La sua vita non dipende dai suoi beni


XVIII domenica del Tempo ordinario – C
LETTURE: Qo 1, 2; 2, 21-23; Sal 89; Col 3, 1-5. 9-11; Lc 12, 13-21

Introduzione
Come leggere i testi di questa domenica? C’è il rischio di leggerli unicamente in chiave di insegnamento sulla gestione dei beni materiali. Tuttavia, sebbene questo tema sia certamente presente, esso non è l’unica prospettiva di lettura dei testi biblici di questa domenica. Infatti, se noi leggiamo il testo evangelico con uno sguardo un po’ più ampio, possiamo scoprire che in realtà l’invito di Gesù a guardarsi dalla cupidigia ha sempre principalmente un valore teologico. Riguarda cioè il nostro modo di vedere Dio e di rapportarci con lui. Certo c’è anche l’insegnamento di come comportarsi nel rapporto con i beni, ma questo si fonda sul rapporto con Dio. Nella fede cristiana è sempre così, e noi dovremmo impararlo dalle Scritture: non viene prima il comportamento e poi il rapporto con Dio, ma prima c’è il rapporto con Dio, poi c’è l’impegno nella vita che da esso deriva. E’ un aspetto importante che spesso dimentichiamo.
Le brano del Qoelet (I lettura) troviamo una riflessione sapienziale sul rapporto con i beni e sul lavoro dell’uomo per possederli. Potremmo dire che è lo sguardo umano e disincantato su queste realtà. Già a partire dall’esperienza puramente umana si può avere uno sguardo di sapienza sul rapporto con i beni. Anche la Lettera ai Colossesi (II lettura) non è priva di espressione che si collegano con le altre letture. L’Apostolo invita i cristiani a “cercare le cose di lassù”, poiché in Cristo hanno ricevuto una vita nuova. E’ l’aver sperimentato la Pasqua di Cristo e l’essere in lui innestati che richiedere ai cristiani di rivestire l’uomo nuovo.

Riflessione
Vivere la grazia di Dio
Per entrare nel testo evangelico occorre tener presente che Luca, da buon catecheta qual’era, quando scrive, sviluppa un discorso sempre completo e articolato. Per comprendere un brano è dunque necessario avere uno sguardo ampio. Anche se la liturgia non può farlo, dal momento che necessariamente deve compiere della scelte, noi possiamo allargare il nostro sguardo a ciò che segue questo brano per coglierne il messaggio che sta a cuore all’evangelista.
Dopo il nostro brano, infatti, Luca inserisce un discorso di Gesù che la TOB titola Vivere la grazia di Dio. In questo discorso Gesù invita i suoi discepoli a non preoccuparsi per la loro vita, per il cibo e per il vestito poiché la vita dell’uomo vale più del cibo e più del vestito (Lc 12, 23). C’è quindi un preciso invito di Gesù ha ritenere i beni materiali degli strumenti che non possono essere ritenuti mai dei fini.
Dopo questa affermazione iniziale Gesù fa riferimento ad alcune immagini che ne rivelano l’animo aperto all’osservazione della natura e alla bellezza della creazione. Gesù invita i suoi ascoltatori ad osservare i corvi, che, pur non facendo nessun lavoro, vengono nutriti da Dio stesso, ma, conclude Gesù, l’uomo vale di più degli uccelli del cielo! Quindi invita ad osservare i gigli del campo. Essi sono vestiti splendidamente da Dio e neppure Salomone – il re ricco e sapiente per eccellenza – poteva vantare abiti così splendidi. Se Dio veste così i gigli del campo, quanto più l’essere umano.
Gesù con questi due esempi tratti dal mondo della natura vuole invitare i suoi discepoli a vivere la relazione con Dio e a pensare la propria vita come custodita da lui. E’ il Regno di Dio che i discepoli devono cercare, tutto il resto viene dopo e sarà donato in sovrappiù da Dio stesso.
Gesù affermando queste cose non vuole certamente sostenere una posizione spiritualista. Dio non è colui che risponde ai bisogni dell’uomo quasi in modo magico: egli non è un idolo. Gesù non elimina il valore della fatica, del lavoro e dell’impegno personale per raggiungere quelle mete che ci stanno a cuore. Ciò che Gesù vuole affermare è la necessità di non vivere come se Dio non esistesse, di non impostare la propria vita in modo auto-centrato e auto-referenziale. Gesù afferma che, qualunque cosa l’uomo faccia, il valore della sua vita non sta nelle sue realizzazioni e nelle sue conquiste, ma in un valore ben più grande che è Dio a garantire e non noi.

