Elogio dell’inesemplare (/1): la guerra e la pietas (di Marcello La Matina)
Quando gli eventi diventano troppo grandi, è proprio allora che occorre predisporre con urgenza un pensiero coraggioso e forte. Pensare il fondo oscuro della guerra è un esercizio faticoso e necessario. Marcello La Matina contribuisce con un suo testo molto articolato, che verrà pubblicato in 4 puntate. Lo ringrazio per questo suo “de bello”. (ag)
Elogio dell’inesemplare. Piccola riflessione su violenza e persona (/1)
di Marcello La Matina1
0. Preludio
La guerra, che molti buoni propositi e alcune azioni concrete avevano tentato di scongiurare, è tornata alle porte dell’Europa. Si è anzi allocata sulla soglia stessa che congiunge l’Europa all’Asia, in quel crogiuolo di storie che più correttamente dovremmo chiamare Eurasia. La cerniera che univa due imperi e due mondi – un tempo paralleli e altro tempo contigui – si è ora rotta, il cursore si è sfilato. Ed emerge senza veli la violenza, reale e simbolica, come una domanda mai doma. Violenza che non è solo l’accidente di una regione, la crisi di un’epoca, ma un accadimento planetario sul quale indugiano ragioni politiche, religiose, mercantili e anche metafisiche. Questa violenza provoca a riflettere. Qual è, per esempio, il punto di insorgenza (Entstehungspunkt), per usare un’espressione cara a Nietzsche, di questa violenza? È quel che vogliamo chiederci in queste pagine, sollecitati anche da una curiosità che nasce dall’investigazione filosofica del legame tra linguaggio e violenza, tra furia tassonomica dei predicati e incertezza dei sostrati. Perché sempre vi è violenza nel linguaggio e nella ragione; e sempre la Ragione, nel venire a capo di sé, deve metter qualcosa da canto, come un resto che non entri nel computo; qualcosa che si urta alla sua esemplarità e che, non foss’altro che per questo, merita una attenzione speciale.
A – La guerra e la pietas
-
Una spirale inarrestabile?
Il terzo millennio è iniziato con l’abbattimento delle Torri gemelle; con un evento, perciò, in sé architettonico, tanto precisa ne fu la scansione e ben studiato il progetto. Architettare il crollo non richiede meno scienza che il costruire. Il colpo, quel volo di aerei che parve un volo rapace di falconi, fu architettato come una fortezza volante, perché già nel suo disegno architettonico apparisse visibile un sapiente impetuoso messaggio di violenza:2 un ossimoro, a dirla tutta. Da allora, il reale e il simbolico sono sempre più finemente caratterizzati nella violenza contemporanea, anche in quella di cui normalmente non verremmo a conoscenza. In tal senso, l’escalation di violenza cui assistiamo anche in questi anni recenti potrebbe non significare una maggiore quantità o una maggiore portata degli atti violenti, ma una maggiore pervasività della violenza, una capacità di replicazione e di manifestazione che possiamo presumere siano propri di una ‘società delle immagini’, nel senso che Guy Debord dava a questa espressione. Secondo quest’ultimo, già l’origine dello spettacolo è connessa alla «perdita di unità del mondo»; talché, se è vero che lo spettacolo della violenza riesca ad unire il mondo, è ancor più vero che «lo spettacolo riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato».3 Inoltre, questa violenza illustrata è un fenomeno che appare oggi sempre più alienante; e ciò è anche dovuto al fatto che le relazioni sociali globali sono mediate da una quantità e da una qualità (nel senso di definizione o trama ‘pixelare’) prima mai vista di immagini: più lo spettatore della violenza contempla, dice Debord, e meno vivrà e comprenderà la propria esistenza e il proprio desiderio.
1.1
Una così lucida spirale di violenza va certo connessa alla velocizzazione dei processi di conoscenza4 che la globalizzazione dell’informazione cerca di imporre dappertutto. Si trovano in giro molte spiegazioni di questo processo; di solito, però, esse investono gli aspetti pragmatici dei linguaggi, della comunicazione. Senza invalidare questi tentativi, noi percorreremo una diversa strada, cercando di mostrare come la violenza ‘illustrata’ sia legata a un paradigma insieme gnoseologico e ontologico. Giusto per cominciare, muoviamo da alcune semplici considerazioni. Conoscere – ci viene insegnato – significa padroneggiare, possedere la cosa conosciuta.5 È così che i media globali diventano ogni giorno di più strumenti di potenza. Da un lato, essi accrescono i possibili oggetti di conoscenza; dall’altro, implementano la loro architettura vorace proprio offrendosi quali “sistemi di vita”, cioè quali habitat in cui, tuttavia, l’essere si risolve nell’operare.6 Come conseguenza di ciò, conoscere le cose e le persone (cioè conoscere la vita di certi individui di una qualche specie, naturale o no) non significa più passare del tempo con esse, ma equivale a classificarle qui e ora, proprio per non doverle incontrare poi. Talché, il reale di cui parliamo è spesso solo il prodotto di ripetute inferenze induttive, un castello di proiezioni e previsioni, che si regge su un ‘apriori storico’: la attuale scommessa – tipica di ogni proiezione induttiva – sull’uniformità del reale stesso.7
La furia tassonomica di cui è qui questione è gravida di conseguenze per l’ontologia dell’Occidente: tanto per quella, semplice e insieme multifaria, dell’uomo comune, quanto per le sofisticate ontologie (globali o regionali) che i filosofi amano disegnare come fondamento dei loro sistemi. Ebbene, diciamo subito che l’attuale spinta classificatoria in cui è presa l’attività della conoscenza ha come effetto principale e spesso non avvertito la riduzione del singolare alla specie. Nella vita di tutti i giorni, incontrare il tale o la talcosa è divenuta una fortunata infrazione alla regola; di solito, andando di fretta, si incontra il Tipo astratto. Ci si imbatte sempre più spesso in un uomo, una donna, un albero; quasi mai in quel dato individuo, quella tale donna, quel tale albero. E pensare che ci sono ancora oggi popoli che trattano gli alberi come persone,8 che danno nomi alle singolarità non umane: essi mostrano così di avere una nozione di persona molto più ampia di quella del filosofo tradizionale.
