Il tempo continuo della storia


Marshall McLuhan vide lontano lasciando il refuso nel titolo del suo The Medium is the Massage: An Inventory of Effects (1967). Massaggio, antica arte manipolatoria. Degli effetti prese atto nel 2002 Onora O’Neill: «il vero nemico della fiducia è la menzogna. E mentire non è sinonimo di dire cose sbagliate». «I mentitori, al contrario, inducono volontariamente in errore» [Una questione di fiducia, tr.it. Vita e Pensiero 2003, pp. 88]. «Siamo pericolosamente vicini a un mondo in cui i colossi dell’informazione agiscano come se avessero diritto a colpire le posizioni che non apprezzano con la caricatura e il dileggio, o la distorsione, o il silenzio. Se avessero un simile diritto, avrebbero anche quello di minare la democrazia alle fondamenta» [p. 108]. «Come recita un antico detto spagnolo, quando si verifica un’inondazione – di informazioni, nel nostro caso – la prima cosa che viene a mancare è l’acqua potabile» [Lorenzo Kamel, Israele-Palestina, Einaudi 2025, p. IX].

Nel 1999 il Congresso USA abolì il Glass-Steagall Banking Act, che dal 1933 vietava alle banche commerciali di speculare coi depositi. La bolla sub-prime nel 2008-9 e la speculazione contro euro e debiti sovrani di Grecia e Italia nel 2012 svelarono un mondo di predatori che agiscono per sé in un eterno presente e una sola domanda: what’s-in-it-for-me? Dominato da modelli economici, strategie di affari e mandati politici globali [I. van Staveren, Economics after crisis. An Introduction to Economics from a Pluralist and Global Perspective, Routledge 2015, p. 3]. All’altro estremo gli esclusi, per paradosso altri predatori perché senza domani, con le spalle al muro [G. Mastrojeni, “L’economia integrale: dove la crescita è uguale a benessere, ambiente, giustizia e pace”, in A. Mattioli – C. Tintori, Patto per una nuova economia, ITL 2020, p. 7]. In mezzo noi, persone comuni, non del tutto razionali né egoisti ma instabili sì, e molto, dicono gli psicologi [T.V. Somanathan – V. Anantha Nageswaran, The Economics of Derivatives, Cambridge UP 2015, p. 97].

La scelta di «far dipendere la creazione di reddito e di ricchezza nel mondo occidentale dalle attività finanziarie, maturata con l’avvio della globalizzazione e con il trasferimento delle produzioni nei Paesi dove il costo della manodopera era bassissimo e i vincoli ambientali inesistenti, ha determinato la dipendenza del profitto dai rendimenti finanziari, obbligazionari e della infinita serie di strumenti creati dalla ingegneria finanziaria. Ciò ha generato una dimensione necessariamente di brevissimo periodo, tutta centrata sulla capacità della finanza di autoalimentarsi, creando continue bolle e trasformando il mercato nel monopolio di pochissimi soggetti in grado, proprio per la loro gigantesca liquidità, di ridurre i rischi e di mantenere i prezzi finanziari artificialmente alti: uno schema estremamente rischioso e profondamente iniquo, perché volto a favorire solo la grande ricchezza. Dunque, profitto senza occupazione e senza investimenti produttivi» [Alessandro Volpi, Nelle mani dei fondi. Il controllo invisibile della grande finanza, Altreconomia 2024, p. 131]. Nelle parole di Papa Francesco: «la cultura della prosperità ha reso i ricchi incapaci di provare compassione per i poveri» [Marco Ansaldo, «Chi e perché rema contro Bergoglio», Limes, 3 marzo 2024, p. 80]. Papa Leone XIV lo ha ribadito nel Giubileo dei movimenti e Roma, l’8 giugno: «Non consumando il mondo con voracità, ma coltivandolo e condividendolo, come ci insegna l’enciclica Laudato sì».

«I rapporti di potere sono cruciali per la comprensione delle crescenti diseguaglianze e sono alla base della diffusa percezione che il sistema è truccato, cosa che ha giocato un ruolo così importante nella disaffezione dei cittadini nei confronti della democrazia e delle sue istituzioni e nella crescita del populismo». Perciò, si «otterrebbe un miglior equilibrio limitando il potere delle imprese, incoraggiando l’ingresso di nuovi soggetti (incrementando la disponibilità di finanziamenti e tecnologia per chi entra nel mercato), e rafforzando i diritti dei lavoratori, anche favorendo la sindacalizzazione» [Joseph Stiglitz, La strada per la libertà, tr.it. Einaudi 2024, p. 266].

