La formazione di Don Serio de Guidi (1931-2014): gli anni dell’apprendistato conciliare


Una rilettura sapiente dell’epoca conciliare: formazione ed esperienza

Don Serio era del 1931. Il che significa che all’apertura del Concilio Vaticano II aveva 31 anni. Nel prezioso volumetto Esperienza e poesia (Verona, Il Segno, 1988) egli racconta che cosa fu per lui il Concilio e la esperienza di rinnovamento che portò alla sua vita. E’ utile ascoltare queste parole chiare e ispirate:

“La formazione clericale non aveva inciso in profondità sulla mia personalità. Non era riuscita a saldare esperienza e cultura contadina e umanistica con quella sacrale e clericale. Ed era impotente a farlo per varie ragioni. Certamente non per la cattiva volontà degli uomini, ma per la lentezza delle trasformazioni mentali e strutturali formative sacrali ed ecclesiali. Era una formazione incentrata sull’esercizio ascetico e moralistico e sulle pratiche di pietà, non sufficientemente animate da solide convinzioni filosofiche e teologiche. La filosofia e la teologia venivano insegnate e imparate in modo apologetico e formalistico senza toccare il vissuto dello studente. Per conseguenza la formazione pastorale aveva una impronta contro e fuori della cultura contemporanea. Era priva di contatti vivi con l’esperienza realmente vissuta e si limitava ad impratichire nella celebrazione cultuale. Il culto a Dio e la moralizzazione della vita erano di fatto l’essenza dell’attività ministeriale. Avvertivo, senza comprenderlo, come la mia personalità clericale fosse impreparata alle prime fredde raffiche della secolarizzazione e della morte di Dio e come fosse già in ritardo sul complesso aggiornamento promosso dal Concilio Vaticano II. Questo contesto, secondo me, spiega il sofferto abbandono di questa fisionomia di sacerdote da parte di non pochi dei miei amici di ordinazione. Mi sentivo in ritardo e già in anticipo, senza saper su cosa” (45)
[…]
“Il pensiero critico degli studi universitari, nella Roma dell’immediato post-concilio, tra il 1967 e il 1970, ha riplasmato la mia precedente formazione in cultura generale socio-psicologica e filosofico-teologica fondamentale, toccando tutti gli aspetti dei piani della mia personalità.
Il clima e i paesaggi romani, la ricchezza d’opere d’arte, le molte occasioni culturali, l’incontro con personalità d’altre culture, l’approccio a lingue straniere, il viaggiare e il soggiornare all’estero, il dialogo continuo con pochi amici sulle piccole vicende d’ogni giorno e sui grandi mutamenti sociali, culturali, teologici ecclesiali del ’68 mi hanno fatto uscire dal provincialismo ed acquisire la percezione d’essere capace di adattarmi a qualunque luogo culturale. Questo sperimentarmi ‘in patria’ ovunque ha riordinato, illuminato e unificato tutta la mia sensibilità” (46-47)
[…]
“Questa rinnovata sensibilità ricettiva mi ha condotto, attraverso il confronto vivo e verificato con il pensiero filosofico e teologico contemporaneo, a mutare l’orizzonte della mia stessa esistenza. Tale confronto mi ha portato a distinguere tra contenuto e forma della precedente tradizione: “Altra è la sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei, ed altra è la formulazione del suo rivestimento” culturale (Giovanni XXIII). Ho così potuto lasciar cadere senza lacerazioni e perdite il caduco e dare inizio alla risignificazione del resto all’interno delle nuove prospettive del Concilio Vaticano II. Qui è iniziata la mia autoformazione personale umana, cristiana e presbiterale a livello socio-psicologico, filosofico, teologico e operativo. La teologia conciliare, muovendo dal discernimento dei segni dei tempi e dal primato dell’ascolto della parola di Dio, mi ha rimesso in dialogo, proprio come uomo cristiano e presbitero, con la cultura contemporanea” (47-48)

Salutiamo queste parole franche e limpide con una poesia dello stesso Don Serio, tratta ancora dalla stessa raccolta di prose di argomentazione e di poesie di evocazione  (26):

Sapore

Almeno tre volte al giorno
mangiamo della terra.
Infinite volte al giorno
respiriamo del cielo.

Con la stessa bocca gustiamo
il pane della terra.
E, pur nel segno, assaggiamo
già il pane del cielo.

L’esistenza ha il sapore
di terra e di cielo

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