Munera 1/2016 – Alessandro Zaccuri >> Innocenza ed esperienza. Lo sguardo del narratore sulla realtà

Come ogni narratore che si rispetti, anche Harper Lee nutre una naturale propensione per quelle che potremmo definire “false apparenze”. Esteriormente simili ai princìpi compositivi cari alle scuole di scrittura creativa (presentazione dei personaggi, loro ruolo rispetto alla trama, etc.), le false apparenze appartengono alla struttura più intima del racconto. Sono quegli elementi di cui il narratore stesso sembra assumere cognizione in modo graduale, comprendendo solo da ultimo di aver raccontato una storia che è, in sostanza, molto diversa rispetto a quella che pensava di voler raccontare. L’involucro rimane intatto, ma dal di dentro qualcosa preme e chiede di essere rivelato.

Non è il tipico colpo di scena, tant’è vero che la vicenda può continuare a scorrere indisturbata. È una dimensione di consapevolezza che si proietta, retroattivamente, sull’intera narrazione, precisandola senza trasformarla. Una luce favorevole, uno sguardo messo a fuoco. L’apparenza non muta, pur essendo sottoposta a un radicale processo di falsificazione. Finora abbiamo visto qualcosa senza veramente capire di che cosa si trattasse. Adesso conosciamo e riconosciamo con chiarezza.

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