Presentazione del ciclo Giustizia e Letteratura per Incontri Esistenziali


Ospitiamo nel blog un contributo esterno che abbiamo ricevuto, in merito a un ciclo di incontri che si è terrà a Bologna. A questo link è possibile scaricare la locandina del primo incontro.

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Presentazione del ciclo Giustizia e Letteratura per Incontri Esistenziali (link: https://www.incontriesistenziali.org/)

di Bruna Capparelli

Incontri Esistenziali

Gli Incontri Esistenziali non si limitano a un’analisi accademica: chiedono ai relatori di raccontarsi, di mettere in gioco il proprio sguardo e la propria esperienza. La letteratura e il diritto qui diventano strumenti per esplorare noi stessi, per scoprire quanto siamo disposti a vedere e a cambiare. La letteratura resta un presidio di autenticità, un richiamo a vivere il presente con pienezza, non da semplici spettatori ma da protagonisti.

 

Visione dell’incontro

Pur non essendo una novità assoluta, il dialogo tra diritto e letteratura è un campo di studio che ha già trovato spazio in molte università anglosassoni e americane attraverso i corsi di Law and Literature. Gli studiosi di questo ambito enfatizzano due prospettive complementari: Law in Literature (il diritto nella letteratura), che analizza le grandi questioni giuridiche esplorate nei testi letterari, e Law as Literature (il diritto come letteratura), che applica ai testi legali metodi di interpretazione, analisi e critica propri della letteratura.

Questo approccio ha implicazioni significative per l’insegnamento del diritto, le aree di ricerca e l’interpretazione dei testi normativi. La capacità della letteratura di offrire uno sguardo profondo sulla condizione umana, unita alla funzione del diritto di regolamentare le esperienze reali, consente al sistema giudiziario di adottare un approccio più dinamico e consapevole per perseguire gli ideali di giustizia e moralità.

In Italia, in particolare, l’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale dell’Università Cattolica di Milano ha consolidato questo dialogo interdisciplinare attraverso i seminari su Giustizia e Letteratura, giunti ormai alla loro 15ª edizione.

Nondimeno, questo incontro si propone di approfondire la prospettiva, mettendo al centro non solo l’analisi giuridico-letteraria, ma anche il percorso esistenziale che caratterizza l’iniziativa.

La letteratura non è solo un’arte, ma è anche un esercizio di giustizia interiore. Essa offre modelli di comprensione, trasmette conoscenze profonde e ci allena all’empatia, allargando lo sguardo oltre il nostro vissuto. La giustizia non è solo un insieme di norme, ma una domanda esistenziale e spirituale. La letteratura ci insegna che ogni processo è anche un processo dell’anima e che la legge non è solo codice, ma narrazione e interpretazione della verità.

Raccontare una storia significa indicare cosa è importante, ridurre l’estensione caotica della realtà a un percorso, un tragitto (cfr. Sontag, Susan, [2007] Nello stesso tempo. Saggi di letteratura e politica. Milano: Mondadori, 2008, p. 186). La letteratura ci libera dagli automatismi del pensiero, rende il nostro cuore intelligente, tiene vive le domande fondamentali e ci rende empatici verso il mondo e gli altri. Ci sono storie che non smettono mai di parlarci, che ci rivelano segreti sulla nostra stessa esistenza. Se da secoli celebriamo certi autori e certe scoperte è perché li consideriamo i “compleanni dell’umanità”: momenti in cui siamo stati risvegliati a un modo migliore di vivere, più presenti a noi stessi.

Questo dialogo tra giustizia e letteratura non riguarda solo i lettori, ma chi della giustizia si occupa quotidianamente. Il giurista, soprattutto il penalista, è consapevole della tormentata storia della penalità. La sua educazione all’attenzione non può prescindere dall’incontro con la letteratura. Tuttavia, questo esercizio richiede umiltà: il giurista deve resistere alla tentazione “imperialistica” di dettare legge anche nella narrazione, di piegare la complessità dei testi letterari a una visione univoca e rassicurante della realtà. È necessario un addestramento all’ascolto, un contenimento della smania regolativa, perché il diritto non ingabbi la vitalità delle storie, ma vi entri in dialogo.

Già Aristotele, nella Poetica, attribuiva alla letteratura una nobiltà superiore rispetto alla storia, poiché la prima tratta dell’universale, mentre la seconda si limita al particolare. Il compito del poeta, e quindi dello scrittore, è raccontare il possibile «secondo verosimiglianza e necessità», mentre lo storico narra ciò che è accaduto.

