Dopo aver celebrato la III forma della Penitenza. Brevi appunti al servizio di un percorso (di M. Gallo)


Con questa riflessione, basata sulla esperienza e sul discernimento, Marco Gallo fa seguito a quanto pubblicato l’altro ieri su questo blog, a proposito della “terza forma” della celebrazione della confessione, così come prevista da alcuni Vescovi italiani per questo periodo eccezionale. Lo ringrazio per la chiarezza e per la articolazione, pastorale e teologica, del suo discorso, che propone tanto i “videtur quod”, quanto i “sed contra”, quanto i suoi “respondeo”. Un bel segno di dialogo e di confronto, in tempi difficili, ma per questo tanto più bisognosi di parole vere, forti e chiare.

Confessione donna (stampa Ottocento)

Dopo aver celebrato la III forma della Penitenza. Brevi appunti al servizio di un percorso

 di Marco Gallo

Un rito eccezionale

Giovedì 17 dicembre, nella nostra unità pastorale, abbiamo proposto e celebrato il sacramento della penitenza secondo la III forma del Rituale. È stata una bella sera, non troppo fredda fuori dove diverse persone hanno dovuto fermarsi, ordinata e calma in chiesa con i posti contingentati. La celebrazione è iniziata con una catechesi sul significato del gesto e sulle sue condizioni. Finita la breve formazione, abbiamo tenuto il ritmo del rito: riti di ingresso, liturgia della Parola, litanie, assoluzione e ringraziamento – come previsto dal Rituale. Perché non fosse troppo ridondante di parole e ricca di gesti liturgici, non c’è stata alcuna monizione e nemmeno l’omelia, ma abbiamo aggiunto alcune azioni: brani di solo organo per i tempi di meditazione, la litania al Cristo pregata tutti rivolti al grande crocifisso, un’aspersione personale (come dopo la compieta nei monasteri) dopo l’assoluzione generale e una candela accesa per ognuno, il cui fuoco veniva dal cero pasquale, così che a luci spente si è terminato con il ringraziamento celebrato sul tema pasquale luce/tenebre.

Il rischio e il discernimento

Il permesso straordinario e limitato per offrire questa forma comunitaria della Riconciliazione è arrivato quasi di sorpresa. Diversi vescovi e la Penitenzieria apostolica hanno riconosciuto nei giorni della seconda ondata la situazione di grave rischio che è prevista per questo schema. Il rischio è ovviamente individuabile nel contatto ravvicinato (e prolungato per i confessori) per il dialogo e l’assoluzione personale. Ma si potrebbe anche andare oltre e vedere il rischio nel fatto (empirico!) che diversi fedeli non avrebbero scelto per prudenza di celebrare la penitenza. Certo, è possibile l’offerta vissuta a marzo/aprile del votum sacramenti, ma tra le due (forma auricolare – contrizione senza mediazione), questa occasione si è presentata come un’occasione molto preziosa.

Devo riconoscere che il rischio era da prevedersi anche nel raduno di tanti, pur rispettando molto rigorosamente le norme come per le Messe. L’azione pastorale purtroppo ha come canale privilegiato la dinamica del radunare che provoca sempre comunque un certo assembramento e questo, sappiamo, è ora pericoloso e delicato. Resto del parere che in questi tempi è estremamente necessario operare un discernimento su ogni occasione di contatto, valutando non solo il come ma a partire dal se è necessario. Metterei in fila d’urgenza i riti della morte e del lutto che non sono posticipabili e nemmeno troppo possibili senza i corpi: l’iniziazione cristiana, i riti del dedicare la vita e persino l’eucaristia sopportano invece attese e rimandi. E la penitenza?

L’occasione di innescare un cammino

In un suo recente articolo, Andrea Grillo mette in evidenza che le celebrazioni del quarto sacramento (individuali o comunitarie) rischiano comunque di non intercettare tutto il valore penitenziale di questi tempi faticosi di privazioni. La responsabilità della comunità sarebbe quella di “dare senso alle necessarie fatiche” di questi giorni, per “aprire gli occhi sulle forme di presenza di Dio e del prossimo nel cammino della nostra esistenza”. “La potenza dei segni, in questo caso, non corrisponde sempre alla predisposizione dei segni della potenza”, conclude Grillo.

