Sui miracoli eucaristici: alcune considerazioni teologiche (di Zeno Carra)
Dal collega e amico Zeno Carra ricevo questa lettera, che ritengo preziosa, per restituire alla discussione sui miracoli eucaristici quella profondità e quella urgenza, che nei dibattiti susseguiti ai miei post sulla posizione attribuita a Carlo Acutis è andata spesso del tutto smarrita, in una riduzione che Carra chiama “mediatico-circense” della questione. Lo ringrazio di cuore per il suo testo e per aver ripreso, con la sua autorevolezza, la questione centrale sollevata dalla mia critica. (ag)
Cazzano di Tramigna, 25 giugno 2025
Gentile professore,
Le scrivo sulla scia dei due post da Lei pubblicati sulla devozione attorno alla figura de beato Acutis.
Rammaricandomi della comprensione distorta che essi hanno incontrato, non posso ancora una volta non constatare come in molti ambienti ecclesiali si leggano le cose con una ermeneutica molto elementare, ridotta al binomio pro/contro.
Siccome Lei ha sollevato riserve su alcuni aspetti teologici di quella devozione attorno al giovane beato che chi si occupa della sua causa di canonizzazione sta enfatizzando, allora, per molti, Lei ha parlato “contro” Carlo Acutis. Con un esito simile a quello di chi criticasse le tattiche di gioco dell’Hellas Verona nel bel mezzo della famigerata curva sud dello stadio Bentegodi e durante una partita vincente. Gli argomenti, le distinzioni spariscono: o uno è dei nostri o uno è contro di noi. Nella logica elementare e ferina dell’antitesi amico/nemico. E in questo caso, facendo leva su alcune Sue espressioni forse non troppo felici (la “maleducazione” catechistica che trapela dalle espressioni enfatizzate dell’Acutis è suonata come un insulto al beato), Lei passa per un nemico del giovane che tra poco salirà agli onori degli altari.
Addolorato per questa riduzione circense-mediatica della discussione, Le scrivo la presente per riprendere la posizione formale dei Suoi scritti e reagire.
Specificando – melius abundare – che criticare il modo in cui l’apparato attorno al beato ne propone la figura e la spiritualità non coincide con una critica al beato, né col merito della sua canonizzazione.
Detto questo vorrei riprendere un punto a mio avviso centrale di quanto Ella scriveva: l’insistenza sui miracoli eucaristici.
Il miracolo eucaristico manifesta un’istanza forte e non secondaria di vedere, sentire, toccare. Un’istanza che emerge dal versante antropologico di quella salvezza che è comunicata nei sacramenti e, nella fattispecie, nell’eucaristia. Se la salvezza avviene nell’incarnazione vera del Verbo, allora la carne umana, con le inferenze che le sono proprie – i sensi – non può venire relegata al di fuori di quel sacramento in cui tale salvezza è mediata in modo eminente.
Questa istanza si è manifestata nelle forme che un certo pensiero teologico altomedievale, il fisicismo eucaristico, ha plasmato: nell’eucaristia pane e vino dopo la consacrazione sono solo veli di apparenza che coprono il Mistero ivi presente. Se questi veli si scostassero, il Mistero si offrirebbe “dietro” di essi alla stessa inferenza sensoriale che nella via ordinaria si esercita sui “veli”: toccare, vedere, gustare… Il miracolo eucaristico realizza questo: i veli si scostano e ai sensi appare carne e sangue.
