Presenza eucaristica e presenza ecclesiale (di Wim De Moor)


Ricevo e pubblico questo testo di Wim De Moor, autore già noto a questo blog. Lo ringrazio perché mette in luce un aspetto che vorrei sviluppare in un prossimo post: ossia la deriva politica del culto eucaristico. E’ interessante notare, infatti, che all’inizio della storia della festa del Corpus Domini il valore ecclesiale sia stato recepito con difficoltà. Più successe ebbe, quasi 50 anni dopo la iniziativa di Urbano IV, la rilettura politica della festa, che poi, nel XVI secolo, si caricò inevitabilmente di un nuovo valore apologetico, non solo politico, ma confessionale. Questa storia, così ricca, di espressioni non solo ecclesiali, ma civili, colloca la relazione con il Santissimo Sacramento in una regione che non è solo interiore e non è solo strettamente ecclesiale. Per questo è importante studiarla come fenomeno totale, mettendo insieme cose che normalmente si ritengono diverse o addirittura opposte. Per questo ringrazio le suggestioni di Wim, che sono del tutto pertinenti. Dietro le sue parole vedo apparire la grande questione cui Enrico Mazza ha dedicato un prezioso volume agli inizi del XXI secolo: ossia la continuità e discontinuità tra la teologia eucaristica biblica e patristica e quella medievale e moderna: la scissione tra presenza sacramentale e presenza ecclesiale è davvero una questione decisiva per la Chiesa di domani. (ag)

Presenza eucaristica e presenza ecclesiale (di Wim De Moor)

Leggendo da tanti anni gli scritti del professore Andrea Grillo, da qualche tempo sono alla ricerca di un ‘ponte’ tra quello che, da una parte, egli dice sulla liturgia e sui sacramenti, e ciò che, da un’altra, sulla ‘smachilizzazione’ della Chiesa e sulla benedizione (sic) dei rapporti ‘irregolari’. Ora, seguendo ciò che sta succedendo intorno alla canonizzazione del beato Carlo Acutis, e notando quanto facilmente le parole del professore siano malintese, mi trovo riportato a delle situazione ecclesiali in cui, notando una prevalenza della presenza eucaristica su quella ecclesiale, mi sono chiesto se, oltre al rispetto per certe devozioni moderne, alla base ci stessero anche dei motivi psicologici, consci o inconsci.

Cerco di spiegarmi. Fino a quando, nella forma dell’ostia ma anche in quella di una ‘spiritualità’ a cui conformare la propria vita, a connetterci c’è ‘il Signore’, non c’è bisogno di guardarci negli occhi. Importa poco, quale sia il provider: chi, sul piano emotivo/affettivo, si sente insicuro, facilmente eviterà la reciprocità; ‘amare il fratello’ si ridurrà all’azione agapica, caritatevole, pastorale o politica. Si parlerà di ‘comunione’ – o, dagli anni settanta in poi: del team, del coetus… –, usando un concetto container nella cui ombra più di una volta si nasconde lo scialbore di uno stare insieme che si scambia per ‘comunità’.

È un altro discorso dove delle persone, cercando di vincere reciprocamente la paura della fragilità umana e di prendersi cura l’una dell’altra, si aprono al fatto che, proprio quando cristianamente celebriamo, Dio ci invita a sperimentare che “quello che facciamo è di più di quello che facciamo.” (Giuliano Zanchi) Per loro, i sacramenti si lascerebbero definire: “What is always and everywhere true, must be noticed, accepted and celebrated, somewhere sometime.” (Michael Hymes) O come regali da parte di Dio che in ogni epoca desiderio desiderat che le Sue chiese sperimentino una ‘Vivida vita et vitalis‘. (San Bernardo)

(Tra parentesi: da ‘nordico italofilo’ non considero necessario diventare seguace di Drewermann. Non è detto, con tutto il rispetto, che una certa freddezza emotiva e affettiva sia primordialmente un problema ecclesiale o individuale. Può anche far parte della cultura o di certi strati sociali, nelle società ‘aperte’ non meno che in quelle ‘chiuse’.)

A mio parere, è urgente che la Chiesa prenda la sua responsabilità, proprio sul piano di aiutare i fedeli a che si lascino forgiare, dallo Spirito, ad una comunità in cui il Figlio si incarna, il che, volendo dialogare seriamente con la cultura tecno-scientifica, implicherebbe tutt’altro che rafforzare i baluardi dogmatici, siano questi eucaristici, etici o morali… Per questo, personalmente non bado troppo ai miracoli, eucaristici o altri. Mettendo assieme ciò che leggo dal professor Grillo sulla liturgia, sui sacramenti e sulle evoluzioni in società, mi sento invece confermato nella convinzione che ciò di cui oggi sicuramente il mondo occidentale ha bisogno, è la testimonianza di una vita condivisa tra persone che sperimentino che, proprio per essere umanamente credibili, ci vuole il sostegno divino. Ci vuole la testimonianza di comunità inclusive dove, in tutta semplicità, si dice: “Venite et videte.

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