Tessuto intrecciato insieme


«L’economia liberista si fonda sull’idea che il cliente ha sempre ragione». «Chi sia stato allevato fin dall’infanzia con una dieta di slogan simili è incline naturalmente a pensare che la felicità sia un sentimento soggettivo, e che ciascuno sappia benissimo se è contento o infelice. Tuttavia questa concezione appartiene solo al liberalismo» [Yuval Noah Harari, Da animali a dèi, tr.it Bompiani 2016, p. 479]. «Si immagini uno psicologo che studi la felicità in un gruppo di tossicodipendenti. Ognuno di loro, scopre, dichiara di essere felice solamente quando si buca. Dovrebbe per questo pubblicare una relazione in cui sostiene che l’eroina è la chiave della felicità?» [ivi, p. 480]. Sì, come le relazioni trimestrali che drogano la borsa. «Siamo dèi che si sono fatti da sé, a tenerci compagnia solo le leggi della fisica, non dobbiamo rendere conto a nessuno». «Può esserci qualcosa di più pericoloso di una massa di dèi insoddisfatti e irresponsabili che non sanno neppure ciò che vogliono?» [ivi, p. 508]. Essi stessi una droga, «persona che eserciti forte attrattiva ma in sé dannosa» [Treccani].
E dopo Covid-19?
«Per uno che era passato attraverso gli orrori degli anni ’30 e ’40 e doveva vivere il resto dei suoi giorni sotto il segno di Auschwitz», «attribuivo un’enorme importanza, col vecchio Hobbes, alla forza salutare della nuda paura»: «la crescente consapevolezza dei pericoli intrinseci alla tecnologia in quanto tale – non dei suoi rischi immediati, ma di quelli di lungo periodo, non delle sue minacce incombenti, ma di quelle future, non del suo cattivo uso che, con un po’ di attenzione, si può sperare di tenere sotto controllo, ma delle sue utilizzazioni più buone e legittime, che sono la vera essenza del suo attivo dominio»; «è sufficiente ricordare le preoccupazioni ecologiche, da un lato, e l’“ingegneria umana”, in particolare genetica, dall’altro» [Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, tr.it. il Mulino 1991, pp. 32-3, ed. or. 1974]. Oggi, le preoccupazioni per i programmi di tutela ambientale boicottati da Trump e l’«uomo del futuro, l’uomo potenziato, capace – grazie a terapie geniche, robot e intelligenze artificiali – di vincere malattie, accrescere le facoltà psichiche e cognitive o addirittura sfidare la morte» [Eta Beta, Radio1 Rai, 02/05/2017, ore 11:40].
Sul mercato, teorizzato da Adam Smith, filosofo morale, riflette oggi Paolo Benanti, teologo morale esperto in neuroscienze. «Una volta erano le scoperte scientifiche che anticipavano la tecnologia, oggi mercato e industria producono innovazione tecnologica e quindi la diffondono prima di capire fino in fondo qual è l’effetto di queste tecnologie. Quindi, per la prima volta nella storia dell’uomo, noi ci troviamo a vivere in un contesto tecnologico prima di averne capito fino in fondo gli effetti. È un sogno che viene venduto e quindi ha acquirenti, il che significa che le risorse, che non sono infinite, dell’universo biotecnologico vengono investite, più che per trovare cure a malattie che affliggono grandi quantità di persone, per generare dei prodotti che possono essere venduti alla parte ricca della popolazione. In un contesto di scarsità di risorse bisognerebbe prima di tutto eticamente ragionare su ciò che è più urgente e importante. Di fronte a milioni di persone che muoiono decimate dall’HIV, sarebbe più urgente e importante investire le risorse per trovare un vaccino e una cura a questa malattia piuttosto che allungare la vita di pochi ricchi nelle zone più ricche del pianeta» [ivi].
Era il 2017 e Covid-19 era già una minaccia pandemica segnalata da Organizzazione Mondiale della Sanità e Banca Mondiale agli stati, che alla sanità pubblica hanno anteposto il mercato. Il virologo Andrea Crisanti correla la letalità di Covid-19, altissima in Lombardia e bassa in Veneto, alle sanità regionali: «la veneta molto più incentrata sui servizi pubblici territoriali, la lombarda molto più sui servizi di diagnosi e terapia di grande eccellenza (9 i laboratori di sanità pubblici in Veneto, 3 in Lombardia). Regione Veneto ha investito moltissimo nei servizi di continuità e assistenza territoriale, che Lombardia per decisione politica ha preferito trascurare. Senz’ombra di dubbio, la sanità pubblica è più adatta della privata a gestire le situazioni di crisi, fa investimenti che non sono remunerativi a breve termine, ma lo sono molto a lungo termine. La sanità pubblica non ha per obiettivo il profitto, ma la salute e il benessere di tutta la comunità» [Aspettando le parole, Rai3, 18/04/2020, ore 20:30].
Vero, per definizione il lungo termine è comunitario, il breve individuale. Teologo morale e virologo concordano: il cliente non ha sempre ragione.
