Polarizzazione e Sinodalità. In margine alla recente intervista a Leone XIV (di Linda Pocher FMA)


Un'immagine dei lavori sinodali dell'ottobre 2023

 

Ricevo da Linda Pocher questo contributo alla riflessione intorno al tema della polarizzazione, sollevato dalla intervista di papa Leone. Credo che contribuisca a cogliere il rapporto tra le parole del papa e il compito del cammino sinodale, così come ripensato dal pontificato di Francesco. Ringrazio Linda per il suo testo (ag)

Polarizzazione e Sinodalità

In margine alla recente intervista a Leone XIV

di Linda Pocher FMA

Il dibattito che ha seguito la recente intervista a Papa Leone XIV, in cui il pontefice ha affrontato la questione della polarizzazione nella Chiesa, ha rivelato, ancora una volta, quanto la nostra comunità ecclesiale sia attraversata da tensioni e conflitti. Le sue parole sono state interpretate in modo diametralmente opposto da “tradizionalisti” e “riformisti”, riflettendo un clima di scontro che attraversa la Chiesa stessa. Se da una parte c’è chi vede nelle sue dichiarazioni un segno di apertura alla riforma, dall’altra c’è chi le percepisce come un invito a conservare le tradizioni. Tuttavia, ciò che è emerso con chiarezza in seguito a questa intervista è il fatto che il superamento delle polarizzazioni non è affare del solo Pontefice, ma dipende dall’apertura e dal discernimento dell’intera comunità ecclesiale nei suoi diversi attori, ognuno portatore di pensiero e di esperienza. E questo è proprio il cuore del cammino sinodale: una chiamata ad imparare ad ascoltare, discernere e camminare insieme, pur nelle nostre differenze. In un mondo a più livelli lacerato dai conflitti e dalle polarizzazioni, la sinodalità, proposta con grande insistenza da Papa Francesco e rilanciata a più riprese e con convinzione da Leone XIV, è forse la profezia di comunione e di unità, ma anche di pluralismo e diversità, che può rendere davvero e universalmente significativa la Chiesa Cattolica del XXI secolo.

“Una parola ha detto Dio, due ne ho udite” (Sal 61,12)

Sono convinta che il sano pluralismo, che appartiene alla Scrittura e alla tradizione ecclesiale, costituisca l’orizzonte più adatto per interpretare e superare la polarizzazione che caratterizza questo nostro tempo. La Chiesa, infatti, da sempre è stata caratterizzata da una pluralità di voci che si sono alternate e susseguite lungo la sua storia. A partire dai quattro vangeli che rappresentano quattro differenti modi di ricevere e annunciare l’unico kerigma di salvezza, portando al racconto differenze tali da impedire l’armonizzazione della vicenda narrata in un unico racconto. Basti pensare al problema irrisolto riguardo all’ultima cena: si è trattato di una cena pasquale, come affermano i sinottici, o di una cena celebrata la sera precedente la pasqua, come lascia intendere Giovanni? E poi il Risorto, dove è apparso ai suoi: a Gerusalemme o in Galilea? E, infine, dove abitavano i genitori di Gesù prima della sua nascita: a Nazaret, secondo Luca, o a Gerusalemme, secondo Matteo? Non si tratta, di fatto, di dettagli di poco conto. Eppure è proprio a partire da questa pluralità che il cristianesimo si è sviluppato ed è forse proprio questa pluralità che può impedirci, di generazione in generazione, di sentirci possessori di una verità assoluta che non sia l’annuncio dell’amore di Dio, che abbraccia tutti, tutti, tutti. D’altra parte, di questo pluralismo era consapevole anche il popolo della promessa: “una parola ha detto Dio, due ne ho udite”, afferma il salmista, come a ricordare a sé stesso a anche a noi, che ogni parola che esce dalla bocca di Dio è destinata non solo all’accoglienza, ma anche alla interpretazione dell’essere umano che la riceve, rinfrangendosi così in una pluralità di parole seconde, di libri e di racconti, che presuppongono la storia e la cultura del tempo in cui sono stati scritti, in quanto i loro veri autori sono, insieme a Dio, anche gli esseri umani. Ed è proprio per questo che la tradizione della Chiesa non viene descritta soltanto attraverso l’immagine di un deposito prezioso, che deve essere conservato con cura, ma anche attraverso quella del seme che cresce e si sviluppa e quella del dialogo tra due persone che si amano e approfondiscono nel tempo la conoscenza reciproca (cf Dei Verbum 8). La rivelazione d’altra parte è incontro tra due misteri senza fondo: il mistero di Dio e quello dell’essere umano. Certamente, perciò, il presente e il futuro possono riservare ancora all’uno e all’altro tante sorprese, sviluppi, di quell’immutabile todos, todos, todos, che Francesco ha fatto risuonare con forza in questo nostro mondo diviso, ponendolo come pietra di paragone di un cristianesimo autentico, secondo il cuore del Dio di Gesù. La polarizzazione che oggi si vive, tanto dentro quanto fuori la Chiesa, è dunque una questione che non dovremmo affrontare con paura, ma con la consapevolezza che la pluralità di opinioni e di approcci è parte del patrimonio della fede. Quando ci confrontiamo con le sfide del nostro tempo, dobbiamo ricordare che il pluralismo non è il nemico della verità, ma il modo in cui questa verità si svela attraverso il cammino comunitario. La Chiesa, in definitiva, è chiamata ad essere un luogo dove le diversità non solo sono tollerate, ma accolte e rispettate, in quanto sono un’occasione di crescita per tutti.

