Da Corpus Christi a Sanctissimum Sacramentum: la storia e la teologia sistematica


Leggendo le testimonianze storiche con diversi occhiali sistematici, vediamo cose nuove. Questa preoccupazione non è nuova: Romano Guardini la segnalava, già nel 1921, come una grande sfida al sapere storico sulla liturgia e sui sacramenti: con la storia noi possiamo rispondere alla domanda “che cosa è stato?”, ma solo con la teologia sistematica possiamo rispondere alla domanda “che cosa deve essere?”. Di recente, in un libro prezioso come Christus Christi est sacramentum, di U. Cortoni, emerge con nuova evidenza la esigenza di predisporre categorie sistematiche più adeguate, per cogliere in modo nuovo la storia dei sacramenti lungo il percorso di 2000 anni di tradizione.

Le parole sono decisive per comprendere il mutamento delle prospettive e un sapiente “ritorno alle fonti” è il metodo necessario per arrivare ad una buona teologia.

Un esempio significativo può scaturire da una trasformazione del nome delle Confraternite che, a partire dal XIV secolo, si sono incaricate dell’allestimento della festa del Corpus Domini. Per circa 200 anni si sono chiamate Compagnie del Corpus Christi. A partire dall’epoca del Concilio di Trento in larga parte esse hanno cambiato il loro nome in Confraternite del Santissimo Sacramento.

Questo cambio di nome deve essere considerato molto più significativo di quanto non si pensi. Per comprendere bene questo passaggio, possiamo considerare almento 5 questioni di teologia sistematica che hanno condizionato (o sono state condizionate da) questo sviluppo:

a) La locuzione “Corpo di Cristo”, già in S. Paolo, ha un duplice significato: quello di “corpo di Cristo sacramentale” e quello di “corpo di Cristo ecclesiale”. Per tutto il primo millennio della storia cristiana, questo doppio significato è stato necessario per spiegare il “corpo di Cristo”: effetto sacramentale ed effetto ecclesiale non potevano essere disgiunti e la lettura teologica dell’eucaristia teneva sempre unito sacramento e chiesa, benedizione del pane e del calice e vita ecclesiale.

b) A cominciare dalle controversie eucaristiche del IX secolo, riprese poi nei secoli X-XII, si è giunti nel XIII secolo ad una teoria del corpo di Cristo che ha identificato non due, ma tre significati della locuzione:

– sacramentum tantum, ossia il pane e il vino

– res et sacramentum, ossia le specie consacrate

– res et non sacramentum, ossia la unità e la comunione della chiesa

Come è evidente, queste distinzioni hanno introdotto un divaricazione tra sacramentum e res. Per usare le parole del papa che ha aperto il XIII secolo, Innocenzo III ha definito questi tre livelli come “forma, verità e virtù” del corpo di Cristo. Tra di essi non vi è identità.

c) Il concetto di “sacramento” subisce così una profonda rilettura, fino ad identificare una dimensione autonoma rispetto alla dimensione ecclesiale dell’eucaristia. Sacramento identifica solo metà del significato della eucaristia: anche S. Tommaso d’Aquino dirà che l’eucaristia significa, ma non contiene la sua “res”, ossia la comunione ecclesiale.

d) Accanto a questo fenomeno di scissione diretta del linguaggio eucaristico, si realizza, in parallelo, un modo di pensare la autorità nella Chiesa che dipende strettamente da questa teologia eucaristica. La potestas ordinis, riferita al presbitero/sacerdote, si identifica con il potere di consacrare l’eucaristia, quindi con la potestà sul sacramento. Invece la potestas iurisdictionis, riferista soltanto al vescovo, si indentifica con il potere sulla chiesa. La sintesi che Tommaso d’Aquino offre di questa distinzione è illuminante e presuppone, con una certa disinvoltura, una distinzione in realtà assai problematica. Egli dice: il presbitero-sacerdote ha potere sul Corpo di Cristo sacramentale, mentre il vescovo ha potere sul Corpo di Cristo ecclesiale.

e) Anche la terminologia attestata dal famoso studio di H. De Lubac, Corpus mysticum, conferma la medesima tendenza. Se una lunga stagione ha chiamato “corpo di Cristo vero” la Chiesa, e “corpo di Cristo mistico” l’eucaristia, nei secoli la terminologia si è capovolta: “corpo di Cristo vero” è diventato il sacramento, mentre “corpo di Cristo mistico” è divenuto il nome della Chiesa. La verità del Corpo di Cristo sembra riguardare solo il sacramento, non la Chiesa.

Questi sviluppi del linguaggio cattolico lungo i secoli, qui soltanto accennati, manifestano una questione che è diventata bruciante nel XX secolo: ossia una nuova possibilità di dire e di ascoltare, nel termine “Corpo di Cristo”, non solo la dimensione sacramentale, ma anche quella ecclesiale. Se leggiamo con queste categorie sistematiche la storia moderna del cattolicesimo, vediamo una accelerazione forte, tra XV e XIX secolo, nell’identificare il Corpo di Cristo soltanto con il sacramento, addirittura separandolo dall’uso: la consacrazione pensata e vissuta senza comunione. Anche una piccola cosa come il trasformarsi dei nomi delle Confraternite diventa allora significativa: se chiamarsi “compagnia del Corpo di Cristo” rimanda ad un significato sacramentale ed ecclesiale aperto, la definizione di “confraternita del Santissimo Sacramento”, parallela agli sviluppi tridentini, inclina ad identificare il Corpo di Cristo soltanto sul piano sacramentale, lasciando in ombra la dimensione esplicitamente e necessariamente ecclesiale dell’eucaristia.

Una soluzione a questo problema, durante il XX secolo, è stata, non solo nel Vaticano II, ma in una larga parte del pensiero teologico, il tentativo di riscoprire la dimensione sacramentale della Chiesa, ossia la Chiesa come “sacramento”. Altrettanto importante, e forse ancora più urgente, è recuperare la dimensione ecclesiale dell’eucaristia, che anche il ressourcement della festa del Corpus Domini è in grado di propiziare.

Tuttavia, una rilettura accurata della storia medievale e moderna chiede una chiarezza sistematica indispensabile: se studi la storia con un concetto inadeguato di eucaristia (cosa facilissima, anche al migliore degli storici) rischi di commettere continuamente quegli errori di “anacronismo” che sono così facili ad ogni lettore di testi non contemporanei. Che cosa intendessero per “processione del Corpus Domini” gli uomini del XIII o del XIV o del XV secolo, dipende dalla nozione di Corpo di Cristo che era comune presso le loro esperienze ecclesiali e spirituali. E non è affatto detto che, proiettando nel passato, le visioni del XVI o del XVII secolo, noi facciamo davvero un servizio alla tradizione e che riusciamo davvero a chiarire non solo la locuzione “corpo di Cristo”, ma anche la funzione della festa del “corpus Domini”. Nell’ambito di questa grave confusione, non sorprende che si possa rappresentare la “vocazione eucaristica” di un giovane santo, dedito all’informatica, con la sovrapposizione iconica di una “pisside”, o di un “ostensorio”, ad un “portatile”. Che una “pisside”, o un “ostensorio”, dica vocazione eucaristica dipende da una accezione di Corpo di Cristo del tutto limitata e dal respiro corto, che si ferma a metà della verità. Una sola piccola immagine infelice dice molto del problema grande e radicale, che ho cercato di sintetizzare in queste poche righe.

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