Santità, teologia eucaristica ed ecumenismo (di Marinella Perroni)
Ricevo da Marinella Perroni questo testo, che riprende in modo originale il dibattito sorto dai post dedicati alla canonizzazione di Carlo Acutis. Sembrava impossibile che ci fosse lo spazio per poter riflettere criticamente su alcuni snodi della identità cattolica, che quel processo di canonizzazione ha trattato con troppa superficialità e leggerezza. Gli interventi degli ultimi giorni attestano con forza la necessità di discutere a fondo quella “spiritualità eucaristica” che ha giocato un ruolo così forte nella teologia cattolica degli ultimi 500 anni, non sempre in modo equilibrato. Ringrazio Marinella per il forte richiamo ecumenico che porta alla discussione. (ag)
Avevo pensato di non intervenire nel dibattito che si è aperto a partire dai post di Andrea Grillo sulla spiritualità eucaristica di Carlo Acutis perché ritenevo che prendere questa specifica beatificazione come pretesto per una riflessione sulla teologia dell’eucaristia non fosse né corretto né opportuno, e lo ritengo tuttora. Di fatto, però, i successivi interventi hanno reso il dibattito quanto mai interessante. Perché lo hanno spostato dall’esperienza di un soggetto (tra gli infiniti possibili) a quella di un’intera tradizione ecclesiale che ha estremo bisogno di essere ripensata per essere riformata.
Non sono comunque capace di scrivere lungamente come hanno fatto lo stesso Andrea e i colleghi che mi hanno preceduto e cercherò di limitarmi a considerazioni quanto mai sintetiche che spero però possano contribuire a indirizzare la riflessione sempre più verso quelle questioni che considero nodali.
Alcune brevi premesse:
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Ho avuto un’educazione alla fede del tutto simile a quella ricevuta da Carlo Acutis, centrata sulla celebrazione quotidiana dell’eucaristia e su tutte le possibili varianti di pratiche eucaristiche. Né mi è stato risparmiato di sperimentare dal vivo scabrosi intrecci tra devozione al corpo di Cristo e aggressione sui corpi delle donne. A tutt’oggi mi domando se continuare comunque a considerare la mia (mal)educazione spirituale come una grande eredità, nonostante che, grazie allo studio teologico, io l’abbia sistematicamente decostruita e di questo non possa che essere contenta. Si può dunque capire perché ritengo quanto mai importante la discussione aperta sul rapporto tra spiritualità e teologia o anche devozione e teologia. Discussione che non riguarda solo l’ambito dell’eucaristia, benché in un paese a forte trazione cattolica come il nostro se ne debba supporre l’assoluta centralità, ma che andrebbe allargata anche ad altri contesti dell’esperienza di fede e della riflessione teologica. Le quotidiane celebrazioni giubilari ci imporrebbero l’onestà intellettuale di porci questioni a cui non dovremmo più sottrarci.
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Rispetto a Carlo, ho avuto la fortuna di non morire troppo giovane e di non avere una famiglia che tanto si impegnasse nella costruzione della memoria agiografica. E, a tal proposito, il mio compito di esegeta mi impone di tener sempre presente la distanza tra realtà e interpretazione, e chi sono i soggetti dell’interpretazione nonché le loro finalità (quelle della mamma di Carlo sono certamente diverse da quelle della Congregazione delle cause dei santi e da quelle di coloro che, in molti modi, si sono affannati a entrare nel processo di mediatizzazione della memoria). E di purificare costantemente i processi di costruzione della memoria. È per questo che non avrei tirato in ballo Carlo e non lo menziono se non in queste premesse: non voglio partecipare a questo meccanismo che in qualche misura (mi sia permesso il termine) abusa comunque di quanto lui ha detto e vissuto.
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Non intendo sottrarre a Carlo l’intensità della sua fede soprattutto di fronte a una morte a dir poco ingiusta ma, anzi, ritengo opportuno riconoscere a lui e a chi gli stava vicino che qualsiasi riferimento di fede lo abbia aiutato a morire nella pace sia da considerare come benedizione.
Un contributo al dibattito:
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La rapidità con cui la chiesa cattolica porta oggi a termine i processi di canonizzazione sta forse contribuendo a far emergere quanto ogni procedura agiografica sia una questione aperta e una quaestio disputanda. Una discussione da non riservare ai “processi” della Congregazione. Anche perché, dopo la “fretta” ci si rende conto di quanto ambigue e contraddittorie, a volta addirittura quasi blasfeme, siano state alcune canonizzazioni che ben poco hanno avuto a che fare con le virtù eroiche del personaggio.
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Quale teologia può ancora sostenere quella tendenza che appare sempre più come una “fabbrica di santi” e di cui sono palesi a tutti i molti aspetti almeno discutibili, non esclusi quelli di politica ecclesiastica o quelli commerciali? Quale onesta teologia può continuare a sostenere la “linearità” del giudizio nel momento in cui sappiamo bene tutti che solo ambivalenze e contraddizioni possono essere usati come criteri di giudizio, ma che questo confligge con una sorta di idealizzazione idolatrica della santità?
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Veniamo all’abuso di devozione eucaristica di queste ultime due settimane. Elon Musk si è servito di un social come X, che tanto influsso di propaganda ha avuto per l’elezione di Trump, per drogare letteralmente gli utenti con video di processioni, ostensori e devozioni (migliaia al giorno!) da tutto il mondo, da piccoli paesi come da grandi città, in cui parroci e vescovi avevano ritirato fuori dalle sagrestie tutto l’arredo medieval-barocco con cui il cattolicesimo è riuscito per secoli a metter in campo, con la devozione eucaristica, la sua contrapposizione (dai commenti dei social direi piuttosto “il suo odio”) antiprotestante.
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Mi chiedo: ma noi teologi di fine novecento non siamo stati educati con l’adagio che nel XXI secolo la teologia o sarebbe stata ecumenica o sarebbe morta? Chi avrà finalmente il coraggio di proporre una festa ecumenica del Corpus Domini? Che significherebbe ripensare tante cose annesse e connesse, proporre gesti e parole che è già forse troppo tardi per imparare a dire, ma che sono gli unici che possono veramente aprire le chiese a un futuro.
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In questo momento in cui tutti si danno un gran da fare per trovare gesti e parole in grado di archiviare il pontificato di Francesco, quali teologi prenderanno coraggiosamente la parola per non consentirlo?
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Santità, eucaristia, devozione: sono tre “termini” che chiedono un grande sforzo di ricomprensione, uno sforzo a cui andrebbero richiamati tutti, ma proprio tutti. Uno sforzo che si fa di tutto per non fare in nome di altri “termini” come tradizione, unità, concordia. Con la piccola differenza che sui primi tre “termini” si gioca la concreta politica della fede, essi toccano la vita dei credenti, mentre gli altri sono gusci vuoti che troneggiano nella retorica ecclesiastica.
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Non si tratta di brandire nessuna arma, ma di porre su tutti i tavoli possibili le questioni vere, nodali; si tratta di processi di sinodalità delle idee in cui i teologi delle diverse tradizioni ecclesiali cristiane ripensino insieme i propri errori di ieri e di oggi; si tratta di facoltà teologiche finalmente ecumeniche, che non indottrinano, ma formano a vivere nelle chiese e con il mondo.






























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