Il Sogno di un Anno Santo diverso
Esce oggi, sul n. 13/2015 di “Settimana” (p.3) una riflessione sul senso dell’Anno Santo della Misericordia, in rapporto al Concilio Vaticano II e al percorso intersinodale che la Chiesa cattolica sta attraversando, alla ricerca di una “maggiore misericordia”.
Inizia 50 anni dopo la fine del Vaticano II
Il sogno di un Anno Santo diverso.
Sembra proprio che papa Francesco abbia voluto “tenere alta la tensione ecclesiale” verso quegli obiettivi che, fin dall’inizio – o, addirittura, fin da “prima dell’inizio” del suo pontificato – ha considerato come assolutamente prioritari. Leggiamo infatti, alla fine della paginetta che egli stese il 9 marzo 2013, 4 giorni prima della elezione, questa impressionante “auto-definizione”:
“Pensando al prossimo Papa: un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive “della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare”.
Nella logica di una Chiesa che “esce da sé”, che supera la “autoreferenzialità” e che sfugge alla “mondanità spirituale” si inquadra il segno/gesto che caratterizza continuamente il biennio appena trascorso di papato: la imprevedibilità di una ricerca di una “maggiore misericordia”.
Dopo la convocazione di un “duplice Sinodo” sul tema di una rilettura “misericordiosa” della esperienza familiare, ora, sfruttando la coincidenza tra fine del percorso Sinodale e anniversario della fine del Concilio Vaticano II, un nuovo inizio.
Anziché “vedere”, “rilancia”
Sembra proprio che Francesco, anziché “vedere”, “rilanci”. Quasi ad indicare che la Chiesa, nel momento in cui compie il proprio servizio di evangelizzazione, rispetta fino in fondo il “misterium lunae”, ossia il fatto di vivere non di luce propria, ma di luce riflessa, e rilancia una “maggiore misericordia” come sua esperienza fontale.
Ecco allora che, dopo i tre anni di percorso sinodale, un altro anno, giubilare, a sancire la “irreversibilità” di una svolta che i 50 anni dal Concilio Vaticano II e i due anni di lavori Sinodali potranno pienamente “gustare” solo in un intero “anno di festa”.
Una ecclesiologia di comunione e una teologia del tempo qui si incontrano in profondità. A ben vedere, tutto questo stava già scritto nelle “parole-chiave” che strutturano Evangelii gaudium, il cui titolo è letteralmente citazione di Paolo VI, gioia del vangelo: esse sono prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare.
Vi è quasi una circolarità in questi 5 verbi. Dove l’ultimo è anche primo, il culmen diventa e si riconosce fons della iniziativa e del coinvolgimento.
Così non può sorprendere che, in una Chiesa che si riconosce “in missione”, chiamata radicalmente a conversione, disposta strutturalmente alla “uscita da sé”, si ricorra ad uno strumento così “classico” e così “tradizionale” come il Giubileo.
A ben vedere, si tratta, fondamentalmente, di un “rilancio della misericordia” come esperienza teologale che fonda ogni realtà ecclesiale. Essa fa uscire da sé non solo la Chiesa, ma ogni cristiano. Nel rendere tutti “pellegrini”, tutti “migranti”, tutti bisognosi di indulgenza, tutti invitati alla festa del perdono, acquisisce a livello universale la “conversione” come regola maestra della identità.
“Grazia originale” prima che “peccato originale”
Per questi motivi si viene a creare, in modo sorprendente, una “congiunzione” tra la inaugurazione che 50 anni fa la Chiesa portava a compimento, chiudendo il Vaticano II, come “primavera della Chiesa” e il papato di Francesco, che si è aperto durante i 4 anni di anniversari conciliari, e che rilancia ad ogni istante una approccio “misericordioso” alla storia e alla realtà. Vi è, prima e oltre ogni “peccato originale”, una “grazia”, una “misericordia più originale”, che ha il primato e la prima parola.
Come non notare, con forte contrasto, la differenza di testo e di contenuto tra la memoria del Concilio, che papa Francesco rinnova continuamente, nel Sinodo da tenere e nell’Anno Santo da celebrare, e la memoria che del Concilio fece Benedetto XVI, la sera del 12 ottobre del 2012, dalla finestra illuminata del Palazzo Apostolico, come 50 anni prima, ma di fronte ad una Piazza ammutolita dal suo raccontare quasi soltanto sul “peccato originale”, mentre Francesco annuncia, fin dall’inizio del suo ministero di Vescovo di Roma, una “grazia originale”, una “misericordia più originale”.
