Munera 2/2019 – Francesco Stoppa >> Amare senza amarsi?

Per arrivare ad amare l’altro in quanto tale, e non come proiezione del nostro io o dei nostri interessi narcisistici, bisogna essere contemporaneamente in grado di amare in noi stessi la cifra di alterità che ci appartiene. Cosa tutt’altro che scontata, anche perché non si può realisticamente pensare a un amore del tutto scevro da connotazioni narcisistiche, dalla tendenza cioè a chiudere le nostre relazioni e l’intimità con noi stessi all’interno di una circolarità “senza resti”, un incantesimo di pienezza che non difetterebbe di nulla.

Pensare a un amore privo di quelle che sono le aspettative immaginarie di ciascuno sarebbe quindi chiedere troppo. Prendiamo il caso dell’innamoramento: il brillio di cui gode l’immagine dell’altro riporta sempre il soggetto alla sua vicenda personale, al primo investimento amoroso, quello sulla madre, a un qualche dettaglio erotizzato che di lei gli si è impresso e ha marchiato il suo desiderio di bambino, e che rimanda immediatamente all’oggetto speciale che lui stesso è stato per lei. Ma più in generale, nei suoi investimenti affettivi, l’io è congenitamente strutturato per proiettare se stesso, i suoi bisogni, ideali, aspettative sugli altri e sul mondo. In qualche modo, corriamo sempre il rischio che la realtà sia per noi un grande specchio sulla cui superficie perpetuiamo e coltiviamo i nostri labirinti amorosi.

Detto questo, l’amore che esclude da sé ciò che fa scarto, discontinuità, differenza, l’amore per esempio che vede i due partner farsi l’uno complemento dell’altro, rappresenta un rigetto della complessità umana di entrambi. Si potrebbe dire che è mosso dalla paura di ciò che non si può, in sé e negli altri, prevedere, conoscere, controllare a priori. E a questo proposito Lacan evoca «il coraggio degli amanti», che accolgono la sfida e il rischio di una relazione che muove e si nutre invece del riconoscimento dei limiti, delle differenze, delle singolarità in gioco. Che non ignora la finitezza delle loro stesse esistenze.

Tutto questo ci pone già davanti a una questione non da poco: l’amore in qualche modo “gratuito” – quello che riconosce “il diritto” di esistenza psichica e fisica dell’altro – è qualcosa di naturale, istintivo? O richiede una propedeutica, una ginnastica, un’educazione sentimentale, una capacità dell’amante di lottare contro sé stesso e le sue tendenze egocentriche?

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