qualità” della nostra fede. Il tema emerge chiaramente sia nel testo della Genesi (I lettura) che in quello di Luca (Vangelo), nel quale i discepoli chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare. Nel brano della Lettera ai Colossesi (II lettura) Paolo afferma che nel battesimo siamo sepolti con Cristo per partecipare alla sua risurrezione. E’ grazie a questa vita nuova che Dio ci ha donato in Cristo Gesù che possiamo anche noi entrare nella sua stessa pregherà, nel suo stesso rapporto con il Padre.

Riflessione
La preghiera di Abramo
Se il testo del Libro della Genesi che leggiamo in questa domenica (I lettura) fosse “isolato” potrebbe comunicarci una idea troppo debole della preghiera di intercessione, quell’idea di preghiera che l’uomo d’oggi fa fatica ad accettare. Infatti che idea di Dio ricaveremmo da una preghiera che serve a far fare qualcosa a Dio, quasi che Dio non sia in grado di sapere lui stesso cosa è necessario fare e cosa no. Tuttavia il testo della Genesi segue immediatamente l’incontro di Abramo con i tre uomini alle Querce di Mamre che egli accoglie e serve e dai quali si sente pronunciare l’annuncio della nascita di un erede. E’ il testo che abbiamo sentito proclamare nella liturgia domenica scorsa.
Ma ancor prima della sua accoglienza dei tre viandanti a Mamre, Abramo ha accolto la chiamata di Dio a lasciare la sua terra e la casa di suo padre sulla base delle promesse di Dio (cf. Gn 12,1-3). Abramo è quindi un uomo che si fida di Dio e sa mettere in gioco la sua vita sulla sua Parola.
Da questo aspetto possiamo ricavare che la preghiera, anche la preghiera di domanda, ha come suo ambiente vitale prima di tutto la comunione con Dio. Abramo può essere intercessore perché si è fatto ospitale con Dio e con la sua Parola. Senza l’ospitalità di Abramo sarebbe impensabile e inconcepibile l’intercessione e la preghiera di Abramo. Questo è un tratto molto significativo della preghiera ebraico-cristiana. Senza l’ascolto della Parola di Dio non ci può essere vera preghiera. E’ la sintonia con il cuore di Dio, che noi possiamo raggiungere grazie all’ascolto della sua Parola, che ci rende veri intercessori capaci non di strappare a Dio qualcosa di lontano dal suo volere. L’ascolto di Dio, l’accoglienza delle sue visite nella nostra vita e nella storia dell’umanità è ciò che ci rende capaci di uno sguardo su di noi, sull’altro e sull’umanità che ci fa chiedere secondo giustizia. In fondo nella nostra preghiera non si esprime solo il desiderio umano di far cambiare idea a Dio, ma soprattutto la nostra ricerca di comunione e di incontro con lui. Questa è la domanda fondamentale che Gesù nel Vangelo di Luca chiamerà “dono dello Spirito Santo”.
E’ interessante notare come Abramo da questi tratti possa veramente essere chiamato “l’Amico di Dio”. La preghiera vive di questa confidenza: è confidenza che rivela il tipo di rapporto che io ho con Dio. Non è, ripetiamolo ancora, la superstiziosa convinzione di poter informare Dio di qualcosa che egli non sa, ma la manifestazione della nostra amicizia con lui, della nostra fiducia e del nostri affidamento a colui che è l’Affidabile per eccellenza.
Queste caratteristiche della preghiera sono confermate dalle risposte di Dio. Abramo non deve fare nessuno sforzo per farsi ascoltare da Dio, ma ogni sua ardita richiesta – una spontaneità che solo un amico può avere – viene immediatamente accolta. Anche l’esordio di questo brano, che riporta un soliloquio di Dio, ci mostra come Abramo sia soprattutto un amico di Dio, uno al quale Dio non può tenere nascosto il suo progetto, perché ha scommesso su di lui ed egli ha accolto la sua Parola.
Questo è quanto ci dice della preghiera questo testo della Genesi. Alcuni tratti molto importanti che sottolineano come la preghiera sia innanzitutto, ancor prima che domanda, lode e ringraziamento, segno della comunione con Dio e annuncio di un Volto di Dio che è e desidera comunione.