Monsignor Erio Castellucci, accompagnando il suo decreto che concede ai parroci di celebrare con la III forma, suggerisce di valorizzarne il carattere di puntualità per innescare un percorso. Essendo questa celebrazione comunitaria non più ripetibile prima di una confessione personale, essa per sua natura si inserisce in un prima, fatto di attesa, preghiera, ascolto della Parola e gesti di penitenza, di un suo hic et nunc non privo di uno straordinario vigore liturgico, e di un dopo, che ognuno è chiamato a portare a compimento non solo in una celebrazione ulteriore, ma anche in atti di soddisfazione e vita riconciliata.

Le obiezioni

Vorrei concludere dando conto delle obiezioni che ho ricevuto dopo aver reso pubblica la convocazione per il rito comunitario. Le riassumerei in tre tipologie (riporto parole non mie):

  • Non era necessario: ci si può organizzare con luoghi e tempi adatti e celebrare il sacramento in modo individuale in sicurezza.
  • È troppo facile: la penitenza individuale offre l’occasione di un dialogo molto profondo e comporta lo sforzo benedetto di aprirsi al confessore. Senza questi, il sacramento è come svuotato.
  • È un cavallo di Troia: fate questo, perché avreste voluto farlo anche prima, ma non era consentito.

Le obiezioni possono sempre essere un atto di carità, perché aiutano il discernimento. Alle tre respondeo:

  • Più che l’accusa di un errato discernimento, l’argomento sottende un sospetto di pigrizia o pavidità dei pastori. Mi sembra che sotto la preoccupazione dei vescovi o di tanti parroci ci sia anche l’attenzione a quella parte dei fedeli che non avrebbe scelto di celebrare senza il rito comunitario (anche prima). La coscienza è un santuario in cui entrare in punta di piedi: come accompagnare questa resistenza al rito auricolare valorizzando il corpo, la comunità e il dialogo?
  • Anche su questo punto, mi sembra che la questione sia la (s)fiducia nella coscienza altrui, insieme al fatto di caricare la legge di un compito pedagogico che non può svolgere. Non da oggi la frequenza al sacramento lascia perplessi, insieme al vissuto che molti non nascondono di difficoltà a viverlo. Il dialogo, la catechesi e la ricca proposta di azioni penitenziali possono far maturare la stima verso la forma ordinaria, molto più efficacemente della legge che la rende unica possibilità.
  • Senza dubbio, da ben prima della pubblicazione del rito della penitenza (1974), il desiderio di vivere la forma antica è legittimo. La vicenda della formazione del rituale post-conciliare, brillantemente ricostruita da M. Busca – Verso un nuovo sistema penitenziale? Studio della riforma della riconciliazione dei penitenti (2002), mostra efficacemente che la decisione di rendere puntuale e straordinaria la III forma (che era nei primi fascicoli la I) ha da sempre polemicamente accompagnato la riflessione sul rito (tanto da far “licenziare” i primi membri incaricati, tra i quali K. Rahner, J. Lécuyer e C. Vogel). Le proposte del coetus erano diverse da quelle poi recepite ed andavano nella direzione di ampliare gli strumenti perché il sacramento uscisse dalla sua sovrapposizione con l’assoluzione, recuperando la sua caratteristica di cammino di conversione. Le attuali condizioni di rischio, come in molti altri campi, non hanno creato un fenomeno, ma hanno reso possibile ciò che prima era già presente.

A servizio di un percorso

L’ottica indicata da Mons. Castellucci ci sembra la più promettente, capace nella situazione attuale di scardinare la sovrapposizione spesso bloccata tra sacramento e confessione/assoluzione. A cuore di queste proposte sta certamente la preservazione della salute fisica dal contagio, ma anche la percezione innegabile della lunga crisi del servizio alla conversione dei credenti. Mettendo in moto questo itinerario con la celebrazione comunitaria, sarà necessario farne notare il rimando a tutto il sistema penitenziale cristiano: la preghiera quotidiana, i gesti di faticosa fedeltà e giustizia di vita, la dignità del portare con umanità la sofferenza e la malattia, il valore fraterno della correzione e dell’incoraggiamento, il digiuno e l’elemosina, i tempi più esplicitamente dedicati, come la Quaresima e, in modo diverso, l’Avvento, i pellegrinaggi, la visita a santuari. Se non avverrà, si risolverà in una nuova occasione di ambiguità e sospetto.

 

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