Quando chiamarsi Grillo era diventato …imbarazzante


La bella soddisfazione nel vedere Grillo “asfaltato” 

Se porti il cognome Grillo, e vieni dalla Liguria, da qualche anno rischi di vederti associato a un movimento politico, a una sensibilità, ad una intemperanza, ad una “eloquenza” a dir poco imbarazzante. La sorpresa di ieri notte è stata grande. Ci eravamo talmente abituati alla mancanza di rispetto, alla faciloneria di giudizio, ai rimedi sommari e alle logiche da osteria che un poco tutti eravamo arrivati a pensare che sarebbe stato quasi inevitabile che il Movimento guidato da Beppe Grillo fosse destinato al rischio di affermarsi in queste Elezioni europee.
Avevamo ceduto alla disperazione e alla presunzione. Ci eravamo lasciati contagiare non da uno stile e da una intemperanza, ma dalla rassegnazione a questo stile e a questa intemperanza. La speranza sembrava avere ragioni troppo deboli – come sempre – mentre la disperazione presuntuosa pretendeva di avere “già vinto”, almeno nelle coscienze. Non è stato così. Ma il danno non si esaurirà in breve tempo.
Un solo esempio può essere istruttivo. In una scuola media accade che un ragazzo, dopo una lite con una compagna di classe, la riempie di insulti e di bestemmie mediante sms. Come si fa ad indicare a questo e a tanti altri ragazzi una buona via per esprimere la propria rabbia, se la rabbia politica perde ogni limite, fa proprie le peggiori forme di espressione, diffuse da televisioni affamate di eccesso, senza alcun rispetto, senza controllo, con una assoluta sovrapposizione della mediazione politica con la reazione più sconsiderata e incontrollata? La rabbia ha i suoi diritti, ma deve anche trovare esempi e modalità adeguata ad una società capace di “sdegnarsi” senza “distruggersi”.
I motivi per l’ira non mancano, oggi come sempre. Ma l’ira resta, per tutti, un vizio. La perdita di controllo, che nella vita non è mai impossibile, molto raramente è efficace. Politicamente è sempre un errore, che moltiplica l’effetto negativo per l’esempio distorto che produce. Aver elevato la intemperanza verbale a metodo di comunicazione politica è stato lo strumento irresponsabile con cui B. Grillo ha provato a raccogliere consenso vincente.
Ma non ha vinto. Anzi, ha dovuto scontare un distacco percentuale davvero impensabile, di quasi il 20% rispetto al suo sfidante. Questo è, soprattutto per chi si chiama Grillo, un motivo di particolare orgoglio. La versione intemperante di politico e di cittadino non prevale. Anche in una Italia per molti versi esasperata, stanca, abituata a scoprire malcostume e furbizie politiche continue, la risposta non può essere nevrastenica e tutta sopra le righe. Le esigenze del cambiamento e della riforma sono solo in parte “contro”: devono essere anzitutto a favore. Questo è ciò che il voto di ieri, 25 maggio 2014, ha insegnato a tutti, soprattutto a B. Grillo e ai suoi compagni di intemperanza.
Così ora, quando sentendo come mi chiamo, mi guarderanno interrogativi e mi chiederanno: “cinque stelle anche lei?”, potrò dare la risposta che già davo prima, ma con maggiore tranquillità e con un sorriso più aperto: “cinque stelle non me le posso permettere. Se devo essere ricco, preferisco essere ricco di temperanza. Tre stelle mi bastano, purché siano educate”.
Resta anche una soddisfazione finale. Il “politico” intemperante aveva ripetuto fino alla noia: se perdo, me ne vado. Ora si smentisce e resta. Temperanza e coerenza appaiono esaltate, fino in fondo. Ma perdenti.

Share