La preghiera di Gesù
Anche nel brano del Vangelo di Luca compare il tema della preghiera nei medesimi termini, ma qui è Gesù stesso che si fa modello di preghiera per i suoi discepoli. Infatti, i discepolo chiedono a Gesù «Maestro insegnaci a pregare» proprio mentre egli si trova in preghiera. Potremmo dire che qui abbiamo una bellissima icona della preghiera cristiana che consiste nell’entrare nella stessa preghiera stessa del Figlio.
Se cerchiamo di comprendere bene cosa significhi entrare nella preghiera di Gesù, possiamo vedere che, in fondo, non ci si allontana molto da quei tratti di preghiera che abbiamo visto nel testo della Genesi.
Anche per i cristiani, infatti, l’esperienza della preghiera ha il suo ambiente vitale nell’ascolto e nell’accoglienza. Se Abramo ha accolto i tre viandanti e ancor prima ha ascoltato la parola del Signore e si è fidato di lui, così anche i discepoli per divenire veri oranti devono innanzitutto accogliere Gesù e la sua chiamata. Devono ascoltare la voce che li chiama, come Abramo, a lasciare le loro certezze per mettersi alla sequela di Gesù, camminare dietro di lui, conformare la loro vita al vangelo che egli è e annuncia. Devono accogliere Gesù nella sua carne, come il rivelatore di Dio. Non è certo facile questa accoglienza e richiede di lasciare qualcosa come Abramo. Occorre lasciare le nostre false immagini di Dio per saperci affidare a quella che si rivela nell’umanità di Cristo. Si tratta di un distacco non meno doloroso di quello di Abramo. Anche in questo caso infatti si tratta di lasciare le proprie certezze e di fidarsi di un Altro che ci chiama e ci guida.
In questo contesto vitale si colloca la preghiera. Anche nel testo di Luca si può ricavare che la preghiera è una realtà che vive della fiducia e della confidenza. Infatti, i due paragoni che il vangelo utilizza sono eloquenti. Nel primo caso l’orante è paragonato ad una persona che è talmente in confidenza con un suo amico da avere la sfrontatezza di andare da lui di notte per chiedergli del cibo da dare ad un ospite inatteso. E’ sì una richiesta insistente, ma è quella di un amico.
Anche il secondo paragone è molto significativo. Si usa infatti l’immagine padre/figlio. Dio è paragonato ad un padre che non può che dare cose buone ai propri figli. L’immagine è tanto più significativa se si pensa che il modello della preghiera che Gesù dona ai suoi discepoli inizia con le parole “Padre nostro”.
Alla conclusione del testo troviamo la vera novità del vangelo rispetto alla preghiera. Infatti, si dice che Dio come un padre, anzi ancor più che un padre umano, «darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono». Qui troviamo la novità della preghiera cristiana, come già abbiamo evidenziato sopra. Il cristiano prega come amico di Dio, come figlio, proprio come fecero Abramo, Mosè, i profeti e tutti gli amici di Dio di cui ci narrano le Scritture. Tuttavia ora egli è innestato in colui che è il Figlio e l’Amico di Dio in un modo unico, Gesù. Lo Spirito che Dio dona ha proprio questo compito: trasformare la nostra voce nella voce del Figlio. La nostra preghiera è così la preghiera di Gesù.

Nella sua voce la nostra voce
C’è un passo molto bello del Commento al Padre nostro di San Cipriano di Cartagine che illustra bene ciò che abbiamo detto e il senso della preghiera del Signore nella nostra vita. Dice San Cipriano: Preghiamo dunque, fratelli carissimi, come ci ha insegnato Dio facendosi nostro maestro. Affettuosa e familiare è la preghiera in cui ci rivolgiamo a Dio con le sue stesse parole, in cui ci facciamo sentire attraverso la preghiera di Cristo. Che il Padre riconosca, quando noi preghiamo, le parole del proprio Figlio. Sia presente anche nella nostra voce colui che abita nel nostro cuore [qui habitat intus in pectore ipse sit et in uoce].

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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