Munera 1/2023 – Tommaso Greco >> La giustizia della fiducia

Il 12 febbraio 2022 il quotidiano «Avvenire» riportava la notizia che il corpo di una bambina di cinque anni, morta di freddo e di stenti mentre attraversava il Mediterraneo per raggiungere l’Europa, era fermo da diversi mesi (precisamente otto) in un

obitorio nelle isole Canarie. I genitori, che si trovavano in Francia, ma senza permesso di soggiorno, non potevano andare a identificarla. Il Ministro degli esteri francese, Yves Le Drian, interpellato per l’occasione, rispose che ci sono «complessità giuridiche che non si possono risolvere con l’emozione».

Affermare che in situazioni come queste è in gioco una dicotomia tra il diritto, da una parte, e le emozioni, dall’altra, è un modo troppo facile per screditare politicamente ogni richiesta di giustizia e di umanità. Fa bene, quindi, chi si sbarazza di queste distinzioni, e dell’ipocrisia che le sostiene, dicendo senza mezzi termini, come ha fatto proprio in quei giorni papa Francesco, che «ciò che facciamo coi migranti è criminale».

Frasi come quella del Ministro degli esteri francese nascondono infatti (o forse rivelano) la convinzione che il diritto serva proprio a neutralizzare le emozioni e che queste, quando si entra nella sfera giuridica, devono essere lasciate da parte, perché altrimenti inquinerebbero giudizi e decisioni. Come se le regole giuridiche non fossero di per sé un distillato di decisioni sulle emozioni e sulle loro legittime aspettative di riconoscimento. Vorrei qui far vedere che queste convinzioni, prima ancora di aver a che fare con i sentimenti e le emozioni, hanno a che fare con le nostre idee più profonde sulla natura umana e sulle conseguenze che dobbiamo ricavarne sul piano giuridico e politico. Hanno a che fare con il modo in cui pensiamo le relazioni sociali e giuridiche e con i loro fondamenti antropologici fiduciari e/o sfiduciari.

Acquista l'articolo
per continuare a leggere acquista questo articolo

Utente biblioteche abbonate: clicca qui »

Share