È il futuro dell’UE, i cui «primi e temporanei passi verso l’unione fiscale si sono verificati solo in risposta alla pandemia grazie a Next Generation-Eu (Ngeu). Non sarebbe, quindi, sorprendente se un’apertura verso l’unione politica si manifestasse in risposta alle minacce trumpiane e si concretizzasse in forme ‘eclettiche’ a partire da ambiti esterni alle competenze comunitarie (come la difesa)» [Marco Buti e Marcello Messori, «Una bussola europea da riorientare», Il Sole 24 Ore, 9/2/2025, p. 1]. Con i profeti disarmati nessuno tratta (Machiavelli) e l’UE deve provvedere con la difesa, ma europea, dopo l’autodistruzione dei suoi stati nazionali nelle guerre mondiali. Condividere è la chiave del futuro, lo dimostra la storica crescita economica e demografica nella lunga pace, ora a rischio. Decisive l’istituzione della Società delle Nazioni e poi dell’ONU con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Come disse Eleanor Roosevelt, presidente della sessione delle Nazioni Unite il 28 settembre 1948, una presa d’atto, che nello sviluppo dei trasporti ha aperto alla globalizzazione di mercato e nell’UE all’innovazione verso cui ci conduce il tempo continuo della storia.

Il tempo continuo della storia [Jacques Le Goff 2014, tr.it. Laterza] ci dice che gli «storici non devono confondere, come troppo spesso hanno fatto, l’idea di globalizzazione con quella di uniformazione. Nel primo processo vi sono due tappe: la prima consiste nella comunicazione, nella creazione di rapporti fra regioni e civiltà che precedentemente si ignoravano; la seconda è un fenomeno di assorbimento, di fusione. Finora l’umanità ha conosciuto soltanto la prima di queste due tappe» [p. 136]. «Resta la vera domanda: perché il malessere associato all’esperienza della modernità è così ampiamente sentito, e dove sono le fonti di quegli aspetti della modernità che rendono questo malessere particolarmente doloroso?» [Leszek Kolakowski, Modernity On Endless Trial, The University of Chicago Press, 1990, p. 6].

All’alba della modernità Étienne de la Boétie (1530-1563) ci ricordò che «spesso gli uomini perdono la libertà con l’inganno, meno spesso sedotti da altri di quanto non si ingannino da sé» [Discorso della servitù volontaria, tr.it. Feltrinelli 2024, p. 42]. Oggi asserviti al Medium-Massage di «grandi creature artificiali che sovrastano tutto quello che facciamo e che ci rendono quelli che siamo», tragica regressione personale e globale perché «in termini storici la modernità è ciò che viene dopo l’età della superstizione e della magia» [David Runciman, Affidarsi. Come abbiamo ceduto il controllo della nostra vita a imprese, stati e intelligenze artificiali, tr.it. Einaudi 2024, cit., pp. 263-4].

Modernità è educazione alla democrazia e «l’educazione alla democrazia è educazione alla dignità, e ciò presuppone due cose: la disponibilità alla lotta unita alla libertà dall’odio». «Riconciliazione e disponibilità a scendere a compromessi senza codardia, senza opportunismo e senza concedere ciò che si considera il nocciolo della questione: questa è certamente un’arte che non è data gratuitamente a nessuno come un dono naturale. Ma il destino dell’ordine democratico del mondo dipende dalla nostra capacità di padroneggiare quest’arte» [Kolakowski, cit., p. 260]. Lo stiamo drammaticamente costatando e, «mentre la forma della nuova era negli affari europei e mondiali sta emergendo solo lentamente, il mantenimento della pace e il ritmo del progresso dipenderanno ancora in gran parte dall’abilità dei politici nel mediare tra immaginazione e realtà: il compito della politica in ogni epoca, cambia continuamente a seconda delle circostanze, ma rimane essenzialmente lo stesso» [David Kaiser, Politics And War. European Conflict from Philip II to Hitler, Harvard UP 2000, p. 429].

Ne prese atto già nel 1948 Ludwig Dehio, fra le macerie d’Europa: «non un inceppamento della nostra fantasia, ma il suo allargamento dovrebbe fruttarci lo sguardo comparativo rivolto al passato; un affinamento del senso della nostra inderogabile responsabilità personale, non un ottundimento causato dal fantasma d’un determinismo regolato da leggi che ci esonererebbero dalla responsabilità». «La storia politica, pensata fino in fondo e penetrante fino al fondo, rimanda alla cellula primordiale di tutta la storia, all’uomo» [Equilibrio o Egemonia. Considerazioni sopra un problema fondamentale della storia moderna, tr.it. il Mulino 1988, p. 249, ed. or 1948].

Oggi ce lo ricorda David Runciman. «La Prima guerra mondiale è stata un colossale fallimento del giudizio umano. Ma è stata anche il risultato di un processo decisionale meccanicistico: i sistemi di alleanze e una pianificazione burocratica avevano in parte sottratto la scelta agli umani». «Tale pericolo è diventato immenso durante la Guerra fredda, quando la logica della deterrenza nucleare impegnò entrambe le parti a sostenere una politica fondata sulla rinuncia della reciproca distruzione». «Si trattava di superpotenze non di superintelligenze. Erano intelligenti soltanto nella misura in cui lo erano le persone al timone». «Se durante la Guerra fredda gli Stati di Russia e d’America fossero stati dotati di sistemi totalmente autonomi, ora saremmo morti, perché le loro strategie includevano una reale possibilità di distruzione automatica» [cit., pp. 189-191]. Per nostra (ir)responsabilità.