Covid-19 uccide anche il mercato neoliberista. Nell’esperienza di Jonas «la situazione catastrofica, la rovina incombente di un mondo, la crisi progressiva della civiltà, la prossimità della morte, la scarna essenzialità a cui la vita era ridotta – tutti questi elementi costituivano un argomento sufficiente per ripensare i fondamenti del nostro essere e per riconsiderare i principi che orientano le nostre riflessioni su di essi» [cit., p. 28]. Non è poco, ma neanche Covid-19 scherza.
«La probabilità di morire per effetto di un’esposizione tossica a plastica o pesticidi o riscaldamento è obiettivamente bassa. Ma questo modo di impostare il problema, sotto le apparenze di un calcolo freddo e razionale, in realtà è politico. Fa dell’individuo il metro di ogni cosa, occulta la fragilità delle strutture economiche e sociali da cui dipendiamo e del loro equilibrio con l’ambiente in senso lato. C’è una pedagogia in questa crisi. Se la ricombinazione di qualche nicotinammide sull’RNA di un virus trasportato da un piccolo mammifero è riuscito a produrre questo disastro, chi può immaginare che cosa produrrà a lungo termine il sollevamento di oltre un metro degli oceani, come prevedono gli esperti del clima per i prossimi decenni?» [Stéphane Foucart, «L’écologie au temps du Covid-19», Le Monde, 26-27/04/2020, p. 32]. In effetti, «i sapiens sono una specie prepotente ma basta un organismo ridotto all’essenziale del suo materiale genetico per dimostrare come l’intelligenza sia una prerogativa della vita. I virus non sono stupidi né cattivi, semplicemente fluiscono nella storia naturale, cosa che sembriamo aver disimparato. Le conseguenze non possiamo più ignorarle» [Mario Tozzi, «Miglioriamo il rapporto col pianeta», La Stampa, 22/04/2020, p. 21].
Greta Thunberg e la sua generazione lo hanno capito. Non è poco.
Tessuto intrecciato insieme è il mondo, che abitiamo con rispetto o arroganza. L’arroganza neoliberista ha favorito la pandemia tramite la «democrazia autoritaria», come nel 1982 Bob Lumley e Philip Schlesinger definirono in Italia i «mutamenti strutturali di crescente autonomia dell’esecutivo dal parlamento, di crescente ricorso a riunioni di segreterie dei partiti di governo per decisioni politiche che bypassano Governo e Parlamento, di maggiore potere burocratico sul sistema politico e di sviluppo di un consenso passivo» [«The Press, the State and Its Enemies, the Italian Case», Sociological Review 30, n. 4 (1982), 603-26, p. 605]. Questo è anche il contesto che «descrive con molta accuratezza la struttura interna del dramma sociale Moro» [Robin Erica Wagner-Pacifici, The Moro Morality Play. Terrorism as Social Drama, The University of Chicago Press 1986, p. 289], assassinato per gli sviluppi della sua politica: «Questa società democratica nella quale siamo, vuole essere liberata da tutto: dal bisogno, dall’ignoranza, dall’umiliazione», se è democratica [cit. in G. Bottalico, «Un patto educativo globale per il futuro della nostra casa globale», in A. Mattioli e C. Tintori, Patto per una nuova economia, indialogo 2020, p. 132]. Nel 1986 Wagner-Pacifici pose una questione ora divenuta globale: «questa messa in scena di crisi sociali e politiche è peculiare dell’Italia o è fenomeno più universale? E che ci dice politicamente la scoperta di questa dimensione estetica della politica? Chi ha interesse allo sviluppo di democrazia vera e non autoritaria, dovrebbe, come fa Philip Rieff, raccomandare di sostituire a questa dimensione estetica della politica quella discorsiva?» «La risposta è sì e no» [Wagner-Pacifici, cit., p. 293]. Questo sì e no ci sta costando molto caro.
Covid-19 ha un alleato nella democrazia autoritaria, nemica della solidarietà e della ragione, unici baluardi contro le minacce mortali. «L’America in questo attacco del virus, del nemico invisibile, ha perso l’occasione per rilanciare quella leadership globale cui ci aveva abituati», dice il Nobel Edmund Phelps. «L’economia si deve mobilitare contro il virus»: «aerei attrezzati per il trasporto di malati e che gli alberghi si trasformino in ospedali» perché «da sempre il dinamismo di un’economia dipende dai valori che guidano l’innovazione. Il piacere, la soddisfazione del fare devono essere più grandi del danaro» [Mario Platero, «“Libertà e hi-tech sono le nostre armi per sopravvivere”», La Stampa, 22/04/2020, p. 15]. Col linguaggio della morte e sofferenza, Covid-19 ci ricorda che la salute è un bene pubblico globale primario che con lavoro e ambiente forma il sistema di giustizia necessaria per la pace [G. Mastrojeni, L’economia integrale: dove la crescita è uguale a benessere, ambiente, giustizia e pace», in A. Mattioli e C. Tintori, cit., p. 107].