La tentazione della manipolazione

All’interno dell’orizzonte del pluralismo cristiano, anche il Papa esprime il suo pensiero, condizionato dalla sua storia e dalla sua esperienza. Quando lo fa in una intervista, che non è assimilabile ad un atto di magistero né ordinario né straordinario, ci offre il suo personale contributo al dibattito in corso, autorevole a causa del ruolo che ricopre ma pur sempre parziale e passibile di sviluppo. Sono parole che ci vengono donate per permetterci di conoscere la persona del nuovo Papa e per stimolare la nostra riflessione. La tendenza, a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi, a cercare tra le sue parole e i suoi gesti, elementi a cui puntellare posizioni opposte e altrimenti insostenibili è prima di tutto una mancanza di rispetto nei suoi confronti. In secondo luogo si tratta di una abitudine che inquina il dialogo ecclesiale, creando in coloro che non hanno tempo di approfondire e si affidano al giudizio di altri, ondate di entusiasmo ovvero delusione immotivate a seconda degli schieramenti ideologici da cui provengono le interpretazioni. Questa manipolazione delle parole papali è non solo vergognosa, ma anche pericolosa per la Chiesa stessa, poiché aumenta la polarizzazione, fomentando divisioni e confusione, invece di favorire un autentico discernimento. Papa Leone XIV, come Papa Francesco, ha invitato più volte ad evitare le semplificazioni: la Chiesa non dovrebbe essere un campo di battaglia ideologico, ma lo diventa nella misura in cui i credenti si ergono a difensori del proprio parziale punto di vista, affrettandosi a bollare di eresia tutto ciò che si discosta da esso. Le parole del Papa non meritano di essere ridotte a strumenti per legittimare le proprie posizioni. Il desiderio di Leone di superare le polarizzazioni, in particolare, costituisce prima di tutto un invito ad ognuno a mettersi in un autentico cammino di comunione, di ascolto e di discernimento. Anche le parola del Papa devono essere interpretate nel loro contesto e nell’integralità, come proposta di pace, di riconciliazione e di cammino comune, non come una bandiera che alimenta lacerazioni. Se continuiamo a usare il Papa come un’arma per i nostri giochi politici e ideologici, non solo perdiamo il senso della sua autorità, ma impoveriamo la Chiesa stessa. È davvero vergognoso ridurre la figura del Papa a uno strumento per rafforzare la propria visione del mondo, quando la sua missione è quella di testimoniare l’unità e la fraternità.

Il cammino sinodale: dialogo e discernimento

La strada concreta, a portata di mano di tutti gli attori della comunità ecclesiale, che può permetterci di superare la polarizzazione è il cammino sinodale. Si tratta infatti dell’invito a camminare insieme come popolo, con l’umiltà di ascoltare e discernere, senza pretendere di avere tutte le risposte. In questo cammino, è fondamentale ricordare che non tutto dipende dal Papa. Il Papa, come successore di Pietro, ha un ruolo centrale, ma non è l’unico protagonista del cammino ecclesiale. La Chiesa è il popolo di Dio, e il cammino sinodale è un cammino che coinvolge tutti, dal Papa ai vescovi, dai sacerdoti ai laici. La sinodalità richiede una Chiesa che non solo ascolta, ma che ascolta tutti, riconoscendo in ogni voce una parte della verità. Aspetto fondamentale del cammino sinodale è la reciprocità tra ascolto e parresia, ovvero la libertà di esprimere la propria opinione senza paura di essere giudicati o emarginati. Ascoltare l’altro non significa rinunciare a dire la propria verità, ma farlo con il rispetto che ogni individuo merita. La parresia non è una provocazione, ma una dichiarazione di autenticità, che deve andare di pari passo con l’ascolto. L’ascolto è un atto di pazienza, di apertura, ma anche di discernimento, che ci permette di non fermarci alle apparenze o alle soluzioni facili. Il discernimento spirituale inizia proprio quando ci troviamo di fronte a una tensione, come quella che oggi viviamo nella Chiesa tra “tradizionalisti” e “riformisti”. Di fronte alla polarizzazione, la tentazione è quella di ridurre le alternative a due sole opposte possibilità: cambiare o non cambiare. Questa riduzione trasforma il dialogo ecclesiale in un braccio di ferro, dove vince il più forte, il quale non è necessariamente il più ispirato. Discernere, invece, significa aprirsi alla novità e alla creatività dello Spirito che può far scaturire sorgenti anche nel deserto. Per uscire dalla polarizzazione, pertanto, è necessario aprirsi alla possibilità che lo Spirito Santo ci offra una terza o una quarta via, una o più soluzioni che non avremmo potuto prevedere – né da destra, ne da sinistra – ma che possono emergere solo quando siamo disposti da entrambe le parti ad ascoltare veramente, senza preconcetti e a cedere nel momento in cui si renda evidente l’inadeguatezza della nostra posizione personale. È necessario, inoltre, deporre le armi della ridicolizzazione, della calunnia, dell’insulto nei confronti di coloro che riteniamo essere i nostri “avversari”. Smettere di trattarci come “nemici”. Iniziare a riconoscere in colui o colei che resiste di fronte alle mie proposte, che respinge il mio modo di pensare, uno o una che pur essendo differente da me cerca la strada insieme a me. Solo in questo modo l’esperienza delle tensioni intraecclesiali diviene profezia e opportunità di crescita.

Linda Pocher FMA

Share