«C’è una regola fondamentale che dovremo tenere presente. L’ha fissata Marc Bloch nel suo saggio sulle false notizie di guerra: “L’errore non si propaga, non si amplia, non vive che a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un terreno di coltura favorevole… Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita”» [Adriano Prosperi, Cambiare la storia. Falsi, apocrifi, complotti, Einaudi 2025, p. 14]. Oggi da quella di una «società in cui, come osserva con sarcasmo il Nobel Joseph Stiglitz, vale una nuova etica, riassumibile come “one dollar one vote”?». «Il rapporto medio tra CEOs (amministratori delegati delle società quotate statunitensi e reddito medio dei lavoratori americani è salito da 21:1 a 350:1 tra il 1965 e il 2022» [Fabrizio Onida, «Perché crescono le disuguaglianze», il Sole 24 Ore, 9/3/25, pp. 1 e 15].

Guido Alfani, storico economico in Bocconi, ci aiuta a capire. «Nel corso della storia i ricchi hanno svolto il proprio ruolo sia volontariamente accettando di avere un dovere verso il proprio paese e verso i propri concittadini, sia attraverso contributi e prestiti forzosi (e, a partire dal XX secolo, attraverso una tassazione fortemente progressiva dei redditi e delle eredità). Il fatto che in tutto l’Occidente questo non stia accadendo, nemmeno sotto forma di misure fiscali temporanee, ci porta a chiederci se i ricchi di oggi, che concentrano nelle proprie mani una quantità storicamente eccezionale di risorse economiche, non stiano usando i propri mezzi anche per ottenere un controllo eccezionale sul sistema politico o semplicemente per allontanare gli elettori da certe posizioni. Stanno sistematicamente mobilitando la loro presa sulla politica per proteggersi da qualsiasi tentativo di aumentare selettivamente le tasse? Hanno davvero finito per agire come dèi tra gli uomini, distruggendo le istituzioni democratiche e creando uno scenario già immaginato da alcuni nel Medioevo? Se così fosse, farebbero meglio a rispolverare la loro mitologia classica, perché nella tradizione occidentale anche gli dèi possono cadere» [Come dèi tra gli uomini. Una storia dei ricchi in Occidente, tr.it. Laterza 2024, pp. 410-11, ed. or. Princeton UP 2023]. Storia, non profezia.

L’economia vive nell’equilibrio tra giustizia e interessi, ma «in meno di tre mesi alla Casa Bianca, Donald Trump ha imposto il suo stile in materia di politica economica e relazioni internazionali. Uno stile basato sul rapporto di forza, che potrebbe lasciare traccia duratura sulle economie mondiale e americana, sintomo che potrebbe segnare il passaggio in una nuova era» [Cercle des Economistes, «La violence est-elle devenue la règle en économie?», online, 14/4/2025]. La nostra?

Nel tempo continuo della storia l’UE, seconda economia globale, è erede dell’antica consapevolezza greca del «dissolversi del potere politico assoluto, autoritario, che per sua natura non ha divenire, vincolato com’è a schemi mentali privi di futuro» [Luigi Belloni, E Orfeo tentava un canto. Memorie dell’antico nella tradizione operistica, Manzoni Editore 2025, p. 17]. Distrutta dai suoi nazionalismi in due guerre mondiali e una generazione, nel tempo continuo della storia l’Europa ha intrapreso la via dell’unione in concomitanza con il Concilio Ecumenico Vaticano II, entrambi protesi oltre la globalizzazione, «espressione senza dubbio valida per lo scambio generalizzato di comunicazioni umane, ma che non corrisponde a nessuna realtà nell’evoluzione intrinseca della Terra e dell’umanità» [Le Goff, cit., pp. 115-6]. È compito nostro, qui e ora, provvedere, perché «il senso del progresso e il termine stesso emergono solo nel XVIII secolo» [pp. 130-1].

«Le Dichiarazioni – del 1776, del 1789 e del 1948 – hanno fornito una pietra di paragone per quei diritti dell’umanità, attingendo al senso di ciò che “non è più accettabile” e contribuendo a sua volta a rendere le violazioni ancora più inammissibili. Il processo aveva e ha un’innegabile circolarità: si conosce il significato dei diritti umani perché ci si sente angosciati quando vengono violati. Le verità dei diritti umani potrebbero essere paradossali in questo senso, ma sono comunque evidenti» [Lynn Hunt, Inventing Human Rights. A History, W.W. Norton & Company, 2007, pp. 213].

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