L’intercomunione in Germania e il piano inclinato di Mons. Chaput


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In un articolo per First Things (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/05/what-happens-in-germany) dal titolo “Che cosa accade in Germania” l’Arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput,  interpreta la discussione tedesca sulla “intercomunione” con la nota metafora del piano inclinato. Tuttavia, nel fare le sue considerazioni, egli dimentica non solo il contesto specifico della proposta tedesca, ma mostra di non aver memoria neppure per la storia americana. E’ tutto concentrato sugli errori tedeschi e non fa caso all’errore che lui, come americano, compie rispetto alla propria storia. Vorrei brevemente riferire il suo discorso, contestualizzarlo meglio nel suo ambito autentico e provare a risolverlo con il riferimento fondamentale alla storia americana, così come appare in un grande film.

La ricostruzione sorprendentemente astratta di Mons. Chaput

Mons. Chaput comincia da lontano: da Lutero. E schiaccia la proposta del Card. Marx sulla storia di 500 anni fa. Come se il Concilio Vaticano II non ci fosse mai stato. Come se Unitatis redintegratio fosse un pamphlet di intellettuali, come se non vi fosse una “questione ecclesiale” legata alla comunione possibile in famiglie “miste”. Ma tant’è. Seguiamolo nel suo essenziale ragionamento, che qui sintetizzo per punti, usando le sue stesse parole:

 1. Seguendo il ragionamento di uno degli oppositori del card. Marx, egli sostiene che dove si dice sì alla eucaritia cattolica, si dice naturalmente sì al papato, alla struttura gerarchica della Chiesa, alla venerazione dei santi e a molte altre cose ancora. Se l’eucaristia è veramente il segno e lo strumento della unità ecclesiale, allora se cambiamo le condizioni della comunione, non ridefiniamo di fatto chi e che cosa è Chiesa?
2. La comunione presuppone comunione di fede e di credo, includendo la fede soprannaturale nella presenza di Gesù Cristo nella Eucaristia, insieme ai sette sacramenti riconosciuti dalla perenne tradizione della Chiesa cattolica. Mentre la rinegoziazione della proposta tedesca adotta una nozione protestante di identità ecclesiale. Sembra sufficiente il battesimo e la fede in Cristo. Dovrà il coniuge protestante credere nell’ordine sacro come compreso dalla Chiesa cattolica, che è logicamente collegato alla fede nella consacrazione del pane e del vino come corpo e sangue di Cristo?
3. La proposta tedesca recide il vincolo vitale tra comunione e confessione sacramentale. Infatti non implica che il coniuge protestante debba confessarsi per un peccato grave come preludio alla comunione. Ma questo contraddice la pratica perenne e l’espresso insegnamento dogmatico della Chiesa cattolica e porta ad una protestantizzazione della teologica cattolica dei sacramenti.
4. Se viene rinegoziato un insegnamento che ha ricevuto definizione conciliare, allora tutti gli insegnamenti possono essere relativizzati? Al coniuge protestante si dovrà richiedere di credere nella divinità di Cristo? Se deve credere nella presenta reale di Cristo nel sacraento, perché non dovrebbe condividere la fede cattolica nell’ordine sacro e nel sacramento della penitenza? Ma se devono credere a tutti questi articoli di fede, perché non sono invitati a diventare cattolici per entrare nella pienezza di comunione?
5. Se i protestanti sono invitati alla comunione cattolica, i cattolici restano ancora esclusi dalla comunione protestante? Se è così, perché dovrebbero essere esclusi? Se non sono esclusi, questo non implica che la visione cattolica sull’ordine sacro e sulla valida eucaristia di fatto è falsa, e se è falsa non implica che la fede protestante è vera? Se la intercomunione non vuole implicare una equivalenza tra la eucaristia cattolica e protestante, allora la pratica della intercomunione trae in errore il fedele. E causa un classico caso di “scandalo”, poiché la unità non può essere costruita su un processo che sistematicamente cancella la verità delle nostre differenze
6. La essenza della proposta tedesca di intercomunione è di voler condividere la santa comunione anche quando non c’è vera unità ecclesiale. Vi è un intrinseco legame tra “essere in comunione” con una comunità e “ricevere la comunione” in quella comunità. Se così non è, si mente davanti a Dio e lo si offende seriamente

Come è evidente, della “proposta Marx” si assume un profilo del tutto astratto, e identificando immediatamente – e rozzamente – la comunione con la “visione cattolica della comunione”, si provocano tutta una serie di “cortocircuiti” tra una “verità” assunta astrattamente da una lettura retrograda della tradizione e la proposta avanzata da parte tedesca, che viene ridotta alla caricatura di una assurda protestantizzazione del cattolicesimo. Un chiarimento di fondo deve essere qui offerto.

La concretezza familiare della intercomunione in Germania

La prospettiva assunta da Chaput perde fin dall’inizio la linea di forza messa in campo dal Card. Marx: ossia la presenza di un “altro” scandalo, ossia quello di “coppie cristiane”, appartenenti a diverse confessioni, e che debbono vedersi impedita la “comunione visibile” a causa della mancanza di comunione tra le Chiese.

Qui occorre procedere con molta chiarezza, data la delicatezza del tema. Anche in questo caso riassumo in pochi punti la serietà e la plausibilità della proposta tedesca:

1. Si tratta, innanzitutto, di affermare la superiorità della “azione eucaristica” rispetto alle condizioni con cui ogni singola Chiesa ha potuto svilupparne una dottrina e una disciplina. Se la stessa “ecclesia” è “de euchristia”, ciò significa che non è anzitutto la Chiesa a dover porre condizioni per la eucaristia, quanto piuttosto è l’eucaristia a porre le condizioni per la Chiesa.

