Il Mare di Mezzo


In pandemia Francia e Italia hanno promosso l’UE degli investimenti condivisi. Il voto di protesta in Francia ha poi gratificato il Rassemblement National e nel nuovo Parlamento «l’abbandono, visto come vittoria, della sessione straordinaria a settembre, proposta dal governo su energie rinnovabili e riforma del mercato del lavoro per accelerare scelte di sviluppo, la sarà solo se si userà il tempo per anticipare i necessari compromessi. Se no l’Assemblea nazionale rischia di essere luogo dove il tempo si ferma. Di nuovo discreditata e marginalizzata» [«Editorial. Les limites du regain parlamentaire», Le Monde, 7-8/08/22, online]. Dimezzato, il nuovo Parlamento nasce marginale in Italia, da Piazza Fontana in poi laboratorio politico per chi può e che si vorrebbe presidenziale per attirare investimenti esteri. Da sempre presidenziale, in Francia non funziona così, ma Berlusconi intima le dimissioni di Mattarella, Presidente della Repubblica garante della Costituzione.
Crisi globali sempre più gravi e stati sempre più fragili portano l’UE a un governo democratico (area euro, la moneta è sovranità) per dare risposte politiche. Oggi «le forniture di gas sono vendute alle compagnie (che poi cedono il gas a famiglie e imprese, al prezzo di mercato di oggi) dai Paesi produttori (Russia, Algeria, Azerbaigian…) principalmente con contratti di lungo termine definiti dalle parti che non vengono resi pubblici. È ragionevole pensare che i prezzi su questi contratti perfezionati in tempi meno recenti siano assai più bassi dei prezzi di mercato attuali, pur contenendo elementi di condivisione del rischio degli andamenti di prezzo tra le parti». «Le dinamiche dei profitti di quest’ultimo anno delle compagnie petrolifere indicano che molto probabilmente è così» [Leonardo Becchetti, «Cosa fare ora per l’energia», Avvenire, 26/08/22, p. 1]. Ecco il problema.
In questo orizzonte di recessione [«Europe is heading for recession. How bad will it be?», The Economist Today, 31/08/22, online] il governo a guida Draghi, rispettato nel mondo per aver salvato l’euro, è stato sfiduciato da forze politiche che vent’anni fa monetizzarono il nostro risicato ingresso nell’euro in condoni fiscali seriali. Cassa anziché credito, zero investimenti dai condoni. Ora è tassa piatta, «dietro la flat-tax arriva il condono» [Roberto Petrini, Avvenire, 13/08/22, p. 6] e gli investitori internazionali parlano direttamente a noi elettori: «Italia, l’autunno caldo dei rating»; «subito dopo il voto pioggia di nuovi giudizi»; «le revisioni dell’outlook dell’Italia comunicate il 29 luglio da S&P (da positivo a stabile) e nella tarda serata di venerdì da Moody’s (da stabile a negativo) riassumono il giudizio internazionale sulla caduta del governo Draghi. A motivare il peggioramento degli outlook è il “rischio politico”, perché l’allarme risuona proprio mentre il debito-Pil registra la discesa più forte nella storia della Repubblica» [Il Sole 24 ORE, 07/08/22, p. 1]. Rischio politico della “botte piena e moglie ubriaca”. Si sa, la moglie poi basta batterla, e chi meglio del presidente-padrone voluto dal popolo? Ministro degli interni, Salvini esultava: il nostro risparmio privato supera il debito pubblico.
Dieci anni fa il presidente di Stanhope Capital, Daniel Pinto, scriveva invece che «uno dei maggiori miti dei due ultimi decenni in Occidente è che il sistema capitalistico moderno deve tutto il successo alla iniziativa imprenditoriale e al ritiro dello Stato». «L’Occidente ha costruito il suo successo non sul capitalismo sfrenato ma sul triangolo imprenditore-Stato-mercato, in cui l’imprenditore ha certo un ruolo centrale ma lo Stato ha la missione di incoraggiare l’iniziativa e sostenere l’attività economica» [Le choc des capitalismes, Odile Jacob 2013, p. 147]. «Pragmatismo e buon senso devono spingerci a reiventare questo triangolo magico» [p. 276].
