La pace liturgica e la tradizione, quella sana. Illazioni sul prossimo Concistoro


Con una certa dose di coincidenza, mentre Luigi Casalini pubblicava sul blog di messainlatino un testo del giornalista Nico Spuntoni, ripreso da “Il Giornale”, che anticipava il fatto che il prossimo Concistoro avrà come tema anche la “situazione liturgica”, sull’Osservatore Romano di oggi il card. W. Kasper  tracciava un bilancio del Concilio Vaticano II, con attenzione al compito di papa Leone, interpretato come chiamato a tenere il “centro” tra progressisti e conservatori. Da entrambi i testi si potrebbe trarre una immagine, che piace molto all’amico Casalini, e anche a qualche Cardinale, di una attesa crescente perché finalmente si conceda da parte del Papa uno spazio riconosciuto alla liturgia preconciliare. Vorrei contribuire a chiarire le cose, che quando vengono raccontate da giornalisti troppo parziali, finiscono per assomigliare più ad un gioco politico che ad una questione squisitamente ecclesiale.

a) Il papa e il “centro”

Vorrei partire dall’articolo di W. Kasper, che può aiutarci a comprendere in che senso papa Leone viene oggi chiamato in causa. Kasper dice un cosa vera e importante: il papa deve tenere il centro. Per farlo, però, deve fare ciò che papa Francesco ha detto del vescovo, nel cammino ecclesiale: talvolta sta davanti, talvolta sta in fondo, spesso sta al centro. Quel “centro” di cui ha parlato Kasper, però, non deve essere interpretato come “compromesso”, ma come il “punto medio” che è virtù rispetto ai due eccessi: affermare solo il passato, chiamandolo tradizione, affermare solo il futuro, perdendo la tradizione. Il “centro” del papa (non solo di questo papa, ma di ogni papa) è precisamente custodire la tradizione viva e sana. Una cosa deve essere esclusa: pensare che “centro” sia non scegliere, e dire, allo stesso tempo, due cose contraddittorie. Questo vorrebbero coloro che chiedono al papa di permettere l’uso di riti che sono stati superati dalla riforma liturgica. Questo, come insegna la tradizione recente, non è possibile senza lacerare la Chiesa. Il papa vuole la pace, non la lacerazione.

b) La pace liturgica

Ma che cosa è la “pace liturgica”? Conosciamo un movimento, cui spesso l’amico Casalini di Messainlatino dà spazio sul suo blog, che si chiama proprio così: Paix liturgique, Pace liturgica. Però questa pace non è irenica, ma si caratterizza per il fatto di “fare la guerra” alla riforma liturgica. Se c’è una cosa chiara, è che la pace liturgica non può in alcun modo significare “fare la guerra alla riforma liturgica”. Per questo è sorprendente che ci si ostini a chiedere spazio per chi non vuole accettare la riforma liturgica: questo non si può fare in nessun caso. La pace liturgica può nascere lavorando tutti sull’unico rito comune, quello scaturito dalle riforma di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Non ci sono alternative, se non si vuole lacerare la Chiesa. Sul nuovo rito è legittimo avere idee diverse, non però contrapponendogli il rito che è stato esplicitamente riformato dal nuovo. Questo modo di pensare e di fare non serve la tradizione: è negazione della tradizione, è fare la guerra nella Chiesa.

c) Custodire la tradizione, ma quella sana

Infine, un breve riferimento al testo citato da Casalini. Una svista piuttosto grave, in quel testo, è proprio contenuta nel titolo: “Conservare tradizione ma aprire a progresso”. Questa frase, attribuita incautamente al papa, vorrebbe essere la citazione conciliare che nobiliterebbe in modo fuorviante la intenzione di promuovere, accanto ai nuovi riti, i riti vecchi. Una lettura giornalistica e poco informata, può trarre, da questa citazione sbagliata, lo spazio per attribuire a Leone una frase e una intenzione che dal papa non è mai stata sostenuta: ossia di tornare all’errore di pensare che la pace ecclesiale possa fiorire da un movimento parallelo, in cui “custodire la tradizione” significherebbe permettere i riti vecchi, mentre aprire al progresso sarebbero i riti della riforma. Questa lettura si basa su un testo del Concilio che manca di un aggettivo. Il Concilio dice di custodire la “sana” tradizione (SC 23). Tra tradizione e sana tradizione la differenza è una sola: la patologia di una condizione della tradizione che doveva essere curata e riformata. Il frutto del Concilio sono i nuovi riti. Custodire la sana tradizione e promuovere il legittimo progresso non sono due azioni, ma una sola. Che ha come risultato un solo rito comune a tutti. Raffigurarsi un papa Leone che legge male un testo conciliare e alimenta le speranze di chi vuol fare non la pace, ma la guerra, non è un bel modo di rispettare il suo ministero di sintesi, che egli esercita da quel “centro” che non è compromesso indeciso, non è parallelismo tra opposti, ma il massimo della virtù nella fedeltà al Concilio.

Share