Esortazioni e profezie
«In economia idee e concetti, lungi dal formare un’intangibile teoria scientifica modellizzando i fatti, di solito precedono gli sviluppi reali. Come diceva Keynes, una politica economica è molte volte l’applicazione delle idee di un economista già scomparso. Perciò quella che sta mutando è la visione di globalizzazione che hanno gli operatori economici. E, se è stata la pandemia e svelarlo, la guerra in Ucraina l’ha confermato: la globalizzazione è passata dal registro di soluzione a quello di problema. “Contrariamente alla tradizionale narrazione su mutui guadagni e convergenze politiche che ne sarebbero favoriti, i legami commerciali e finanziari sono oggi riesaminati come fonti di vulnerabilità [suscettibili di] dare adito a strategie ostili”, spiega Sébastien Jean, titolare della cattedra di economia industriale del Conservatoire national des arts et métiers (CNAM)». «La globalizzazione ridurrebbe i costi di lavoro e perciò di produzione. Di fatto, la moltiplicazione di subfornitori e localizzazioni lungo tutta la catena produttiva ha infragilito l’insieme». «La globalizzazione aprirebbe le frontiere e armonizzerebbe gli standard legali e politici. Di fatto, la correlazione tra apertura commerciale e liberalismo economico e liberalismo politico è totalmente smentita dai cinesi: se l’ingresso dei cinesi nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel 2000 ha sconvolto il commercio mondiale, la dittatura comunista ne è uscita rafforzata, lanciandosi anche a estendere le proprie norme tecniche, giuridiche e ideologiche nei paesi partner delle sue ‘vie della seta’. Diritto e standard tecnici, invece di essere fattori di armonizzazione, son divenuti armi della rivalità tra potenze». «La globalizzazione, agevolata dal digitale, ridurrà i ‘costi di transazione’. Gestione di enormi moli di dati, robotizzazione, algoritmi e e-commerce automatizzano e accelerano le tappe dalla concezione di un prodotto alla consegna al cliente finale passando per marketing, produzione, trasporto e anche contratti, ordinativi, pagamenti a velocità elettronica che eliminano molti e costosi intermediari. Ma lo spostamento nello spazio numerico della criminalità e poi delle rivalità geopolitiche ha fatto di Internet la rete di tutte le vulnerabilità. Imprese e Stati spendono miliardi di dollari in contromisure tecniche, legislazioni e sistemi assicurativi. “La tecnologia, che poteva apparire una forza di cooperazione e convergenza tra grandi potenze, inducendole a collegarsi attraverso una comune base di strumenti e standard, oggi nutre nuove ambizioni di indipendenza e autonomia”, nota Jeremy Ghez», docente di economia e affari internazionali alla HEC di Parigi [Antoine Reverchon, «Pourquoi la mondialisation devient un problème aprés avoir eté la solution», Le Monde, 7/05/22, online].
Formate negli anni 1920, le idee di Keynes dopo la seconda guerra mondiale permisero «ai governi di utilizzare ‘policy mix’ di politica fiscale e monetaria al fine di finanziare crescita economica e sviluppo tecnologico, e al contempo di assorbire gli shock. Le limitazioni ai movimenti di capitali stimolavano le borghesie nazionali a investire, direttamente o indirettamente, nella “economia reale”, e proteggevano le economie nazionali dalla volatilità degli investimenti internazionali di portafoglio. Cioè proteggendole da quegli investimenti che invece hanno poi dominato i trent’anni successivi, facendo dei mercati finanziari globalizzati un “senato virtuale”, in grado di decidere della sostenibilità delle politiche economiche nazionali». «È indubitabile che oggi siamo alla fine di un altro ciclo, quello neoliberale. Dal punto di vista economico, perché la debolezza delle sue basi teoriche ha costruito un’economia tanto fragile quanto isterica. Dal punto di vista politico, perché la disattenzione al patto sociale su cui si è costruita ha reso le società attuali molto più esposte alla tentazione autoritaria e populista» [Massimo Amato e Lucio Gobbi, «Fu vera gloria? Ripensando i Trenta Gloriosi», PANDORARIVISTA, 16/03/20, online].
È venuto di nuovo il tempo di esortazioni e profezie.
