Silvano e la profezia del rito. Un ricordo e un compito


SIlvano

Chi ha conosciuto Silvano Maggiani, il sorridente frate servita che ha dato il gusto del rito ad almeno 3 generazioni di italiani, oggi sente di aver perso un uomo e uno studioso veramente insostituibile. Vorrei provare a chiarire, anzitutto a me stesso, perché la notizia della sua morte, la sera del 18 gennaio, dopo tre settimane di grandi sofferenze, ha risvegliato nel mio cuore questo senso di insostituibilità e di unicità della figura di esperienza che in Silvano ha saputo illuminare l’azione rituale e la fede celebrata in modo tanto efficace.

Se provo a riflettere a fondo, sulla base di quanto so, penso che Silvano coniugasse in sé molte caratteristiche diverse, che è raro trovare insieme nella stessa persona. In lui convivevano, sorprendentemente, figure di esperienza e forme di linguaggio che, molto spesso, si escludono addirittura. Provo a farne qui un piccolo catalogo “in memoriam”:

a) Aveva nella sua famiglia, di Carrara, una “linea anarchica”, di cui andava profondamente fiero e che gli offriva, in modo diretto, una schiettezza, una propensione al dubbio e insieme una fede radicale e una credibilità rarissima. In altri termini, per lui la “auctoritas” era una cosa veramente seria e se “obbediva” – e Silvano era uomo di grande obbedienza – doveva farlo, potrei dire, con tutto il corpo;

b) Silvano era frate, e frate servita. Questa vocazione gli ha dato a sua volta non solo uno stile diretto, senza paludamenti, senza inutili orpelli, ma anche un tratto austero, ricco di attenzione alle dinamiche elementari della vita e della relazione, che nei liturgisti non è affatto una cosa consueta;

c) Aveva compiuto i suoi studi a Parigi, negli anni 70, e aveva frequentato i grandi liturgisti francesi, soprattutto Hameline e Chauvet, Gy e De Clerck, dai quali aveva imparato la importanza di una accurata competenza scientifica, per illuminare l’intreccio di dinamiche teologiche e antropologiche adatte a spiegare e a vivere la liturgia cristiana;

d) Era competente e appassionato delle logiche spaziali del culto, ma anche del teatro; di logiche espressive del canto liturgico, ma anche dell’opera lirica. E la sua spaziale e musicale vocazione poteva apparire non solo in consulenze o in collaborazioni, in conferenze o in tavole rotonde, ma anche nel modo sorprendente di salutare, con un limpido recitativo alla Puccini!

e) Aveva partecipato per molti anni prima alla elaborazione dei nuovi ordines liturgici e poi era stato consultore dell’Ufficio celebrazioni papali all’epoca di papa Giovanni Paolo II, collaborando a fondo con Piero Marini nel concepire, strutturare e articolare le liturgie pontificie, con grande attenzione a tutti i linguaggi implicati e con sensibilità davvero rara;

f) E’ stato, per molti anni, professore di teologia liturgica al Marianum e al PIL di S. Anselmo, oltre che Presidente della APL, la associazione dei professori di liturgia italiani, dove ha portato nuovi temi, nuove sensibilità, e una attenzione spiccata per l’esame degli “ordines” scaturiti dalla riforma liturgica.

Tutte queste diverse qualità, assommate in una sola persona, hanno costruito un profilo assolutamente unico di studioso, di frate, di consultore, di uomo, di amico. E per questo sarà difficile anche solo da lontano inseguire le sue sintesi, le sue visioni, la sua ispirata immaginazione ecclesiale.

A ciò deve essere aggiunto, però, ancora qualcosa di decisivo.

Silvano era, in una forma davvero eccezionale, un uomo buono, un uomo ‘umile, un uomo semplice, un uomo lieto. E comunicava a tutti, anzitutto, questa piena letizia, una gioia fondamentale, una serenità di cuore e di sguardo.

Silvano era anche, come tutti noi siamo, il suo corpo. E nel suo corpo, dotato di una complessione maestosa, viveva ogni relazione, con gli uomini e con Dio. E in queste relazioni era di una scioltezza quasi danzata. Chi lo ha visto presiedere una liturgia eucaristica, non ha più dimenticato che cosa possa essere la forza, la leggerezza, la dolcezza di gesto e la autorità di parola. Le braccia, il volto, lo sguardo, la postura era sempre un’opera d’arte, che scaturiva dalla fede e alla fede tornava, con tutti i linguaggi di cui il corpo è capace. Diceva, insieme, l’azione e la passione, senza alcuno sforzo.

Per questo Silvano è stato, come pochi altri in Italia, un profeta della Riforma Liturgica. Ne ha intuito la ragione più profonda e l’ha attuata con una coerenza rigorosa ed esigente. Lui sapeva, come nessun altro, che i nuovi “ordines” sono una riscrittura del corpo. Per questo i nuovi riti attendono comunità disposte a lasciarsi modellare da essi nel corpo. Per ritus et preces: proprio così abbiamo ricevuto il dono della sua autorità. Perciò, nel salutarlo, assumiamo il compito di continuare, con le nostre deboli forze, con i nostri corpi impacciati, con le nostre obbedienze molto meno regolate, con le nostre fragili immaginazioni, il disegno di attuazione e di fedeltà che P. Silvano ha costruito in 50 anni di studio e di vita. Nella luce del suo riposo saprà trovare il tono giusto per continuare a darci buoni consigli e per difendere, con inarrestabile immaginazione, le buone ragioni di una liturgia davvero partecipata e pienamente incarnata.

 

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