Questa struttura di pensiero diviene incompatibile con la teologia eucaristica basso-medievale sistematizzata da Tommaso d’Acquino. Ciò su cui ordinariamente i nostri sensi inferiscono non sono mere apparenze, ma sono quegli accidenti di pane e vino cui Tommaso – forzando la metafisica aristotelica – concede una certa consistenza1. Essi permangono, pur “sradicati” dalla sostanza di pane e vino loro propria, nel sostituirsi a questa della sostanza del corpo e sangue di Cristo. E nel loro permanere essi restano il termine proprio delle inferenze sensoriali. I sensi umani insistono sugli accidenti, mentre solo l’intelletto credente, per via autonoma dai sensi, attinge alla sostanza presente dopo la consacrazione2. Proprio per questo Tommaso è a disagio con i miracoli eucaristici: perché il modo di presenza di Cristo come lo concepisce lui – e come la dogmatica cattolica a lui attingendo fa tuttora – non è assolutamente sottomesso alle inferenze sensoriali. Quella carne e quel sangue che appaiono nel miracolo eucaristico sono per lui uno stimolo per alimentare la fede, ma non sono una manifestazione effettiva, ai sensi, della carne e sangue di Cristo: questi rimangono invisibili ai sensi, a livello della sostanza3.
La teologia di Tommaso, in fondo, frustra quella istanza cui il fisicismo precedente invece rispondeva: vedere, toccare, gustare. La gnoseologia eucaristica di Tommaso – che, nonostante il suo impianto aristotelico di massima, qui ripiega su una forma più platonizzante4 – divarica in modo netto sensi e intelletto credente, escludendo i primi dal funzionamento del sacramento dell’eucaristia. Il celebre canto eucaristico dell’Adoro te devote lo dice in modo icastico: Visus, tactus, gustus in te fallitur, sed auditu solo tuto creditur. Credo quidquid dixit Dei Filius: nil hoc verbo Veritatis verius.
Solo la fede attinge alla presenza di Cristo e in essa – per Tommaso – i sensi non hanno parte.
Per questo i miracoli eucaristici sono condannati a restare alla periferia di una dogmatica cattolica formalizzatasi sul pensiero di Tommaso. E con essi l’istanza che a loro soggiace: coinvolgere i sensi nelle mediazioni della salvezza che sono i sacramenti.
A questa istanza possono rispondere per una via altra quei tentativi teologici vari che il movimento liturgico e il conseguente rinnovamento liturgico hanno coagulato attorno a sé: quei tentativi cioè che fanno dell’oggetto proprio dei sensi – il fenomeno – non più un dato secondo della teologia eucaristica (accidenti, periferici alla sostanza), ma il dato centrale. Quei tentativi per cui le inferenze sensoriali su pane e vino – vediamo tocchiamo annusiamo gustiamo pane e vino – non restino una cornice secondaria al dinamismo salvifico del sacramento, ma ne siano il cuore proprio.
Pensare così suppone ad esempio poter dire che Dio, nel suo Figlio, si comunica a noi per la via alimentare (cosa che la teologia tomista – stricto sensu – non ammette, perché in tale sistema l’atto del mangiare insiste sugli accidenti, non sulla sostanza).
Permette ancora ad esempio di pensare che per la via alimentare il Figlio si unisce corporalmente alla nostra carne e al nostro sangue5 e intesse di Sé e della sua vita risorta la nostra carne e il nostro sangue, preparandoli alla resurrezione escatologica (mistero non a caso caduto nell’oblio della spiritualità diffusa tra noi…). Cosa che la teologia tomista – stricto sensu – pur volendolo, non permette: solo l’anima attinge al mistero eucaristico, non il corpo. Il corpo ne beneficerà escatologicamente a cascata, in seconda battuta, per via derivata, ma non direttamente perché qui, in via, si nutre del pane e vino consacrati6.
Permette ancora di dire che la “competenza” fondamentale per essere messi in contatto con Cristo non sarà quella di un intelletto che arriva a certi contenuti – ragion per cui la teologia tomista dice che non si dia la comunione a chi ha limiti mentali7 – ma sarà quella di essere vivi ed avere fame e sete! Di essere capaci, cioè, di attingere a quella forma in cui Cristo si dà: cibo e bevanda condivisi…
Potremmo continuare le declinazioni feconde di una teologia che raccolga in modo nuovo l’istanza soggiacente alla devozione ai miracoli eucaristici, ma ci basti quanto detto per sottolineare il punto centrale: ridare spazio intrinseco ai sensi nella dinamica del sacramento valorizzando quella dimensione del sacramento su cui i sensi naturalmente insistono: la datità oggettiva e sensibile della mediazione: pane e vino.
