Francesco e Virginia in parallelo: la fiction, il papa e le donne
Le persone possono essere pienamente capite e rispettate solo nel loro complesso, in quella pienezza integrale, che nessuno può vedere né dominare. Solo lo sguardo di Dio è capace di scendere fino in fondo. Così può accadere di restare sorpresi che lo stesso papa, mentre consiglia in estate una audace formazione letteraria per i ministri della chiesa, in autunno possa ripetere sulle donne affermazioni piuttosto stereotipate, con grandi luoghi comuni. Come fare giustizia di questa percezione contraddittoria? Vorrei provare a rileggere un aspetto del documento di questa estate, per aprire le finestre e far entrare aria fresca anche nei discorsi che hanno a tema le donne. Lo farò incrociando il testo di papa Francesco con un altro testo, che, circa 100 anni prima del suo, cercava di studiare il rapporto tra la letteratura e le donne: mi riferisco a Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf. Entrambi i testi sono alla ricerca del valore “formativo” della letteratura, e applicano entrambi questo riferimento a mondi che patiscono una certa “deminutio” letteraria. Da un lato i “seminari”, dall’altro la tradizione della cultura femminile sono mondi rimasti spesso, per ragioni assai diverse, del tutto estranei ai romanzi e alla poesia. Già questo punto di contatto sembra interessante. Una formazione ecclesiale “sospettosa” verso la funzione educativa della “finzione poetica”, e un giudizio sulla donna come “incapace” di (o “impedita” nel) dedicarsi alla poesia collimano in un punto: nel guardare con sospetto al seminarista che legge o scrive poesie o alla donna che si dedica allo studio e alla scrittura. Quasi come se fosse cosa per loro disonorevole. La tradizione ecclesiale, però, non è stata così uniforme e drastica, come invece è stata la tradizione escludente subìta dalle donne. C’è stata una Chiesa, come quella in cui scriveva Boccaccio, che poteva concepire un “diacono” come scrittore di novelle. Molti altri preti e vescovi, prima e dopo di lui, sono stati poeti e narratori. Potremmo anzi quasi scoprire che la Chiesa è diventata profondamente sospettosa verso la letteratura solo quando alle donne si è aperta la strada letteraria. Direi che si potrebbe quasi verificare come il sospetto verso la finzione (verso una “theologia poetica”) sia nato proprio con il sorgere della società della dignità e col tramonto della società dell’onore. Di una società in cui non è più disonorevole per una donna dedicarsi alla scrittura e alla poesia. Per secoli, scrivere, studiare e poetare erano “cose da uomini” e ci si scandalizzava se una donna voleva fare queste “cose da uomini”.
La immaginazione al potere
Nella sua Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione papa Francesco mette in luce il valore di una “visione più ampia”, che matura proprio con la lettura dei grandi romanzi. Quei testi ci mettono dentro una esperienza più ricca e più intensa del reale. Sono quasi una condizione perché il nostro discernimento possa essere più profondo e più acuto. La immaginazione di cui la finzione letteraria è esperienza sterminata mette alla prova i nostri criteri ordinari di giudizio. Questo vale, se letto in parallelo, anche per il procedimento con cui V. Woolf ci fa entrare gradualmente nella relazione tra “Women and fiction”, tra donne e romanzo. Se leggiamo in parallelo i due testi, quello di Francesco e quello di Virginia, scopriamo alcune cose interessanti:
– quando il papa fa esempi di letteratura, antica, moderna o contemporanea, cita sempre soltanto autori maschi. Questo non è un limite del papa, ma della tradizione letteraria, che ha integrato le donne solo dalla fine del 700 in poi. I grandi classici fino al’800 sono tutti maschili: anche Anna Karenina è opera di un uomo.
– la rassegna di letture della donna, che Virginia presenta come risultati dotti della accademia di Oxbridge, sono molto simili alle parole con cui Francesco ha di recente “definito” un femminile ontologico e stabile. Se si legge il saggio della Woolf, si inizia a diffidare di queste ricostruzioni, che sono prima culturali che ecclesiali;
– la storia della “sorella di Shakespeare”, con il suo dramma esistenziale e culturale,che segna il testo della Woolf, è una finzione molto istruttiva, perché smaschera la potenza di un pregiudizio che continua a parlare, 500 anni dopo, nelle parole di non pochi contemporanei e che risuona, indirettamente, anche nelle parole di Francesco;
– il tono romanzato del saggio di Virginia ha però il merito di farci scoprire tratti di stile molto simili ai momenti romanzati che qualche volta appaiono nei documenti di Francesco (come ad es. in Evangelii Gaudium, in Amoris Laetitia o in Querida Amazonia). Per Francesco, aver insegnato letteratura e aver avuto come collaboratore di eccellenza J. M. Borges non è rimasto senza effetti, sulla parola e sul pensiero.
Vi è dunque un valore “spiazzante” della letteratura, che aiuta il cristiano a vedere meglio la realtà. Per questo non sarebbe inutile un piccolo esercizio di “fiction”, applicato a due espressioni della tradizione cattolica recente, da cui emerge talvolta la volontà – allo stesso tempo comica e tragica – di fermare la storia.
