Tipologie della messa


Messa senza e con il popolo, messa letta e messa cantata (grazie a Alessandro Germano)
Caro Matias,
in un recente mio intervento, ripreso dal tuo blog, facevo riferimento alle categorie di “messa con il popolo” e di “messa senza il popolo”. Ho ricevuto, da un acuto lettore (Alessandro Germano), alcune precisazioni che meritano di essere conosciute e penso possano contribuire a chiarire diverse prospettive e indebite sovrapposizioni. Allego qui sotto le osservazioni, che merita conoscere.
“…Lei tuttavia fa un piccolo errore, quando imputa al motu proprio il ricorso alle categorie tridentine di “messa con il popolo” e di “messa senza il popolo”. Sono categorie introdotte dall’ IGMR del 1970, che non esistono nel rito tridentino. Il rito tridentino conosce solo la messa letta e la messa cantata, come uniche due categorie. A sua volta, la messa cantata tipica sarebbe quella con i ministri, detta solenne o in terza, cui si aggiunge la riduzione della messa cantata dal solo sacerdote. Poi a seconda che il celebrante sia vescovo (o con l’uso di pontificali) o sacerdote, la messa cantata può avere la forma pontificale oppure no. Il popolo non ha rilevanza al fine di determinare il tipo di celebrazione. Il criterio di utilizzare il popolo per determinare la tipologia del rito, è evidentemente conseguente al principio della partecipazione attiva, e quindi postconciliare. Per cui la messa senza il popolo (nell’edizione tipica del 1970) aveva una struttura lievemente differente a quella della messa con il popolo, venendo a mancare la possibilità di una interazione con l’assemblea (quindi ad esempio, non potendosi fare il canto d’ingresso come introduzione corale, e l’atto penitenziale come celebrazione comunitaria, nella messa senza il popolo si seguiva lo schema vecchio: il prete si confessa per conto suo e poi salendo all’altare legge l’introito sul libro). Conseguentemente, e anche conformemente ai principi stabiliti dal concilio, erano raccomandate le messe con il popolo, e un po’ osteggiate quelle senza il popolo, poiché prive della partecipazione attiva dell’assemblea e del raggiungimento del fine comunicativo della liturgia, come segno efficace.
Semmai la differenza sta nel passaggio dalla VI alla VII edizione tipica del rito tridentino. Nel rito del 1962 (VII), si sostituisce (a mio giudizio erroneamente) il concetto di messa letta, con quello di “messa privata”. Quasi a voler significare che “privata” indichi una forma più raccolta e discreta di celebrazione, anziché come è sempre stato, l’intenzione per cui la messa è celebrata (pro populo, secondo le intenzioni imperate dall’ordinario, secondo l’intenzione privata del celebrante, ecc.). Vero è che generalmente la messa solenne cantata, era la funzione principale parrocchiale, quella pro populo, mentre le messe lette feriali o le altre messe lette domenicali erano private. Però non esiste un nesso di causalità tra la messa letta e la messa privata, tale da rendere i due termini sinonimi. Si è però ingenerata la confusione che una messa possa essere “privata”, nel senso di un atto puramente individuale del sacerdote, svincolato da una dimensione ecclesiale. Il concilio risponde ribadendo il carattere pubblico della liturgia, come celebrazione di tutta la chiesa, anche laddove agisca visibilmente il solo ministro, ma va anche detto che questo lo si sapeva anche prima. Sebbene si sia anche abusato della celebrazione “solitaria” della messa, va anche detto che in alcuni casi essa era istituzionalizzata (ad esempio nel caso delle forme di eremitismo, la messa in rito certosino, ecc.), ma sempre considerata azione di tutta la chiesa, di Cristo sacerdote e del suo corpo mistico partecipante.
Piuttosto va considerato il fatto che l’utilizzo di categorie tipiche del messale moderno, all’uso tridentino, ingenera ancora più confusione e ancora più perplessità. Si afferma che la messa tridentina senza il popolo può essere detta sempre, e che alla messa senza il popolo può anche partecipare il popolo…”
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