«Là dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» [Mt 6, 19-34] e la storia europea conferma che «l’unica cosa che fece funzionare l’industrializzazione fu che le società, nell’arco di alcuni decenni, riscrissero completamente il loro contratto sociale». «Parlo di pensioni di lavoro, istruzione pubblica gratuita e salario minimo, tutto spuntato dal turbinio dell’industrializzazione ottocentesca». «Col passaggio al Ventesimo secolo continuarono a emergere nuovi pesi e contrappesi, le leggi antitrust, la tassazione dei redditi, la proibizione del lavoro minorile, una rete di protezione e previdenza sociale, parametri ambientali» [Alec Ross, I furiosi Anni Venti, tr.it. Feltrinelli 2021, p. 24]. Invece, dice un amico, ora povertà è colpa, falsa teologia economica riciclata nel golpe cileno 1973. «Negli ultimi decenni è emersa una stordente combinazione di fattori che scuotono il pianeta: la rivoluzione digitale, la globalizzazione, la deregulation, il populismo, l’arrivo di una crisi climatica globale. Tutto questo ha ristrutturato radicalmente il rapporto tra governo, cittadini e imprese, in ogni nazione del pianeta e nell’arena internazionale. Però troppe nostre società non hanno ancora messo a punto un nuovo contratto sociale che sia all’altezza di questi cambiamenti imponenti» [p. 25].
«Un buon governo si sente in debito con tutti i cittadini, non solo con la clientela o con gli azionisti. Governa secondo la legge». «È – aspetto cruciale – il sostegno sociale che rimane quando le altre parti si defilano. In un mondo di cambiamenti caotici e rischi globali, è la solida base per una vita che sia vivibile e gradevole senza il rischio di trovarsi in tutti i momenti a un solo passo dalla rovina» [pp. 81-2]. La realtà ci porta a un governo democratico europeo più forte dei poteri lobbistici, come Total che continua a rifornire i bombardieri russi [Julien Boissou e Emmanuel Grynszpan, «Le gaz de TotalEnergie sert la Russie», Le Monde, 25/08/22, online].
«Filippo ascoltami. Ci sono cose che ci riguardano che bisogna tacere. Ma in tutte le cose, Filippo, resta vero che se non ci metti tu la tua autorità, e cerchi invece di ingraziarti la gente tirando a indovinare che cosa vorrebbero che tu dicessi, addio!» [Luigi Meneghello, Le Carte, vol. II, Rizzoli 2000, pp. 92-3]. Tra manipolare e fare c’è il mare di mezzo.
Il Mare di Mezzo [tr.it. Sellerio 2020], di John Julius Norwich, è una storia politica del Mediterraneo. Pubblicato nel 2006, l’anno della selvaggia crisi sub-prime USA poi globale, conclude: «il Mare di Mezzo è stato descritto di volta in volta come una culla e una tomba, un collegamento e una barriera, una benedizione e un campo di battaglia. Che tristezza vederlo ridotto a parco giochi, con gli antichi porti trasformati in porticcioli turistici e le moto d’acqua al posto delle triremi» [pp. 1032-3]. Non solo moto d’acqua: yacht e mega-yacht dei nuovi potenti, anche russi, sull’onda neoliberista che dopo la guerra fredda sottomette gli interessi di tutti ai neo-ricchi e neo-zar di una globalizzazione presunta, ora neppure più logistica. Si direbbe occidentalizzazione del mondo se l’occidente prima non si fosse orientalizzato nel colpo di stato cileno del 1973, sanguinaria riduzione della democrazia a periodiche elezioni manipolabili e manipolate con vecchie e nuove tecnologie. Da allora, senza democrazia reale di fatti ma solo formale di voti, la povertà è una colpa che si paga.
«Una culla e una tomba, un collegamento e una barriera, una benedizione e un campo di battaglia», nel Mediterraneo di Norwich, giovane Africa (40% meno di 15 anni) e vecchia Europa condividono cinque possibili scenari [Stephen Smith, La ruée vers l’Europe. La jeune Afrique en route pour le Vieux Continent, Grasset & Fasquelle 2018].
Lo scenario Eurafrica «punta su una buona accoglienza riservata ai migranti africani sperando che rendano il Vecchio Continente più giovane e vario e forse anche più dinamico» [p. 211].
«Europa Fortezza, scenario familiare, sembra annunciare una battaglia già persa, e una vergogna» [p. 214]. «L’opinione pubblica e con essa i leader politici si rivoltano facilmente quando gli slanci di generosità finiscono per urtare i loro interessi. Viene in mente la Germania, e l’Italia in prima linea. Nominato nel dicembre 2016, il ministro degli interni italiano Marco Minniti, ex-comunista, delimitò l’area d’azione ONG nel Mediterraneo, equipaggiò la guardia costiera libica, o quel che è, inviò sul luogo la marina italiana e aprì il “dialogo” – gli scambi – coi signori della guerra nell’ex paese di Gheddafi, in assenza di un governo legittimo capace di fare rispettare le proprie decisioni sul territorio nazionale. Subito, nell’estate 2017, il flusso dei migranti dalla Libia subì una brusca flessione, e i 6 miliardi di euro accordati alla Turchia hanno tamponato il fianco sud-est dell’Europa. E nell’azione ancora più sotterranea dei servizi segreti europei, il Vecchio Continente sembra meno sdentato della sua caricatura senile. Con il tacito – vile – consenso di una opinione pubblica fin troppo contenta di vedere esaurirsi l’afflusso per cercare di capirne le ragioni, l’Europa non manca di mezzi per garantire le frontiere – dopo tutto è ricca e affronta dei poveri. Ma, rispetto alle dimensioni di massa previste in questo libro, ogni tentativo puramente securitario è votato all’insuccesso» [pp. 215-6]. Incluso il blocco navale, per simmetria anch’esso illegale.