Il magistero anche come fiction
Come retroterra delle parola pronunciata da Francesco a Lovanio, quasi nella forma di una sua parziale giustificazione, sta una “letteratura” che negli ultimi 50 anni è fiorita dalle parti di Roma. La letteratura non è solo romanzo o poesia, ma è anche Enciclica, Istruzione, Nota…Due fiori di questa produzione letteraria minore, ma non irrilevante, si trovano in un testo del 1988 e poi in uno del 2010. Se li leggiamo come testi di letteratura, ne scopriremo, di colpo, anche il lato comico e tragico.
– La riserva maschile scovata nell’ultima cena
Quando un pensiero non è più capace di immaginazione, tende a rileggere tutto il passato in modo rigido, proiettando indietro le proprio preoccupazioni e perdendo talora anche il senso del limite e del buon gusto. Un esempio singolarissimo di “fiction” appare con evidenza in un testo di Mulieris dignitatem 26. Lo riporto integralmente:
Se Cristo, istituendo l’Eucaristia, l’ha collegata in modo così esplicito al servizio sacerdotale degli apostoli, è lecito pensare che in tal modo egli voleva esprimere la relazione tra uomo e donna, tra ciò che è «femminile» e ciò che è «maschile», voluta da Dio sia nel mistero della creazione che in quello della redenzione. Prima di tutto nell’Eucaristia si esprime in modo sacramentale l’atto redentore di Cristo Sposo nei riguardi della Chiesa Sposa. Ciò diventa trasparente ed univoco, quando il servizio sacramentale dell’Eucaristia, in cui il sacerdote agisce «in persona Christi», viene compiuto dall’uomo. E’ una spiegazione che conferma l’insegnamento della Dichiarazione Inter insigniores, pubblicata per incarico di Paolo VI per rispondere all’interrogativo circa la questione dell’ammissione delle donne al sacerdozio ministeriale.
Questo esempio di “finzione” può suscitare preoccupazione o il sorriso. Con un esercizio di fantasia ostinato, a modo suo intemperante, si cerca di passare dalla istituzione della eucaristia, alla riserva maschile come dimostrazione autorevole della differenza strutturale tra maschile e femminile nella creazione e nella redenzione, dimenticando del tutto la delicatezza dei passaggi tra regime simbolico e regime sessuale della espressione. Questo procedimento letterario incontrollato, se riconosciuto letterariamente, permette di riconoscere come un pregiudizio – ossia un assetto immutabile di maschile e femminile – possa essere talmente forte, da piegare tutta la tradizione eucaristica, apostolica, simbolica e razionale ad una frase che pretende di “dimostrare” semplicemente l’assunto di un documento precedente, altrettanto debole. Uno sguardo letterario permette di difendersi da questo testo troppo pretenzioso e troppo contraddittorio. Se proviamo a leggerlo come se fosse un passaggio del Circolo Pickwick di Ch. Dickens, possiamo capirlo fino in fondo. Una esagerazione paradossale, un sproporzionata pretesa senza fondamento, proprio quella che tanto piaceva allo stile di Dickens, ci aiuta a prendere le distanze da un testo che sarebbe oltremodo infelice, se fosse preso troppo sul serio.
– La tentata ordinazione di donna equiparata all’attentato alla persona del papa
Un’altra finzione ragguardevole sul tema possiamo trovare nel campo della legge canonica. E’ chiaro che se nel 2010, mai prima di allora, ci si inventa un nuovo “reato più grave”, che viene avvicinato all’attentato alla persona del papa o al sacrilegio verso l’eucaristia, e così si definisce la fattispecie della “attentata ordinazione di una donna”, uno sguardo meramente istituzionale registra la novità, impassibilmente. Uno sguardo poetico resto colpito dalle assonanze con I Fratelli Karamazov o con la Fattoria degli animali: il diritto penale come soluzione di un dibattito culturale sembra una forzatura esagerata e quasi sfrontata. A tal punto da poter anche suggerire un parallelo cinematografico con Il dittatore dello stato libero di Bananas di W. Allen. Un “ordinamento” penale così severo, per custodire con autorità la riserva maschile, in assenza di una argomentazione teologica solida, fa grande impressione e può far anche sorridere, solo a patto di restare lucidi. Può essere semplicemente “registrato” solo se la sensibilità appare compromessa o addirittura resa ottusa dalla urgenza di una affermazione apodittica, dettata dalla paura.
Le risorse che la letteratura dona al lettore permettono di ridimensionare i fenomeni apparentemente immutabili e di disporsi a superarli secondo scienza e coscienza. Con una rilettura comica e tragica delle cose, come la letteratura instancabilmente ci permette, lo sguardo si acuisce e il discernimento si affina. Non si potrà più credere che la questione femminile possa essere liquidata con un arbitrario accumulo di figure simboliche, al servizio di una ontologia statica, o come un “attentato all’ordine pubblico” o alla volontà delle donne di “fare cose da uomini”. In questi pregiudizi riconosciamo, grazie alla letteratura, molto di comico e non poco di tragico. Solo così la donna nello spazio pubblico, riconosciuta non come infrazione dell’ordine, ma come “segno dei tempi”, viene pienamente integrata in una dottrina davvero esperta di umanità reale, non bloccata su astrazioni insieme spaventate e di comodo. Leggere Francesco e Virginia in parallelo ci fa bene per camminare in questa direzione.






























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