Ha ragione Philip Rieff, la democrazia vive nella dimensione discorsiva della politica e muore se diventa autoritaria. «È arrivato il momento di nominare ciò che è rimasto innominato in tutti questi tratti, ma che era presupposto in ciascuno di essi: il linguaggio. Senza di esso non potrebbe esistere alcuno degli altri fenomeni; per ciascuno è stato supposto tacitamente. Questo è vero già per la sfera organico-biologica», «il pasto umano» «la ricerca del cibo», «l’amore tra i sessi», «allevare i bambini», «le relazioni di parentela e di autorità», «persino i nostri sogni sono permeati di parole. Tanto più dominano le parole nelle sfere della vita denotate dall’utensile, dall’immagine e dalla tomba – nella progettazione, nel lavoro, nel ricordo e nella venerazione. Analoga è la dipendenza dal discorso del mondo della politica e del diritto, e ancor più di tutto il rapporto con l’invisibile, il quale trova una forma solo nelle parole. Allora l’uomo è innanzitutto una creatura discorsiva – che produce il discorso e ne è prodotto» [Jonas, cit. p. 363].
Dove l’invisibile è tuttora la libertà dal bisogno, dall’ignoranza, dall’umiliazione.
I «governanti cinesi combinano grandi ambizioni con la prudenza dettata dal gravoso compito di governare un paese di 1,4 miliardi di persone. Non hanno bisogno di un nuovo ordine internazionale basato sul diritto». Ma «gli anni 1920 hanno mostrato ciò che accade quando i grandi poteri agiscono egoisticamente e cercano di trarre vantaggio dai problemi degli altri» [«Pandemic geopolitics. Is China winning?», The Economist online, 16/04/2020]. In USA «“Donald Trump non mette in pericolo la democrazia: non è Orban che vuole pieni poteri. […] Il vero dramma per l’America è la sua totale incompetenza”» [Massimo Gaggi, «Bremmer: “La sua incompetenza mina l’America, non la democrazia”», Corriere della Sera, 27/04/2020, p. 14]. Ovunque «autocrati senza scrupoli stanno sfruttando la pandemia per continuare a fare ciò che sempre fanno: prendere il potere a spese dei loro governati» [«Una pandemia di colpi di stato. Gli autocrati vedono opportunità nel disastro», The Economist online, 23/04/2020]. Da noi, «che Salvini spari a zero sull’Europa è comprensibile. La sua è una scelta politica, a nostro parere folle, ma lucida. Il suo scopo è portarci fuori dall’Europa» [Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, «Un errore voler fare da soli», Corriere della Sera, 22/04/ 2020, p. 30]. Far da soli è il credo neoliberista che, tramite la democrazia autoritaria, ha lasciato via libera anche alla pandemia da Covid-19, che possiamo vincere solo con istituzioni discorsive.
Infatti all’UE, istituzione discorsiva unica al mondo, parla Phelps [cit.]: «È da una crisi che si aprono opportunità o catastrofi storiche: i leader europei devono trovare la forza per approvare un pacchetto di stimoli importante, un progetto per la ricostruzione». Ad esempio il «modello da ecosistema per una nuova Europa» proposto da Carmelo Cennamo e Alberto Di Minin: «Applicato all’architettura del sistema politico-organizzativo dell’unione europea, un modello di “ecosystem governance” permetterebbe agli Stati membri di non svuotarsi di poteri politici e decisionali. Richiederebbe l’istituzione di infrastrutture comuni, sotto la guida della Commissione Ue attraverso le quali i singoli Stati membri conducono le proprie attività di governo (ad esempio un data hub unico per il controllo e prevenzione delle malattie, ma lo stesso modello può essere applicato a energia, difesa, trasporti, istruzione)» [Il Sole 24 Ore, 19/04/2020, p. 15]. Il tessuto è intrecciato insieme, sta a noi rafforzarlo.
Alle corresponsabilità in UE e euro possiamo preferire la leva lira/euro, l’ipotetica persistenza della filiera produttiva tedesco-padana, poche regole di governo, pace fiscale e edilizia, inflazione (non per tutti un guaio) e Mezzogiorno mandato a quel paese perché, come per la Germania riunificata, l’UE cementa anche la nostra unità nazionale e statuale. In effetti, l’errore di voler fare da soli in Europa è figlio del padano voler fare da soli in Italia, dove «ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. Esiste anche un clientelismo buono, che può determinare la crescita economica», come il mancato ministro Gianfranco Miglio scrisse su Il Giornale del 20/03/1999: «Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica» [cit. in Jacques de Saint Victor, Patti scellerati, tr.it. UTET 2013, p. 336]. Proprio così. Nel disastroso impatto anche economico di Covid-19, è l’UE il «Maxi-scudo sui conti italiani. Così la Bce puntella il debito» [Carlo Cottarelli, La Stampa, 30/04/2020, p. 3] contro il rating negativo di Fitch, mastino più aggressivo di Standard and Poor’s.

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