Mai più la guerra. I settant’anni della Carta dell’ONU

Nella foto le bandiere degli Stati presso la Sede ONU di Ginevra. In primo piano le insegne della Santa Sede e della Palestina, issate per la prima volta lo scorso 13 ottobre.
Il 2 settembre 1945 il delegato del governo giapponese Shigemitsu e il generale Umezu incontrarono il generale americano MacArthur a bordo della corazzata Missouri per firmare la resa senza condizioni. La seconda guerra mondiale, la seconda inutile strage del Novecento, terminò così. In quel momento, come in ogni conflitto, le domande sulla ricostruzione cominciavano ad affiorare; non erano però solo interrogativi sulle influenze geografiche e sui nuovi confini degli Stati sconfitti. C’era un obiettivo chiaro nella prospettiva politica di tutti i grandi del mondo: bisognava «salvare le generazioni future dal flagello della guerra che per ben due volte ha inflitto sofferenze indicibili all’umanità» («to save succeeding generations from the scourge of war, which twice in our lifetime has brought untold sorrow to mankind»).
Queste parole solenni aprono il Preambolo della Carta delle Nazioni Unite (qui il testo). La Costituzione della nuova Organizzazione che fu discussa alla Conferenza di San Francisco dal 25 aprile al 25 giugno 1945 entrò in vigore il 25 ottobre 1945, settant’anni fa.
La Carta contiene 19 capitoli e 111 articoli. Essa definisce i principi, gli scopi, gli organi dell’Organizzazione e il loro funzionamento. Quello della pace e della sicurezza mondiale non è l’unico obiettivo, dal momento che i membri dichiarano l’impegno a rispettare ciò in cui più credono, vale a dire diritti fondamentali: dal valore della persona umana e della sua dignità, al rispetto del principio di uguaglianza.
Già le prime due sessioni dell’Assemblea Generale (gennaio/febbraio e ottobre/dicembre 1946) lasciarono intuire che, nonostante gli intenti inziali per la pacificazione mondiale, l’ONU sarebbe di lì a poco divenuto terreno di scontro per un nuovo tipo di guerra tra due blocchi ideologici. Infatti, non senza difficoltà si riuscì ad eleggere il primo Segretario Generale, il norvegese Trygve Lie; nel 1947 alcuni Stati – Bulgaria, Romania, Ungheria, Ceylon – non furono ammessi a causa dei veti incrociati di USA e URSS.
La storia di questi settant’anni dimostra che le Nazioni Unite mancano di dinamicità interna e di promozione esterna dei principi che ne ispirarono la costituzione.
Per più di cinquant’anni le dinamiche della guerra fredda hanno paralizzato dall’interno i meccanismi dell’Organizzazione e anche i tentativi di riforma successivi – alla fine dello scontro bipolare – sono rimasti incompiuti. Il Consiglio di Sicurezza, composto ancora dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra mondiale, è un esempio lapalissiano di questo blocco interno. La differenza infatti tra membri permanenti e non mina alla base la possibilità di un’uguaglianza strutturale degli Stati.
E’ però nella sua azione esterna che l’ONU dovrebbe guadagnare quella credibilità che oggi manca. L’Organizzazione ha come fine la promozione della pace e la salvaguardia dei diritti umani mediante lo strumento della sovranità del diritto internazionale.
La tutela dei diritti umani è certamente uno dei campi nei quali l’ONU ha giocato un ruolo fondamentale per il monitoraggio e la denuncia delle violazioni. Mancano ancora però meccanismi di vera prevenzione e d’intervento attivo per poter promuovere i diritti di tutti i cittadini del mondo. Nella promozione della pace è impossibile non registrare che – nonostante i plurimi fattori di tale circostanza – l’ipotesi di una terza guerra mondiale è stata sventata anche grazie al ruolo di mediazione e dissipazione costituito dal Palazzo di vetro. Oggi la guerra ha cambiato volto e si gioca a pezzi e in campi non demarcati (la finanza, i grandi investimenti nei continenti più poveri…) e necessita di uno sforzo ancora più ampio d’intervento internazionale.
Come ha ricordato Francesco nel discorso tenuto all’Assemblea Generale il 25 settembre scorso, vi sono anche luci in questo cammino: «la codificazione e lo sviluppo del diritto internazionale, la costruzione della normativa internazionale dei diritti umani, il perfezionamento del diritto umanitario, la soluzione di molti conflitti e operazioni di pace e di riconciliazione, e tante altre acquisizioni in tutti i settori della proiezione internazionale delle attività umane. Tutte queste realizzazioni sono luci che contrastano l’oscurità del disordine causato dalle ambizioni incontrollate e dagli egoismi collettivi».
Le luci e le ombre di questo percorso devono rinnovare l’impegno a investire nei grandi obiettivi incompiuti delle Nazioni Unite: sovranità del diritto, promozione della pace e dei diritti umani.
Un’ultima annotazione merita il progetto, forse utopico, dell’ONU come grande organizzazione politica. Sono sempre esistite due grandi correnti di pensiero: il pacifismo giuridico (Kant, Kelsen, Rawls) e quello politico (Sturzo, Maritain, Giovanni XXIII). Il pacifismo giuridico che dà prevalenza alla sovranità del diritto, ma non tocca l’indirizzo politico dei processi fa emergere il grande paradosso al quale assistiamo oggi: la sempre più rilevante urgenza di un bene comune globale da promuovere e la totale assenza di istituzioni internazionali deputate a farlo. Pensare e favorire piccoli passi concreti su questa strada potrebbe essere la via per dare anima e un ethos condiviso a un’istituzione che è al vertice della convivenza umana. E’ nel campo di questa utopia concreta che tutti auspichiamo che l’esortazione di Paolo VI dinnanzi all’Assemblea dell’ONU (5 ottobre 1965) diventi affermazione dell’ordine mondiale: «Mai più la guerra».