1.2
Quale sia il punto di insorgenza – lo Entstehungspunkt nicciano – della violenza simbolica e tassonomica lo dicono bene le numerose aggressioni fisiche o sessuali che in questi anni sempre più spesso culminano nell’uccisione dell’altro. Vittime e altari di questa violenza sono le donne, i più deboli, coloro che non resultino facilmente inquadrabili in una griglia di categorie sociali. In molti casi la violenza viene scaricata sugli anziani, sugli stranieri: su individui che siano visti come «portatori di una diversità non riducibile al possesso di tratti comuni». Il mondo moderno va per le spicce, e identifica i possibili diversi, usando solo i colori primari; mentre il mondo antico – per quanto esprimesse anch’esso una violenza di origine logicista – sapeva coltivare una coraggiosa pietas: per esempio, assegnando agli anziani il ruolo di senatori, trattando gli stranieri come ospiti o circondando di una siepe di riserbo le donne e i portatori di una diversità incolmabile – come erano i sacerdoti, le sacerdotesse, o i portatori di certi morbi, per esempio.9
(continua 1/4)
1 Chi volesse, può scrivere all’autore a questo indirizzo: marcello.lamatina@unimc.it. Dipartimento di Studi umanistici, Università di Macerata, via Illuminati 4. 62100 – Macerata (Italia). Questo articolo, inedito, sviluppa e argomenta alcune tesi esposte nell’intervista concessa alla dottoressa Benedetta Lombo e apparsa nel quotidiano digitale “Centro Pagina-edizione di Macerata” il 23 settembre 2020.
2 Cfr. Sul rapporto tra internet, informazione e violenza, specialmente nel mondo islamico e con riferimento al ruolo delle immagini, si veda il saggio di Roberto Calasso, L’innominabile attuale, Adelphi, Milano 2020.
3 Cfr. Guy Debord, La société du spectacle, Buchet/Chastel, Paris 1967. Cito dalla ed. ital., p. 62
4 Cfr. Luciano Floridi, Infosfera. Filosofia e Etica dell’informazione, Giappichelli, Torino, 2009.
5 L’idea che nel mito della Ragione verrebbe in chiaro la volontà di potenza dell’Occidente è presente nel dibattito attuale in molti autori e in differenti ambiti. Un testo rigoroso e originale, dedicato alla Grecia antica ma utile al confronto dei nostri tempi è Andrea Cozzo, Tra comunità e violenza. Conoscenza, logos e razionalità nella Grecia antica, Carocci, Roma 2001. Una critica del modello conoscitivo espresso in termini di Soggetto/Oggetto è tematizzato nell’articolo di chi scrive On Subjects, Objects and Icons. A Semiotic Inquiry for a New Paradigm in Human Studies (di prossima pubblicazione; attualmente sotto peer review).
6 L’ecologia dei media può essere considerata il campo nato dalle indagini del sociologo Marshall McLuhan. È oggi un ambito piuttosto trafficato. Una introduzione è in: Lance Strate, Media Ecology: An Approach to Understanding the Human Condition, Peter Lang, Berlin – Wien 2017.
7 Una critica al conformismo dell’induzione è in Giorgio Agamben Che cos’è reale? La scomparsa di Majorana, Neri Pozza, Vicenza 2016.
8 Cfr la lectio di Emanuele Coccia, L’io nella foresta, Festival della Filosofia, Modena – Carpi – Sassuolo 2019 (https://www.festivalfilosofia.it/index.php?mod=c_video&id=850); consultato il 28 febbraio 2022.
9 Sulla diversità presso gli Antichi greci cfr. l’ormai classico volume di François Hartog, Le Miroir d’Hérodote. Essai sur la représentation de l’autre, Collection Bibliothèque des Histoires, Gallimard, Paris 1980.






























Area personale











Quando la ricerca del vero non nasce dalla libera formazione e informazione ma è rinchiusa nei codici degli apparati la società va verso lo spegnimento. Quali dinamiche possono emergere?
https://gpcentofanti.altervista.org/ucraina-emergenze-alternative/