2. A ciò si deve aggiungere, quanto alla proposta in senso stretto, che essa riguarda una “comunione eucaristica” che viene resa possibile – in modo singolare e non generale – da un’altra comunione, che è quella coniugale. La “piccola Chiesa domestica” che è la relazione coniugale sarebbe il vincolo che, legando una parte cattolica e una parte non cattolica, permetterebbe, a certe condizioni, una comunione eucaristica piena anche se la comunione ecclesiale non è piena.

3. Si potrebbe dire che in qualche modo alla carenza di comunione ecclesiale sopperisce la ricca esperienza della comunione coniugale. Il fatto che la parte “non cattolica” sia marito (o mogle) della parte cattolica può essere considerato condizione necessaria – anche se di per sé non sufficiente – per aprire la comunione eucaristica alla sua esperienza, cui è giunto per un “amore all’eccesso” vissuto non nella stessa Chiesa, ma nello stesso amore di cui quella Chiesa vuol essere segno.

4. Ora è ovvio che, se si dimentica questo orizzonte coniugale, in cui si inserisce lucidamente la “proposta tedesca”, si ha buon gioco a costruire quella serie di “paralogismi” che sono tanto poco convincenti, quanto più si allontanano dalla proposta concreta. Che non è quella di equiparare le “dottrine” e le “discipline” di Chiese che restano diverse, ma di poter riconoscere, nonostante questa diversità, che la esperienza di “vincolo coniugale” può rendere accessibile la piena comunione, sia pure per vie segrete che non è dato conoscere sul piano della dottrina e della disciplina, ma che si rendono accessibili sul piano della esperienza del Mistero, a cui si apre la vita differenziata nel vincolo ecclesiale, ma unificata nel vincolo coniugale.

5. Va ricordato, infine, che anche in questo caso il percorso previsto dalla “proposta tedesca” si inserisce nello stesso quadro “processuale” previsto da Amoris Laetitia per affrontare le “crisi” che il matrimonio può incontrare. E il rifiuto opposto astrattamente a tale proposta ha tutta la apparenza di una radicale incomprensione di queste “proposte processuali”, che riprendono il grande insegnamento del Concilio Vaticano II, per il quale allora nella assise conciliare, come oggi in questa proposta, non si trattava di cambiare o innovare dottrina e disciplina cristiana, ma di ritrovare quel terreno del mistero – di Dio e dell’uomo, del Vangelo e della esperienza – su cui può fiorire la fede in Cristo.

6. Per questo lo “scandalo” che Mons. Chaput addita alla attenzione è frutto di uno sguardo strabico: è scandaloso, in effetti, non il fatto che finalmente la coppia “mista” possa essere unita anche nella comunione eucaristica, ma che la istituzione ecclesiale, per salvaguardare se stessa, porti la divisione nel cuore stesso delle famiglie. Se è vero che la Chiesa che vuole comprendere la “gioia dell’amore” ha da imparare ascoltando seriamente le famiglie, ho l’impressione che Mons. Chaput, per crescere nel suo magistero, debba disporsi ad un serio corso di aggiornamento, per la sua teologia eucaristica, ma prima ancora per la sua teologia matrimoniale. Si esponga alle vite, piuttosto che disporre delle vite.

Il “piano inclinato” nel film “Lincoln” di S. Spielberg

Molto interessante è, infine, una grave amnesia che sembra aver colpito l’Arcivescovo di Philadelphia. Egli evoca la fortunata immagine del “piano inclinato”: prima si comincia con una piccola comunione eucaristica tra marito e moglie, poi la si estende a tutti i non cattolici, e si finisce con il perdere tutti i preziosi contenuti della tradizione cattolica, finendo in una misera “protestantizzazione” della fede. Per evitare questa “deriva” bisogna restare fermi, saldi, irremovibili, prima di qualsiasi concessione “ecumenica”, per quanto piccola o limitata.

Questo ragionamento, fondato sulla “paura di scivolare” è particolamente fortunato, ma è fragile e ingiusto. E lo è in modo particolare per un arcivescovo americano, che sembra dimenticare quella bella pagina di storia, che ci racconta il film di S. Spielberg, Lincoln. Nel film ci troviamo di fronte a una grande “svolta profetica” che apre il nostro tempo: la equiparazione dei neri ai bianchi davanti alla legge, iniziava la fine della schiavitù, iniziava la “società aperta”. Ma un oppositore di Lincoln, alzandosi nell’aula, pronuncia un discorso forte, che assomiglia tanto a quello del Cardinale. Egli dice: “Oggi, signori, in questa aula, l’arroganza degli uomini vuole sconfiggere la volontà di Dio. Quel Dio che ha voluto gli uomini diseguali verrà messo a tacere e gli uomini si proclameranno uguali! Ma non finisce qui. Come su un piano inclinato, gli eventi precipiteranno. Tra qualche anno, in questa aula, verranno questi stessi neri, che da domani saranno liberi, e avranno una nuova pretesa: vorranno votare. E voi glielo concederete. Ma non sarà ancora tutto. Dopo altri anni, in questa aula verranno a chiedere di votare anche le donne. E allora sì che avremo toccato il fondo”.

Nel leggere le parole seccate e rigide di Mons. Chaput, ho pensato a questo testo amaro, che si ascolta nel film di Spielberg. Se Mons. Arcivescovo volesse approfondire, potrebbe scoprire che negli stessi anni, ossia nella seconda metà del XIX secolo, alcuni zelanti padri gesuiti, sui primi numeri della “Civiltà Cattolica”, scrivevano pagine terribili, sulla moralità della schiavitù e sulla esigenza di mettere all’indice libri pericolosi come “La capanna dello zio Tom”.

Eh sì, Monsignore, deve ammetterlo: anche i gesuiti non sono più quelli di una volta!

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