«Un terzo scenario – la “deriva mafiosa” – è dabbenaggine: non vedere che è tratta di schiavi porta in sé il rischio di alleanza o guerra col crimine organizzato europeo» [p. 215-6].
«Anch’esso marginale, non è da escludere un quarto scenario – il “ritorno al protettorato”» [p. 217].
«Un quinto e ultimo scenario – una politica possibile e finalizzata – può essere in sé deludente ma ben più compatibile col funzionamento – giorno per giorno – delle democrazie moderne. Si tratta di combinare tutte le opzioni precedenti senza portarle alle estreme conseguenze, “provarle un po’ tutte senza eccessi”. Si avrebbe torto a scartare questa ipotesi, così come sarebbe sbagliato soffermarsi sull’apparente debolezza dei poteri elettivi. La Spagna ne è l’esempio» [p. 218]. «Ha negoziato compromessi, specie col piano Greco attuato a partire dal 2001, ma anche migliorato la cooperazione con Marocco, Mauritania e Senegal. Le misure adottate hanno avuto effetto, ‘aiutate’ dalla crisi economica. Tra la scarsa attenzione dei media, nel 2015 il paese europeo più vicino all’Africa ha registrato solo 13.000 domande d’asilo – su 1,3 milioni in Europa. Nel 2013 la percentuale di stranieri in Spagna è tornata sotto il 10%. Beninteso, può salire di nuovo. Ma, di fondo, una gestione “morbida” dei flussi migratori scommette su una possibile vera prosperità in Africa, simile a quella che fa ormai tornare nel paese d’origine i messicani degli Stati Uniti. Dopo tutto si tratta di “tenere”, bene o male, per due o tre generazioni. Sarà possibile in caso di corsa verso l’Europa?» [p. 219].
Il governo democratico europeo è necessario per politiche e pratiche di sviluppo civile anche in Africa. Per noi è sovranità condivisa in UE, che in sé si attesterebbe forse meglio sui nostri confini alpini, lasciandoci al nostro dio-patria-famiglia, se così ci pare, nel laboratorio politico Italia della sovranità condizionale, in cui «sono i grandi interessi economici che conducono a uccidere, a fare guerre e a realizzare le stragi. Una delle difficoltà nel far luce sui cosiddetti misteri d’Italia – spesso per nulla misteriosi – e che ne mantiene taluni ancora irrisolti, consiste nella nebbia colorata di ideologia che nasconde la sostanza. Troppe volte si è andati infatti alla ricerca della logica del terrorista piuttosto che verificare l’interesse economico sottostante. La domanda “perché si uccide?” va spesso tradotta nella domanda “chi paga per uccidere?”» [Giovanni Tamburino, «La Rosa dei Venti», p. 103, in Angelo Ventrone (a cura di), L’Italia delle stragi, Donzelli 2019].
«In Ucraina sono in gioco le future frontiere dell’Unione Europea e della Russia» [Michel Foucher, geografo, intervista di Marc Semo, «Le très mouvantes frontierès de l’Europe», Le Monde, 03/09/22, online]. E già «i Paesi “falchi” del Nord Europa – Germania, Austria, Paesi Bassi, Finlandia – hanno predisposto almeno dal 2016 un piano per un’uscita coordinata dall’eurozona con la creazione di una “zona Marco”» [Gaël Giraud, «Rischiamo una crisi spacca-euro. Può salvarci l’”economia verde”», Avvenire, 01/09/22, p. 3]. Pagare il lavoro in valuta locale – specie se a immigrati illegali – e incassare in valuta europea – euro o marco – conviene, a pochi. Oggi con l’euro in Ungheria funziona così.
«L’idea che i tempi hanno una loro forza, e tirano chi vuole seguirli, strattonano chi non vorrebbe, mi pare fondata e mi rattrista, ma non posso dire che mi spaventi. Certo il sottrarsi alla forza dei tempi può essere un semplice fenomeno di arretratezza culturale oppure di dispettosa pigrizia privata: ma io penso che possa anche – with a little of bit of luck – alimentare una capacità di innovazione svelta e radicale che i tempi con tutta la loro forza non hanno» [Meneghello, cit., pp. 296-7].

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