Il Card. Mueller e la teologia alla scuola del Signore (di Zeno Carra)


Da ieri sul noto blog MIL si può leggere la prima parte di una intervista fatta da Diane Montagna al card. L. Müller1.

Tra i vari temi, il porporato si pronuncia sul recente pellegrinaggio giubilare di cristiani omosessuali.

Riferendosi specificamente a coloro che hanno partecipato a tale pellegrinaggio egli dice:

«Hanno abusato della fede cattolica e della grazia e del simbolo della Porta Santa – che è Gesù Cristo – per motivi di propaganda, vivendo in aperta contraddizione con la volontà del Creatore. Hanno denigrato la Chiesa di Dio con gesti osceni e con il loro stile di vita. Come disse San Paolo: “Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna” (Rm 1,24-25)».

Nella domanda successiva, Müller si pronuncia anche sui ministri ordinati e sui religiosi e religiose che hanno accompagnato tale pellegrinaggio:

Partecipano alle processioni eucaristiche nella festa del Corpus Domini? Questo non li interessa, ma strumentalizzano e abusano dei simboli religiosi per fare propaganda a favore di un’ideologia anticristiana”.

Si potrebbe entrare nella questione materiale sollevata dalle parole del Cardinale e chiedersi se egli, da noto teologo, non potrebbe tener conto un po’ di più, nei suoi giudizi così netti, che in teologia morale da qualche anno a questa parte si è aperto un certo dibattito su questo tema. E non solo da parte di accademici, ma anche di conferenze episcopali, come quella Tedesca nel sinodo in cui è impegnata. Si potrebbe auspicare che egli, pur restando nelle sue posizioni, riconoscesse che il tema è complesso; che non sono una manica di stupidi o di rinnegati quelli che la pensano diversamente da lui, e che non si può risolvere la cosa con un paio di citazioni bibliche avulse da ogni contesto.

Ciò su cui vorrei però fissare l’attenzione è la prospettiva formale delle parole del card. Müller. Nella quale, io credo, stia il vulnus principale della sua posizione. Colpisce cioè il fatto che il cardinale non stia parlando dell’omosessualità come tema morale, ma che si riferisca con questi toni denigratori a delle persone reali in carne ed ossa, storicamente identificabili.

Il papa Francesco, nel suo magistero, ci ha chiesto di saper accogliere l’oggettività complessa e reale delle vite delle persone, la singolarità ineludibile delle storie di ciascuno, e di usare le norme e le categorie morali come uno dei criteri interni a tale accoglienza. La posizione di Müller è invece quella di coloro che fanno delle categorie morali un assoluto a-priorico che sta al di sopra della complessità reale e che si impone come fattore di semplificazione della stessa, secondo la logica di approvato / disapprovato. La vita non ha voce in capitolo: è solo l’oggetto su cui la norma deve fare un discernimento binario. Quindi non è neanche necessario mettersi in ascolto delle vite. Basta catalogarle dentro i due grandi riquadri dati dalle norme: sì / no; giusto / sbagliato.

Dato che il pellegrinaggio dei cristiani omosessuali era apertamente fatto di persone che non vogliono riconoscere come deviata la loro inclinazione affettiva, allora è sufficiente questo per definire tutte quelle persone con i termini dispregiativi usati da Sua Eminenza.

È noto il disagio del card. Müller per il magistero in materia morale del defunto papa. Su questo punto, però, il papa Francesco – distanziandosi da consuetudine plurisecolare ecclesiastica (consuetudine, non tradizione!) – è evidentemente recettivo non tanto delle mode del mondo (come i suoi detrattori sostengono), ma dello stile di Cristo. Di colui che mette la persona, il suo volto e la sua storia davanti a sé e che non filtra la realtà di una vita aprioristicamente sulla base di una definizione normativa.

Di colui che preferiva stare a tavola con i pubblicani e le prostitute piuttosto che stare fuori con in farisei e definire i commensali “peccatori” sulla base della norma religiosa vigente.

Si dovrebbe quindi chiedere al cardinale Müller se il suo inappellabile giudizio viene dall’aver condiviso con quelle persone il cammino che li ha portati a Roma e alla porta santa, come lo hanno condiviso i ministri ordinati e i religiosi che egli accusa di strumentalizzare la religione.

Viene da chiedere al cardinale Müller se egli abbia rivolto la parola ad uno solo dei partecipanti di quel pellegrinaggio. Se si sia fatto loro interlocutore, riconoscendo quindi in loro dei soggetti capaci di dire una parola su se stessi.

Se lo ha fatto, al di sotto del suo giudizio c’è almeno il contatto con i loro volti umani. E le sue parole di condanna si assumono la responsabilità davanti a degli interlocutori reali.

Se però non lo ha fatto, allora le sue parole si denunziano come fortemente distoniche dallo stile di Colui di cui egli è ministro. E si allinea, e vuole allineare con sé molti altri, allo stile di coloro che, stando fuori, stigmatizzavano con un’etichetta tratta dalla normativa religiosa i commensali di Gesù, mentre questi si faceva loro prossimo e sedeva a tavola con loro.

Io sono convinto che sua Eminenza sia mosso da sincero zelo per la causa della fede e che ritiene che dure parole di condanna possano svegliare coloro che egli ritiene peccatori incalliti dalla loro condizione.

Sono altresì convinto che se come ministri della chiesa non ci sbrighiamo a far nostra l’impostazione metodologica del Signore, il suo modo di avere a che fare con la realtà, non dobbiamo stupirci poi più di tanto se la realtà delle cose preferisce stare alla larga da noi e dai nostri ambienti.

E con ciò non avremo reso un buon servizio a Colui che a custodia di questi ambienti ci ha costituiti.

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