Cultura civile e teologia (/3): Funzione civile ed ecclesiale della teologia (Stefano Biancu)


Univerità

Anche Stefano Biancu – professore di filosofia morale alla LUMSA di Roma – interviene nel dibattito con alcune considerazioni di grande rilievo. Funzione civile e funzione ecclesiale della teologia stanno in una relazione delicata, che gli ultimi 200 anni hanno vissuto con disagio e spesso con grande incomprensione. Pur mantenendo tale fraintendimento un ruolo ancora grande, tanto fuori quanto dentro la Chiesa, Biancu rileva la occasione storica per una riconsiderazione della cultura teologica nello spazio pubblico comune, con vantaggi innegabili – anche se difficili da riconoscere – anche per la sua funzione ministeriale ed ecclesiale.

FUNZIONE CIVILE ED ECCLESIALE DELLA TEOLOGIA

Mi inserisco volentieri nel dibattito avviato da Andrea Grillo. La questione della legittimità della presenza della teologia all’università è al contempo annosa, complessa, e probabilmente non ancora giunta a piena maturazione né quanto alle sue premesse teoriche, né quanto alle sue concrete ricadute istituzionali.

Tuttavia è vero che molte cose stanno rapidamente cambiando, tanto a livello civile quanto a livello ecclesiale.

A livello civile, una riflessione sul fenomeno religioso è oggi quanto mai urgente: nel bene o nel male, le religioni e le fedi giocano un ruolo di primo piano nel nostro mondo complesso e multipolare. A livello ecclesiale, il magistero di papa Francesco, con il suo costante incoraggiamento perché allinterno della Chiesa si produca un dibattito libero e franco, improntato a una sincera libertà di espressione, apre scenari inediti anche per la teologia, la quale in questo nuovo spazio di franchezza può nella libertà svolgere un servizio di primaria importanza: può cioè fornire gli strumenti critici al dibattito e facilitare così il delicato reciproco ascolto tra magistero ecclesiastico e sensus omnium fidelium.

Vale dunque la pena ritornare sulla questione della legittimità della presenza del sapere della fede all’interno di quello che è oggi lo «spazio pubblico» del sapere (l’università): la questione, dunque, della teologia come scienza critica accanto ad altre scienze critiche.

Ripeto: non credo che il dibattito sia ancora giunto a maturazione. Ritengo ci sia ancora del lavoro da fare sia per quanto riguarda lo specifico apporto della teologia in quanto sapere credente della fede al sapere in sé e alla conoscenza del fenomeno religioso in particolare, sia per quanto riguarda la natura del servizio ecclesiale della teologia. Tuttavia, i nuovi scenari appena evocati mostrano che vale la pena impegnarsi in questa direzione.

Per ovvie ragioni, mi limito ad alcune considerazioni, rimandando – per approfondimento – ad alcune precedenti riflessioni sia sulla questione della teologia all’università, sia sul suo rapporto con l’autorità dottrinale della Chiesa.

Riguardo alla funzione civile della teologia

È evidente che se la teologia ambisce ad essere un sapere critico tra altri saperi critici, la sua dipendenza da un’autorità scritturistica ed ecclesiale (e, in ambito cattolico, magisteriale) non è irrilevante. Questa, perlomeno, è la tesi di coloro che dal di fuori ritengono che la teologia non sia una disciplina «universitaria», e non lo sia nella misura in cui appunto non è un sapere libero, ma sottomesso a delle autorità.
Rispetto a questa tesi, credo si debbano porre due interrogativi. Il primo riguarda la «libertà» del sapere (di ogni sapere) e potrebbe essere così formulato: il fatto di non rappresentare un sapere totalmente libero, è una peculiarità della teologia? O non è piuttosto un carattere di ogni sapere?
In proposito mi limito a osservare che, se l’università vuole mantenere una sua credibilità, non può non riconoscere la condizionatezza di ciò che l’idea tradizionale di critica presuppone: il presupposto, vale a dire, della possibilità di una radicale assenza di presupposti. Tale assenza di presupposti è un ideale a cui ogni sapere tende, ma che nessun sapere compreso quello teologico possiede. La teologia si fonda su alcuni presupposti autorevoli suoi proprîi esattamente come ogni sapere fa. Trattandosi di presupposti espliciti, la teologia può diventare un modello per altri saperi, tentati magari di mantenere a un livello implicito i proprî presupposti, con un concreto rischio di derive ideologiche di vario tipo.
Riguardo alla funzione ecclesiale della teologia

Il secondo interrogativo riguarda la funzione ecclesiale della teologia: un suo ingresso nelle università pubbliche non sarebbe di ostacolo all’esercizio della ministerialità ecclesiale che le è propria?

Su questo punto, credo che valga la pena tenere a mente lìancora attuale avvertimento di A. Bertuletti, secondo il quale la scientificità «costituisce la modalità propria secondo la quale la teologia realizza la sua ecclesiasticità» (A. Bertuletti, La legittimazione della teologia, in: G. Colombo (ed.), Il teologo, Glossa, Milano 1989, p. 164-200: 195).

Rispetto a questo, credo che la Chiesa non possa non considerare la teologia come unimpresa che le appartiene essenzialmente: se così non fosse, ne avrebbe danno non solo lo spazio «intimo» della Chiesa, ma pure lo spazio «pubblico» dell’università.

Ma, al contempo, la Chiesa non può non appoggiare la teologia nel suo sforzo di coltivare quella passione radicale per l’incondizionato che è propria dell’università: l’unica che possa garantirle di non degenerare nell’ideologia. E, dunque, di tradire se stessa, il proprio Oggetto e la propria missione, all’interno e all’esterno della Chiesa. Una sua presenza, anche istituzionale, all’interno dell’università, costituirebbe certamente una sfida di non poco conto, ma se accompagnata da una forte maturazione e consapevolezza ecclesiale potrebbe giovare anche alla ministerialità ecclesiale della teologia.

Stefano Biancu

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