Martha Nussbaum, in Giustizia poetica, ha sviluppato questa intuizione nel campo giuridico, evidenziando come la narrativa abbia la capacità di farci vivere esperienze attraverso gli occhi degli altri. Per un giurista, una certa dose di immaginazione è indispensabile per comprendere le conseguenze delle proprie decisioni e assumere pienamente la responsabilità delle scelte professionali, istituzionali e personali.

In questa prospettiva, il proposito di questo primo incontro di Giustizia e Letteratura è quello di fecondare con la parola “giustizia” lo sguardo sulle opere letterarie e, al tempo stesso, arricchire la riflessione giuridica con l’esperienza degli scrittori e dei letterati. Il loro contributo, frutto di anni di studio su autori e testi, è essenziale per questa esplorazione reciproca. Solo dopo aver ascoltato il linguaggio della letteratura, il giurista può prendere la parola, non per giudicare, ma per comprendere. La letteratura non serve a fornire risposte, ma a insegnarci a porre le domande giuste, perché solo chi pone domande accurate riceve poi risposte dalla vita. E forse, in questo, somiglia più alla giustizia di quanto si possa pensare.

 

 

Il valore della Storia

Spesso lo si ama “tardi”: a scuola è forse impossibile a colpi di schede sui personaggi, di riassunti dei capitoli e di paura delle interrogazioni. A 15 anni l’entusiasmo della lettura può spegnersi facilmente: qualsiasi cosa, «fatta a pezzi», muore.

La storia di Manzoni costringe il cuore e la mente a rompersi e crescere. Leggendola si scopre la connessione reale tra piccolo e grande, tra la storia di due semplici innamorati e la Storia di tutti gli uomini, si trova nelle sue pagine un effetto farfalla narrativo per cui la storia di Lucia e Renzo fa la Storia: tutto è connesso, in orizzontale e in verticale. La storia è un campo in cui grano e zizzania (erbaccia che imita la spiga ma è velenosa) crescono insieme, indistinguibili se non al momento del raccolto, un intreccio di male e bene di cui il nostro cuore è l’origine.

 

Il “sugo” della storia

Anche Manzoni – come ognuno di noi – era guidato da una domanda «irrispondibile», che campeggia dalla prima («La Historia si può deffinire») all’ultima pagina («Il sugo di tutta la storia») del suo libro: che cosa guida la storia? Il caso, gli uomini o Dio? C’è o ci sarà una giustizia? 

La sua risposta non è astratta, ma nella relazione dei due protagonisti, sposi: vivere è esporsi al rischio di agire, e la storia la fa la libertà umana a cui è dato scegliere se cercare il potere o l’amore. Grano e zizzania crescono insieme, sta a ognuno scegliere quale parte del campo coltivare: quella del potere (dominare e usare il mondo e gli altri) e del quieto vivere (che permette al potere di affermarsi), la zizzania che avvelena, o quella dell’ardore del desiderio, il grano che farà pane per altri. Dio, apparentemente assente, lascia la storia in mano agli uomini, dando a ciascuno il tempo e la possibilità di scegliere: indimenticabile, alla fine di tutta l’avventura, il faccia a faccia di Renzo e don Rodrigo privo di sensi, in cui al primo è chiesto di perdonare il nemico e al secondo di chiedere perdono. Che cosa succede nel loro cuore Manzoni non lo dice, lo sa solo Dio, ma porta sempre i personaggi su questa soglia, la scelta tra grano e zizzania, verità e menzogna, vita o morte: la storia è la trama di queste scelte, così come tutta la vicenda è innescata dal capriccio di un uomo (don Rodrigo) e dalla paura di un altro (don Abbondio). Per tacere della cialtroneria dell’Azzecagarbugli… Questo «sugo» invita generazioni di studenti e giovani adulti a confrontarsi ancora con l’enigma dell’essere al mondo: qual è il mio destino? Farlo, questo «sugo», a Manzoni è costato quei 20 anni di lavoro che si sentono in ogni riga. Anche noi siamo chiamati a fare altrettanto. Solo così potremo scegliere se essere accesi o spenti, muoversi o restar fermi, esser «pro-messi», che poi vuol dire «mandar avanti», e quindi «rischiare», come “gli sposi”, o «di-messi», trascurarsi, ritirarsi, essere esclusi. E solo se non baratteremo il nostro destino irripetibile con il potere o il quieto vivere, potremo essere vivi da vivi, e magari anche da morti. Recentemente si sono celebrati i 150 anni dalla morte di Manzoni ed essere ancora così vivo non è da tutti. Segnato più volte dal dolore, non ha mai rinunciato a cercare risposta a tutto il dolore che ha segnato la sua vita. E lo ha trovato in una coppia di sposi.

