Sul diaconato femminile: alcuni punti fermi


 

diaconato-femminile

La apertura di una fase di riflessione e di studio sulla possibilità di riconoscere anche alle donne un ruolo all’interno del ministero ecclesiale ordinato, sollecitata dalle superiore delle religiose e profeticamente assunta da papa Francesco, esige il chiarimento di una serie di “evidenze dimenticate” che può essere utile richiamare in questa fase di apparente “stallo”:

a) Da quando Giovanni XXIII ha riconosciuto tra i “segni dei tempi” anche il “ruolo pubblico della donna”, la tradizione ha conosciuto una svolta che non è esagerato chiamare, con le parole utilizzate da papa Francesco all’inizio di “Veritatis gaudium”, come un “cambio di paradigma”.

b) Tale cambio di paradigma, o “rivoluzione culturale” non è la volontà ostinata di cambiare ciò che da sempre ha funzionato diversamente, ma piuttosto è la esigenza di onorare un cambiamento di cultura e di esperienza da cui la Chiesa può imparare qualcosa di decisivo.

c) Per questo la esigenza di “fondare storicamente” la nuova apertura, per le caratteristiche del nuovo “segno dei tempi” – appunto la emancipazione femminile – deve essere inteso in modo corretto. Se si ritiene di poter fondare nella storia la novità che viviamo da un secolo, questa sarà inevitabilmente una impresa destinata al fallimento.

d) Va aggiunto, però, che il modo di valutare la “storia” è subordinato al modello teologico-sistematico che si alimenta nella struttura del pensiero teologico. Ad es., alcuni membri della Commissione teologica istituita per studiare la storia del diaconato femminile, hanno una impostazione sistematica che “esclude a priori la donna dal ministero ecclesiale”. Questa è una petizione di principio che impedisce di leggere la storia in modo profetico. Il “dato” che dovrebbe autorizzare una possibile apertura è escluso per principio dall’orizzonte.

e) Per questo occorre pensare diversamente il “fondamento teologico-dogmatico” del ministero femminile ordinato. Per farlo, occorre liberarsi dei pregiudizi che la storia di secoli hanno depositato nel pensiero dei teologi e dei pastori.

f) D’altra parte è curioso che oggi la Chiesa viva una condizione del tutto paradossale: il papa parla di “cambio di paradigma”, di “rivoluzione culturale”, di “squilibrio della profezia”, mentre una parte dei teologi e dei funzionari di curia si occupa solo di negare le novità, di impedire ogni cambiamento, di garantire un equilibrio inossidabile, di confermare le esclusioni e di alzare muri.

g) I due principi più importanti di EG – il primato del tempo sullo spazio e il primato della realtà sulla idea – esigono che di fronte al segno dei tempi delle “donne autorevoli nella Chiesa” non si resti senza aprire processi e senza onorare la realtà. Questo sarebbe un peccato di omissione.

h) Uno dei membri della Commissione Teologica, Phyllis Zagano, ha detto: ora è il tempo della argomentazione e della diffusione, nella Chiesa, di una nuova possibilità. Per poterlo fare occorre riequilibrare i ruoli. Negli ultimi anni la teologia più avanzata è spesso venuta dal vertice della Chiesa. I teologi si sono spesso nascosti all’ombra di questo “presa di iniziativa”, teorizzata apertamente in Evangelii Gaudium. Oggi occorre che i teologi si assumano la responsabilità dello squilibrio e della profezia. Altrimenti tutto resterà fermo e vecchio.

i) La prudenza, infine. Tanto il magistero, quanto la teologia debbono comporre, in modo diverso, audacia e pazienza. Ma una cosa, sulla prudenza, deve sempre essere ricordata. Essere prudenti non significa sempre la stessa cosa: quando si guida la prudenza vuole che talora si usi il freno, talora l’acceleratore. Una prudenza identificato soltanto con il “primato del freno” è un luogo comune della Chiesa in difesa, che non esce, che si chiude nei suoi muri tranquillizzanti.

l) Quando alla fine del Concilio Vaticano II, papa Paolo VI riservò a se stesso tre questioni brucianti – contraccezione, ministero femminile e celibato obbligatorio – forse non poteva immaginare che, 55 anni dopo, saremmo ancora rimasti sostanzialmente in mezzo al guado, come allora. Avviare un processo di vero discernimento sul ministero femminile è oggi non più una possibilità, ma una necessità. Nessun silenzio del passato potrebbe giustificare una inerzia teologica e pastorale del presente, che suonerebbe come indifferenza e irresponsabilità verso il futuro.

 

Share