La sua vita non dipende dai suoi beni
Si comprende bene come, alla luce di questo testo (Lc 12, 22-32), acquisti una nuova forza il brano evangelico di questa domenica. La cupidigia dalla quale veniamo messi in guardia non è solamente un problema morale, ma una questione principalmente teologica e antropologica. Vivere con cupidigia il proprio rapporto con i beni e con le ricchezze non è solamente immorale perché tali ricchezze non vengono usate per il bene degli altri. Il primo e più profondo problema, da quale il secondo dipende senza esserne annullato, è il fatto di sentirsi autosufficienti: Dio e il suo Regno non hanno spazio nella vita di chi si lascia accecare dalla cupidigia.
Il racconto che Gesù pronuncia davanti ai suoi ascoltatori afferma la stessa cosa facendo riferimento alla finitudine della vita dell’uomo, rimandando ad una immagine sapienziale che potrebbe rimandarci al Qoelet (I lettura). L’uomo deve prima o poi fare esperienza del limite. Nella vita lo può fare in tanti modi: malattia, povertà, fallimenti. Tutti, anche i più fortunati, avranno nella morte una esperienza radicale di limite, che li costringerà a lasciare i loro beni.
L’esperienza del limite, che la ricchezza può far illudere di poter superare, rivela un volto dell’uomo e della donna che non possono escludere Dio dalla loro vita. Non è l’affermazione di una necessità di Dio che non lascia spazio alla giusta libertà dell’uomo e della donna, ma l’affermazione di un loro valore che va ben al di là dei bei materiali, del vestito, del cibo… Non si tratta di una necessità che soffoca l’uomo. Dio non vuole che lo si ami e lo si cerchi per necessità. Per Dio ogni uomo e ogni donna vale più degli uccelli del cielo e dei gigli del campo. Essi, l’uomo e la donna, sono amati da Dio indipendentemente dalle loro ricchezze, dalla loro posizione sociale, dalle loro doti intellettuale e professionali. Potremmo dire che la pagina del vangelo non è in primo luogo la condanna delle ricchezze ma l’annuncio del valore dell’uomo e della donna agli occhi di Dio: un valore intrinseco che nessuno può togliere o relativizzare. Si comprende meglio ora l’annuncio di Gesù che «la vita dell’uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).
Solo in un secondo momento – e ora lo possiamo comprendere bene – la questione dei beni diventa di carattere morale. Infatti, una volta scoperto il valore della persona umana agli occhi di Dio, della nostra finitudine e dell’amore che Dio riserva per ogni uomo e donna, allora è possibile accorgersi dell’assurdità di un uso dei beni che non tenga conto di tutto questo.

Fare spazio a Dio
La soluzione al male della cupidigia per il credente non è la generosità, ma il fare spazio a Dio nella propria vita, al Regno di Dio che Gesù annuncia. Da qui nasce poi l’attenzione al fratello e alla sorella. Oppure nasce dal fare spazio a sé. Può sembrare quasi un paradosso, ma è prendendo sul serio la nostra grandezza che noi possiamo salvarci dal dominio delle cose e dall’indifferenza nei confronti dell’altro. Chi sa fare spazio a Dio nella propria vita, chi sa fare spazio a sé stesso, allora potrà giungere a fare spazio all’altro e alla condivisione dei suoi beni. Infatti, saprà che il valore della sua vita non è minacciato, ma anzi custodito dall’altro. L’altro e Dio sono i custodi della mia grandezza, soprattutto l’altro povero, perché è per me come l’uccello del cielo che Dio ama e nutre, è come il giglio del campo che il Padre ama e veste splendidamente. Il primo antidoto contro il dominio delle cose è proprio questo sguardo che sa cogliere una infinita bellezza nell’uomo e nella donna che stanno davanti a me, anche quando si tratta di una umanità ferita e umiliata, perché «la vita dell’uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). Così il malato, il povero, il perseguitato… diventano per me dei doni grandi perché mi annunciano sempre l’evangelo di un amore di Dio che mi è donato per grazia: sono essi gli evangelizzatori della mia vita.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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