Esortazioni e profezie [tr.it Il Saggiatore 1968] fu pubblicato da John Maynard Keynes nel 1931 col titolo Essay in Persuasion, «nere profezie di dodici anni» [p. 11]: «ho ritenuto opportuno scegliere questo momento per la pubblicazione perché oggi ci troviamo in una fase di transizione» [p. 13]. Ora ci risiamo e dobbiamo all’UE, innovazione di cultura e governo, se l’aggressione all’Ucraina è per ora conflitto globale economico e non militare. La scarsità di grano è aggravata dall’aggressione, ma i mercati globali ne avevano già aumentato il prezzo da 200 a 500 $ la tonnellata tra giugno 2021 e aprile 2022 intermediando solo un sesto di una produzione globale (3 miliardi di tonnellate) superiore alla domanda [George-André Simon, Università Roma3, esperto di sicurezza alimentare FAO World Food Program, Radio3Mondo, 18/05/22]. L’Ucraina vuole aderire all’UE, fondata non sulle armi ma sull’economia politica, «nata con l’Età moderna favorita dall’esplodere dei commerci a livello internazionale» e in cui «figura dominante del pensiero economico contemporaneo è quella di J.M. Keynes, che ha dato un nuovo indirizzo agli studi sulle fluttuazioni economiche, sui problemi del commercio internazionale e sulla tendenza al ristagno delle economie capitalistiche, attribuendo ai poteri pubblici un ruolo cruciale ai fini del sostegno della domanda globale per il perseguimento e il mantenimento di condizioni di pieno impiego» [Treccani, online].
«La crescita può venire solo dal miglioramento della scatola nera, del modo in cui lavoro e capitale sono combinati. Il nome di fantasia dato dagli economisti è produttività totale dei fattori (TFP), pur ricorrendo anche a etichette più intuitive – tecnologia o conoscenza». «Secondo Solow il contributo annuale della TFP al Prodotto Interno Lordo sarebbe aumentato esponenzialmente», ma «dopo la pubblicazione del suo articolo nel 1956 un gruppo di economisti dell’Università di Cambridge mostrò che il suo metodo di valutare il capitale era circolare, e i seguaci di Solow lo ammisero. Ma il modello è tuttora ampiamente utilizzato». «Problemi analoghi affliggono la stessa TFP. Le tecniche statistiche che cercano di misurare il concetto di “conoscenza” usano raggruppare le variazioni di crescita che non possono essere spiegate da cambiamenti di forza lavoro o investimenti. Da qui l’altro nome meno lusinghiero di TFP: il “residuo di Solow”. Più che metro affidabile del livello di conoscenza della società, la TFP finora sembra restare, nelle parole di un critico di Solow, “misura della nostra ignoranza”» [«Why long-term economic growth often disappoints», The Economist, May7th13th22, online]. L’ignoranza che l’economia è politica.
«L’economia siamo noi» [Eloi Laurent, La raison économiques et ses monstres, Les liens qui libérent 2022, recensione di François Desnoyers, «Le mythe de la croissance», Le Monde, 05/05/22, online]. «Ricordiamo l’epitaffio che scrisse per la sua tomba quella vecchia donna di servizio: “Non portate il lutto, amici, non piangete per me che farò finalmente niente, niente per l’eternità”». «“Il paradiso risuonerà di salmi e di dolci musiche ma io non farò la fatica di cantare”. Eppure la vita sarà tollerabile solo per quelli che partecipino al canto: e quanti pochi di noi sanno cantare!» [Keynes, cit., p. 279]. Per cantare insieme il «primo atto giusto è la capacità dell’individuo di affrancarsi da qualsiasi logica corporativa o utilitaristica, riuscire a giudicare avendo come primo e necessario parametro il rispetto della dignità dell’uomo». Nel XXXI capitolo dei Promessi sposi il protofisico Lodovico Settala, «uomo di scienza, è tra i primi a non sottovalutare la peste e ad avvertire le sue conseguenze. La sua lungimiranza è invisa alla popolazione che lo vede come la causa del male e ne insulta la barba simbolo del suo cipiglio e della sua arroganza intellettuale. Settala incarna il modello dell’intellettuale che contrasta lo stereotipo con la conoscenza. È l’antitesi di don Ferrante, che muore come ‘un eroe del Metastasio’, vittima delle sue convinzioni e superstizioni, prendendosela con gli ‘accidenti’». «Settala è pertanto un personaggio ‘eroico’ di opposizione alla belva, perché indica come, per placare la sua insaziabile fame, occorra scegliere la via del pensiero come fondamento della scelta giusta, nonostante la difficoltà di tale strada che appare sempre più essenziale» [Alessandro Provera, «Le passioni perverse nell’atroce giudizio», in G. Forti, C. Mazzuccato, A. Provera, A. Visconti (a cura di), L’ombra delle colonne infami, Vita e Pensiero 2022, p. 63]. Infatti.