Per questo è necessario superare gli strascichi ancora diffusi del pensiero fisicista che ai miracoli eucaristici ben si accompagna, per cui pane e vino rimangono mere apparenze…
Ma sarà necessario anche – e qui sta la parte difficile – superare la sistematica eucaristica di Tommaso, per cui, se a pane e vino è ridata una consistenza rispetto al pensiero fisicista, tale consistenza viene relegata nel livello degli accidenti, livello secondario e non intrinseco al dinamismo del sacramento.
Occorre maturare – o meglio, recuperare dalla tradizione più antica8 – una teologia per cui non sia più necessario dire che pane e vino non debbono essere più tali per essere veramente il corpo e il sangue di Cristo. Occorre saper riconoscere nella volontà istituente di Cristo il fatto di rendere pane e vino, come tali, il suo corpo e sangue. Ammettere con serenità che, se Cristo ha scelto pane e vino per mediare il suo darsi a noi, allora di ciò che pane e vino “sono” non vuole sbarazzarsi metafisicamente, ma che di pane e vino – con ciò che essi suppongono ed esigono – vuole fare il luogo del suo venire ancora oggi a noi.
I tentativi fecondi di elaborare un pensiero eucaristico che vada in quella direzione ci sono: Lei ha fatto di questo Suo blog una finestra di propulsione di essi … Purtroppo però questi sforzi teologici – e parlo per esperienza personale – sono troppo spesso travolti da quella logica circense di il pensiero ecclesiale è affetto e di cui si parlava in apertura. O sei pro o sei contro. Se metti in discussione la teologia eucaristica vigente di massima significa che sei un protestante che vuole distruggere la fede della chiesa. Se tocchi Tommaso non credi nella presenza reale … se metti qualcosa in discussione, allora sei “contro”! E nessun argomento – spesso le argomentazioni non vengono nemmeno lette! – riesce ad aprire spiragli nelle fiere menti dei pugili ecclesiastici. Deponiamo però l’amarezza e non smettiamo di pensare. Il Signore vaglierà i frutti del pensiero e saprà dove e come portarli a maturazione9.
Un caro saluto
d. Zeno Carra
1 Cf https://www.cittadellaeditrice.com/munera/specie-e-sostanza-e-le-azioni-rituali-riconoscere-il-signore-nella-frazione-del-pane/
2 Cf Tommaso, ST III, q. 76, art. 7.
3 Cf Tommaso, ST III, q. 76, art. 8
4 Cf Z. Carra, Nota. Sul concetto tommasiano di sostanza. In risposta ad una recensione del prof. P. Caspani, in La Scuola Cattolica 150 (2022), 168-172.
5 Cf Giustino, 1 apololgia 66; Ireneo di Lione, Contro le eresie 5,2,2-3; Tertulliano, Sulla resurrezione 8; Cipriano, De dominica oratione 18; Gregorio di Nissa, Oratio catechetica magna 37; Cirillo di Alessandrua, Commentario in Matteo 26,26-27 (PG 72,452); Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa 86.
6 Cf Tommaso, ST III, q. 79, art. 1: ad 3; M. Ghirardi, Ai margini d’una controversia eucaristica, in La Scuola Cattolica 84 (1956), 289-300.
7 Cf Tommaso, ST III, q. 80, art. 9.
8 Cf Z. Carra, Eucaristia ed antropologia: dalla tradizione una possibilità altra, in Revista de Cultura Teológica 30/101 (2022), 85-101.
9 Cf Francesco, Evangelii gaudium 275-280.