 

La Storia della Colonna infame

Pubblicata nel 1840 come appendice a I Promessi SposiLa Storia della Colonna infame di Alessandro Manzoni è una riflessione straordinaria sull’ingiustizia e sul potere. Il testo ricostruisce il processo del 1630 a Milano contro due presunti untori, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, condannati e torturati sulla base di accuse infondate. Manzoni smaschera l’arbitrarietà della giustizia e il peso del pregiudizio, mostrando come la paura collettiva possa generare aberrazioni giuridiche.

L’opera offre una potente lezione sull’errore giudiziario e sulla responsabilità morale di chi detiene il potere, temi ancora oggi attualissimi. Manzoni critica l’uso della tortura come strumento per estorcere la verità e denuncia la sudditanza dei giudici alle pressioni sociali e politiche. Questa vicenda diventa un monito: senza un solido fondamento etico, la giustizia rischia di trasformarsi in un’arma di oppressione.

La Colonna infame non è solo un’indagine storica, ma un’opera che interroga il nostro tempo. In un’epoca in cui il dibattito sulla giustizia è più vivo che mai, la voce di Manzoni ci ricorda che la legge non può essere cieca né sottomessa alla paura. L’opera invita il lettore a riflettere sulla responsabilità individuale, sulla necessità di un sistema giuridico equo e sulla pericolosità del conformismo.

Di fronte all’ingiustizia e alla sofferenza, Manzoni sembra porre una domanda più radicale: senza uno sguardo trascendente, possiamo resistere al male, alla fatica, al dolore?

 

Tesi per l’incontro su Giustizia e Letteratura

La letteratura ha sempre interrogato la giustizia, mettendone in luce le tensioni irrisolte tra diritto, morale e potere. In particolare, La Storia della Colonna infame di Manzoni – che, secondo Sciascia, è parte integrante de’ I Promessi Sposi e dovrebbe essere letta insieme ad essa – rappresenta un esempio emblematico di come la narrazione possa svelare le contraddizioni del sistema giudiziario e le insidie della giustizia umana, spesso soggetta a pregiudizi, pressioni sociali e abusi di potere.

Ma questo non riguarda solo il passato: ancora oggi, il confine tra giustizia e legalità si rivela fragile e permeabile. Errori giudiziari, condanne ingiuste, processi mediatici e la manipolazione della verità a fini di potere ne sono una dimostrazione costante.

Ezio Raimondi, in un saggio, suggeriva di rileggere I Promessi Sposi non come un “romanzo della provvidenza”, ma come un’opera che affronta il mistero della storia, perché Renzo e Lucia scoprono che «il dolore del mondo non si spiega da solo e la fiducia in Dio rimane la sola difesa contro la violenza e l’assurdo, nel viaggio misterioso sulla terra. Ma proprio in questa fiducia consiste poi la pazienza, la giustizia per cui l’uomo può soffrire e sentirsi fratello degli oppressi, anche se la paura gli è nota più del coraggio» (Il romanzo senza idillio).

L’incontro si propone di esplorare la giustizia non solo come esperienza giudiziaria, ma anche come domanda di Giustizia, ponendo un interrogativo centrale: quali sono le condizioni che portano alla distorsione della giustizia e quali, invece, possono evitarla? In che modo la letteratura può aiutare sia la collettività sia gli operatori della giustizia?

Diritto e letteratura non sono solo strumenti di analisi, ma occasioni per interrogarci su noi stessi: sulla nostra capacità di vedere, comprendere, cambiare e allenare la virtù dell’attenzione nella relazione con l’altro. La giustizia, infatti, non è solo un concetto normativo: è un’esperienza umana che mette alla prova il nostro senso morale, la nostra responsabilità e il nostro modo di stare nel mondo.

Nondimeno, l’incontro intende approfondire il rapporto tra giustizia e Giustizia, attraverso il confronto tra le due opere manzoniane.

In tempi di crisi abbiamo bisogno dei classici, e non per una devozione da museo, ma perché sono i libri che sopravvivono alla prova del tempo, proteggendo il destino dell’uomo dai suoi miraggi. La parola “classico” deriva probabilmente da un verbo latino che significava “chiamare”: ogni classico è un appello a non perdere ciò che è umano nell’uomo, ciò che in lui permane. Per chi e per cosa vale la pena vivere?

Prendere in mano un classico è sì prendere un «mattone»… ma per costruire una «r-esistenza».

 

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