«Il messaggio è chiaro; per la potenza revisionista che è la Russia, l’interesse nazionale è meglio servito dall’assenza di regole internazionali che non dall’ordinamento di sicurezza eretto nel 1945, giudicato ora decaduto». «Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 alcuni giuristi americani avevano cercato di giustificare una nuova dottrina dell’“azione preventiva” che autorizzerebbe azioni militari senza attendere che si verifichino le condizioni di legittima difesa che rendono il ricorso alla forza conforme al diritto». «La guerra della Russia all’Ucraina conferma amaramente questa teoria, respinta dalla maggior parte dei giuristi che a giusto titolo ritengono proprio della regola del diritto rimanere tale, anche se violata». «“Dove non esistono regole niente è ingiusto” osservava il filosofo Thomas Hobbes”», padre dello stato Leviatano causa delle guerre europee e poi mondiali della modernità. «Di fronte a questa postura mortifera, di cui il XX secolo ha dato troppi esempi tragici, sola bussola politica del mondo occidentale – e ancor più dell’insieme europeo – è lo Stato di diritto, fondamento dei valori e principi che ne costituiscono l’identità: democrazia, libertà, verità» [Pierre Buhler, «L’intérêt national russe est mieux servi par l’absence de règles internationales que par l’ordre né de 1945», Le Monde, 14/05/21, online]. Putin non è il solo. «Se tre ferventi sostenitori vi dicono a poche ore l’uno dall’altro che andate dritto contro un muro, è vostro interesse prendere sul serio il loro parere. Anche se vi chiamate Xi Jinping e siete a capo di un paese di 1,4 miliardi di abitanti. Tre influenti uomini d’affari (un industriale europeo, un economista americano e un finanziere cinese) suonano l’allarme: la Cina va male». «Ma da che Xi Jinping ha modificato la Costituzione nel 2018 per restare potenzialmente presidente a vita, non c’è più alcun contropotere. Ogni critica è inudibile» [Frédéric Lemaïtre, «Xi Jinping pri à son propre piège», Le Monde, 04/05/22, online].
Oltre alla Russia di Putin, l’Ue affronta l’altro luogo delle non-regole, i mercati neoliberisti, e «con la vigorosa commissaria danese prosegue la sua crociata contro i giganti americani di Internet, accusati di approfittare della loro posizione dominante per uccidere o asservire la concorrenza» [Philippe Escande, «Un match qui ne fait que commencer», Le Monde, 04/05/22, online].
«Tramontato il furore delle privatizzazioni, anche per le delusioni che ne sono derivate in settori cruciali come energia e telecomunicazioni, si dovrebbe riconoscere che i governi già oggi avrebbero strumenti per fare politica industriale in modo più diretto ed efficace rispetto alla regolazione dei mercati e agli strumenti tributari». «Propongo – per illustrare concretamente l’idea – tre missioni e quindi tre soggetti strategici: salute umana, cambiamento climatico, governo dei dati. La dimensione europea di queste imprese potrebbe essere quella giusta per garantirne il successo per varie ragioni: perché nessuno stato europeo può fare da sé, perché esiste una solida base di competenze scientifiche e tecniche da cui partire, perché l’Unione europea con la pandemia sta vivendo un momento di rifondazione, favorevole all’investimento e alle missioni pubbliche di ampio respiro». «Queste proposte potrebbero essere fattibili non solo sotto il profilo tecnico e scientifico e tecnologico, economico e finanziario, ma potrebbero entrare nell’agenda politica del confronto fra un’Europa progressista e quella che guarda indietro, talvolta molto indietro. È il momento giusto per parlarne» [Massimo Florio, La privatizzazione della conoscenza, Laterza 2021, pp. 17-18]. Lo è.
Lo è in una UE democratica di stati di diritto, perché i fatti ci ricordano che «l’opera di un individuo che esercita il potere assoluto è decisiva in una società povera di organi rappresentativi» [Lidia Storoni Mazzolani, Tiberio o la spirale del potere, Rizzoli 1981, p. 7]. Un individuo «alterato, travolto dalla forza irresistibile del potere», come il prototipo Tiberio [Tacito, Annales, VI. 48, cit. in Storoni Mazzolani, p. 5]. «Mentre giaceva immobile nel suo letto si tolse l’anello con il sigillo per la firma dei decreti: l’insegna del potere», ma «il suo ultimo gesto suggella la sua vita e la riassume: tornò a infilarsi l’anello al dito, chiuse stretta la mano» [Storoni Mazzolani, cit., p. 284].
Il tecnicismo è la ferita mortale di questi secoli
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