In questo “clima” di convinta ripresa conciliare, l’Anno Santo diventa la “forma” di una Chiesa che si reinterpreta alla luce di questa origine ricevuta in dono, da comunicare con stupore e con meraviglia a tutti.
Una Bolla diversa?
Alla luce di questa svolta conciliare, 50 anni dopo, potremmo aspettarci una “Bolla” di indizione dell’Anno Santo piena di novità: per ora sappiamo che sarà resa pubblica la Domenica in Albis, che una devozione polacca preferisce denominare “della Divina Misericordia”.
Avremo, nella Bolla, la linea fondamentale di interpretazione dell’Anno Santo nell’orizzonte della misericordia di Dio, che ci fa “pellegrini”, che ci fa “soglia”, che ci fa “cambiare vita”. E pellegrinaggio, Porta Santa, e indulgenza sono i grandi segni della tradizione giubilare. Ma già per il Grande giubileo del 2000, papa Giovanni Paolo II aveva introdotto “altri segni”: la purificazione della memoria, la carità e la memoria dei martiri. Avremo forse da aspettarci un ulteriore ampliamento dei segni, una loro rilettura che li approfondisca, in un linguaggio che sappia sfrondarsi di quegli elementi che la storia della fede ha già potuto riconoscere come caduchi e come contingenti.
Anche il linguaggio dovrà cambiare
Forse proprio questo rinnovamento della misericordia ha bisogno di una Chiesa che sia disponibile a rinnovare, anzitutto, il proprio linguaggio. Non dimentichiamo, infatti, che il “linguaggio” delle indulgenze è stato formulato, nel medioevo, con una lingua che, in un orizzonte ben definito, non si vergognava di parlare di “lucrare” o di “acquistare” le indulgenze. Sarebbe un segno di maturità e di coerenza se anche le inevitabili “normative” – stese a dovere dai necessari funzionari di curia – sapranno fare un salto di qualità, uscire dalla autoreferenzialità e accedere ad un livello di espressione linguistica e di esperienza ecclesiale che eviti la riduzione del Giubileo ad “atto amministrativo”, con un inevitabile ritorno di fiamma della più classica “logica autoreferenziale”. Anche questa risulterebbe, inevitabilmente, una “dogana pastorale” quasi intollerabile, tanto più se coniugata con il magistero illuminato e “in uscita” di papa Francesco.
Stile, differenza, trasparenza
L’idea di un Anno Santo della Misericordia dovrà trovare il suo stile, la sua differenza e la sua trasparenza:
a) Stile di misericordia vissuta: una Chiesa approssimata
Il “pellegrinaggio” non sarà anzitutto “verso Roma”, ma “da Roma”, se le Chiese sapranno, in occasione dell’Anno Santo, invertire la rotta. Nelle immagini del “campo profughi” o dell’”ospedale da campo”, proposte da Francesco come icone ecclesiali, prevale il malato sul peccatore. Così dovrà prevalere ciò che la Chiesa fa con il malato, rispetto a ciò che la Chiesa si attende dal peccatore. Sarà la Chiesa ad approssimarsi per prima.
b) Differenza dalla matematica delle pene: una Chiesa deburocratizzata
Il recupero della “indulgenza” come festa della risposta della libertà al perdono di Dio – senza alcuna confusione con il dono del perdono nel sacramento della penitenza – richiede una traduzione illuminata e sensibile della tradizione, con tutta la radicalità dovuta e con tutto il pudore necessario. Se alle parole limpide di questi ultimi due anni dovesse accompagnarsi “gestioni di grazie ex officio”, ciò finirebbe per creare una disarmonia quasi insopportabile.
c) Trasparenza di contatto con le vite reali: una Chiesa appassionata
Varcare la soglia, attraversare la porta, cambierà inevitabilmente di segno: non sarà soltanto un gesto di “entrata”, ma diventerà un gesto di “uscita”. Perché nel momento stesso in cui attesta il dono della misericordia, la Chiesa non annuncia se stessa, ma il dono ricevuto: per farlo deve spogliarsi del potere, farsi trasparente, accogliere tutti, e prima ancora tutti cercare, appassionatamente. Nell’Anno Santo della Misericordia la Porta Santa sarà una entrata per tutti e una provvidenziale uscita per ogni rigidità e ogni autoreferenzialità ecclesiale.